venerdì 12 dicembre 2025

Mesto ritorno

Mesto ritorno, quello dal luogo dove hai accompagnato un tuo caro al freddo luogo del suo eterno riposo.

Le strade spalancano davanti al tuo pianto cartelli che ti dicono che la tua vita non sarà più come prima, sarà amputata di un sorriso, di una voce, di una colonna a cui appoggiarti.

Lo strazio dei giorni appena passati prolunga la sua crudele eco nei dì che inesorabili attendono il tuo domani.

Il sostegno e la vicinanza di chi è venuto a sorreggere le tue lacrime non placano ma ingigantiscono il tuo dolore.

Lo spazio aperto del tuo futuro non è più prateria ma steppa, non più estensione di aiuole ma zolle aride e brulle.

Mesto ritorno, quello dal luogo in cui tornerai a coltivare il grato ricordo innaffiandolo in silenzio con lacrime e preci.


martedì 9 dicembre 2025

Testa di Indiana. Riflessioni sull'omonima scultura di Patrizia Bonazelli






La creta assume colore sanscrito: parole ancestrali di creazione e di morte escono da uno sguardo pietrificato dal Tempo, lungo le nascite e i dissolvimenti delle civiltà.

La creta fissa l’Intuizione e inevitabilmente si dissolverà ma l’Intuizione dell’Artista rimarrà per sempre lungo le linee infinite dell’Eternità.


Riflessione ispiratami dalla visione dell'omonima scultura dell'Artista Patrizia Bonazelli.


giovedì 4 dicembre 2025

Mesta quiete


Masserizie e rottami beneficiano ormai della quiete dell'acqua, che ha smesso di ribollire la rabbia di Poseidon.

Nave che osasti sfidare il dio del mare, di te ormai non restano alla superficie dell'onde che residui brandelli sfuggiti agli abissi.

Mesta è la quiete di chi li raccoglie per portarli a una vedova o a un orfano, a una madre o a un padre, come conforto di un ricordo da serbare nell'inconsolabile dolore dei giorni e delle notti che verranno.


martedì 2 dicembre 2025

Maschere


Maschere di materia, per recitare in antichi teatri, in cui l’espressività ancora non era affidata agli attori.

Maschere di volti, per nascondere sentimenti ed intenzioni.

Maschere che celano la realtà di un dolore che si vuole tenere per sé, troppo forte per essere urlato o per infrangersi contro l’indifferenza di interlocutori egoisti.

Maschere che nascondono la realtà di un inganno che si vuole perpetrare.

Maschere sotto forma di pagine, su cui gli autori scrivono finzioni per divertire o saggezze segrete, celate dietro il velo di allegorie.

Maschere che allietano le spensierate ore carnascialesche.

Maschere che terrorizzano risvegliando paure assopite nell’inconscio o infondendone di nuove.

Maschere dettate da pietà, per non rivelare verità insopportabili.

Maschere di protezione, per difendersi dal cinismo di un mondo pronto a sfruttare ogni debolezza, ogni ingenuità, ogni sincerità. 

giovedì 27 novembre 2025

Mare


Mare fluido come la vita, dolce come la vita, amaro come la vita, crudele come la vita.

Mare in cui ti culli al caldo del sole o sotto un cielo stellato, abbandonandoti alle stesse sensazioni di pace, di sicurezza e di protezione, provate agli albori della vita nel liquido amniotico, liquido primordiale squarciato di colpo dal "big bang" del parto, dal tuo "big bang".

Mare in cui allegramente sguazzi credendoti inaffondabile e ignorando che basta un'ondata improvvisa o un istante di stanchezza o di distrazione per mandarti a fondo, perché nel letto del fiume della tua vita può sempre abbattersi a tempesta fulminante che tutto travolge, che tutto rimescola.

Mare in cui il navigare sembra placido e certo ma in cui non basta tendere lo sguardo al cielo per vedere le nubi messaggere di venti, e in cui bisogna volgere gli occhi alla superficie piana dell'acqua, perché anche gli scogli possono causare il naufragio: metafora dei tuoi sentieri, nelle cui pietre puoi anche inciampare.

Mare in cui tutto può cambiare, tutto può assumere il ruolo opposto a quello avuto fino ad allora; ed ecco dunque le placide acque, apparente sinonimo di rotta sicura, trasformarsi all’improvviso in leoni che emettono il ruggito dei venti; ed ecco invece gli scogli, apparenti o reali trappole per lo scafo della tua nave, trasformarsi in appigli, in ancore a cui aggrapparti se la tua imbarcazione sta colando a picco.

Mare che ti lambisce, che ti accarezza i piedi quando cammini sulla spiaggia, e che è dunque vicino, mare che tocchi, mare concreto, ma anche mare che spalanca davanti a te la sua immensa distesa: metafora dell'Infinito e dell’Ignoto.

Mare che tocchi con i tuoi piedi oppure, chinandoti, con le tue mani, e che sfugge immediatamente dai tuoi arti, come la sabbia che ti illudi di trattenere, come i sogni e le speranze, che il più delle volte scivolano via dalla tua vita.

Mare che ti sembra luogo di libertà, perché sulle sue onde non ci sono confini.

Mare che ti tiene prigioniero, sradicato dalla tua terra e dai tuoi cari, e che fa dunque di te un esule smarrito.

Mare nel quale ti immergi assaporando momenti di solitudine, al riparo dal rumore incessante della spiaggia del mondo.

Mare in cui non puoi sopravvivere a lungo e che devi presto lasciare per tornare alla terra, per tornare ai tuoi simili, per tornare alla vita, che da solitario non vale la pena di essere vissuta.


mercoledì 19 novembre 2025

Medusa. Riflessioni sull'omonimo dipinto di Patrizia Bonazelli


Gorgo di pietra è l'abisso da cui assassina proviene.

Gorgo di morte è lo sguardo che nella morte seco trascina chi incauto la osserva.

Alle sue spalle cupo vortica il Caos di notte da cui emerge, il Caos del buio senza fine, dell'oscurità senza ritorno.

Sul suo capo vorticano spirali d'oblio in attesa di risucchiare le sue incaute vittime, sul suo capo cinto da serpentifera chioma, pronta a somministrare morsi velenosi, letali.

La sua serrata bocca fredda ed astuta nasconde zanne di cinghiale, pronte a carpire anime e corpi.

Le sue mani sono bronzee trappole, pronte ad afferrare anime e corpi.

Solo l'alata leggerezza di Perseo, di specchio dotato, riuscì ad avere la meglio su di lei dormiente.

L'eroe la testa le troncò, evitando il destino di pietra ad altri toccato.

Dal suo capo reciso schizzarono tosto l'equino Pegaso e Crisaore: simbolo della Vita che libera fugge dalla prigionia della Morte.


Riflessione ispiratami dalla visione del dipinto "MEDUSA" dell'Artista Patrizia Bonazelli.

lunedì 17 novembre 2025

Mandala e pesci. Riflessioni sul dipinto "Fourth dimension" di Patrizia Bonazelli


Mandala misterioso, enigmatico, non svelato, esercita attrazione su pesci colorati dal desiderio di sapere, di conoscere, di imboccare una porta che dischiuda loro la luce della Verità.

Girano inquieti, frementi, affamati di Conoscenza, attorno al Simbolo che non si vuole aprire, che non vuole saziare la loro fame d'Illuminazione.

Ma in basso s'apre uno squarcio: la luce di Dio inizia a spandere i raggi della Verità a a poco a poco oscurerà il talismano che in alto non può dare le agognate risposte.


Riflessione ispiratami dalla visione del dipinto "Fourth dimension" dell'Artista Patrizia Bonazelli.


giovedì 13 novembre 2025

Macchie


Macchie sporche e macchie pulite; macchie cattive e macchie buone.

Macchie che rompono la monotona fissità dell’apparenza, provocando dolore o arrecando sollievo, portando amarezza o regalando momenti di gioia.

Macchie cattive che sporcano l’anima: macchie che noi ci facciamo con la presunzione, con la prepotenza, con l’insofferenza, con l’indifferenza, con l’egoismo, con la mancanza di volontà di capire i drammi e le sofferenze altrui, e che solo il pentimento può far sbiadire.

Macchie buone che puliscono l’anima: macchie di colore sul grembiule di un imbianchino; macchie di sangue sul vestito di chi soccorre un ferito; macchie di sudore prodotto dalla fatica di un lavoro onesto o dalla generosità di chi aiuta il prossimo; macchie che un po’ di sapone fa svanire dalla materia ma che rimangono solidi mattoni nell’esistenza di ognuno di noi.

Macchie sporche e invisibili che deturpano il più candido degli ambienti, la più asettica delle comunità umane, dove a regnare sono l’aridità e l’indifferenza: è difficile che in una pietraia una pianta possa mettere radici.

Macchie pulite e vistose che abbelliscono e ingentiliscono il più degradato dei paesaggi, il più disprezzato dei gruppi umani: in mezzo al fango può nascere un fiore.

Macchie amare, che produciamo ogni volta che vogliamo imporre le nostre ambizioni sui diritti degli altri, e che è fin troppo facile apporre nell’interno della nostra anima e nell’esistenza degli altri.

Macchie dolci, che stemperano il dolore e che spesso costa fatica e sacrifici apporle contro il muro della pigrizia e dell’egoismo.

Macchie invisibili, di un libro riposto in libreria, sempre spolverato ma mai aperto, mai letto.

Macchie evidenti, di inchiostro sulle maniche di chi impiega il tempo libero per prendere appunti, per studiare, per acculturarsi.


domenica 9 novembre 2025

Luci


Luce nera, che frantuma la roccia del vivere, incendiandolo del dolore assoluto, del dolore che con te contrae matrimonio indissolubile: dolore di
  incolmabili vuoti e di strazianti rimorsi.

I tuoi appigli via si sfilano dalle tue mani scivolose di pianto, che più non trattengono le gioie del passato.

Luce nera, destinata però a diluirsi nella Luce, che nell’anima continua a viaggiare con le sue particelle prive di materia ma colme di Dio.


Luce bianca, che non può essere vista dall’anima che non vede più la persona cara ma che continua la sua invisibile corsa e infonde di splendore chi più non calca il palcoscenico terreno.

I tuoi occhi vedono e da essi scendono lacrime di gratitudine per chi non c’è più.

Luce bianca, che ti fa vedere con chiarezza i tuoi errori, i tuoi peccati, mentre tu acquisisci contezza della giustezza dell’espiazione che prende la forma di strazio che non ti abbandona a causa del peso delle tue mancanze.

giovedì 6 novembre 2025

L'oscuro t'avvolge


L'oscuro t'avvolge, forse sfumando da un lento tramonto, forse con l'istantaneità di un flash che t'acceca.

Rimani immobile: sorpresa o paura che sia, non vedi più, non ti muovi più, non articoli più pensieri.

Ma è solo un attimo, un istante necessario a calarti nella dimensione del buio.

Anche il buio ha una sua luce; anche il buio ha i suoi colori, le sue sfumature.

Il buio è solo una diversa coltre, spessa, meno trasparente, ma la mente vede attraverso di esso, vede un passato macchiato di errori che inducono rimorsi e costellato di vuoti che inducono strazio, e immagina un futuro che, come tale, ancora non c’è.

Lo sguardo s'abitua a distinguere particolari luminosi, che a poco a poco diventano insieme coerente; è come un quadro dai cupi colori: a poco a poco, lo osservi con più attenzione, ti avvicini ad esso e scopri riflessi cromatici più chiari e forme nitide che prendono forma dall'oscurità informe.

La mente supera gli ostacoli del sipario calato, delle luci spente del conosciuto, e scava dentro l'anima come dentro i concetti irrisolti, le questioni irrisolte, le domande che sembrano negarsi risposte che si celano oltre il buio.

L'anima s'apre a meditazioni spesso negate dalla luce del mondo, dai lumi del quotidiano.

L'oscuro t'avvolge ma non per accecarti, per immobilizzarti, per ingabbiarti: ti dà un'occasione per affinare una vista che ti sarà utile anche quando le tue torce del giorno dovessero affievolirsi o venire meno.

L'oscuro ti fa imparare a vedere in cantine, grotte, tane e caverne, rendendoti poi in grado di vedere meglio ciò che dal suolo emerge e dalle stelle è soffusamente inondato. 


lunedì 3 novembre 2025

Le strade sono bagnate


Le strade sono bagnate, in questo crepuscolo mattutino in cui il buio notturno non vuole cedere il posto alla luce del giorno, il cui il dolore non vuole cedere il posto alla gioia di vivere.

Le strade sono bagnate, in questa mattina d’autunno quasi invernale in cui non sai se al suolo s’è depositata una rugiada annunciante la primavera oppure la consueta gelata invernale, in cui non sai ancora se il sipario della cupa cupola sopra di te nasconde un sole che l’animo riscalderà oppure grigie nuvole che la loro triste ombra sul tuo capo chino proietteranno.

Le strade sono bagnate e ancora non sai se Febo le asciugherà oppure se un siderale vento trasformerà il sottilissimo acqueo strato in infida lastra.

Di sicuro, il gelido vento che dalla lontana valle sul tuo balcone soffia ti schiaffeggia la faccia come il ricordo dei tuoi peccati ti schiaffeggia l’anima e lo strazio la artiglia come inizio di espiazione, come anticipo di Purgatorio. 

domenica 2 novembre 2025

Piove

Piove

in questo 2 Novembre,

come se il cielo

facesse cadere le sue lacrime

sui sepolcri consacrati al ricordo.


Nelle gocce di pioggia

si rispecchiano le mie lacrime

che sgorgano dal rimorso

per il mio egoismo,

per tutte le volte che,

preso dai miei pensieri,

dai miei sogni, dal mio dolore,

non ho rivolto premure,

attenzioni e parole gentili

alle persone amate

che non ci sono più.


Piove e fuori

prima o poi smetterà,

ma sulla mia anima

continuerà a cadere

la pioggia acida dei rimorsi

per le mie azioni

e per le mie omissioni. 


sabato 1 novembre 2025

È triste lo sguardo del clown

È triste lo sguardo del clown.

Forse perché dietro la maschera nascondere tutte le sofferenze e le delusioni che la vita gli ha riservato.

Forse perché il riso che suscita negli spettatori si specchia nelle derisioni di cui è stato vittima.

Forse perché la sua maschera è una lente che gli fa vedere meglio la realtà dell'uomo. 

venerdì 31 ottobre 2025

Lentamente, tutto coincide


Lentamente, tutto coincide, come in un mosaico, mentre il tempo nel suo scorrere incide solchi nel terreno del mondo, nelle costruzioni degli uomini, nelle anime delle persone, solchi destinati ad approfondirsi sempre di più, in attesa che acqua e aria limino le loro pareti fino a ridurre il tutto a tabula rasa, mentre l’anima anela a vedere la porta che dischiude la luminosa eternità nel Regno di Dio.

Lentamente, tutto coincide, come su una riva a poco a poco livellata dalle onde del mare, mentre le cime montuose s'addolciscono a forza di carezze della brezza e si limano a suon di schiaffi del vento, mentre gli spigoli dei muri si smussano con il passare dei decenni, mentre i dolori umani perdono di intensità col trascorrere degli anni o aumentano sempre di più a seconda delle colpe commesse, mentre le gioie umane s'ammantano di lucida nostalgia man mano che il Tempo allontana l'attimo del loro sgorgare dalle sorgenti della vita, consegnandolo al Passato.

Lentamente, tutto coincide, come nell'ordine geometrico delle pagine di un libro, il cui epilogo dà senso ai tanti interrogativi disseminati nella trama, mentre la geologia rivela gli strati del suolo, mentre l'archeologia rivela le vestigia delle civiltà, mentre gli individui accumulano ricordi su ricordi, vere fondamenta del presente e del futuro.

Lentamente, tutto coincide, come nel sorgere e nel tramontare del disco solare, mentre la terra ne assorbe il calore per poi ricadere nel freddo notturno, mentre le strade ricevono il movimento dei viandanti per poi tornare silenziose e deserte, mentre gli uomini si immergono nella diurna socialità per poi tornare nel serale privato domestico.

Lentamente, tutto coincide, come in un compendio di Storia, mentre il pianeta respira l'aria del suo passato, mentre palazzi e templi ascoltano l'eco dei loro progettisti, dei loro costruttori, dei loro occupanti, mentre gli uomini fanno, sgomenti o sereni, i conti col loro passato, traendone, si spera, utili insegnamenti.

Lentamente, tutto coincide, mentre il Tempo, a poco a poco, svela il punto di osservazione per chi non ha veli davanti agli occhi e gli fa vedere che il mosaico della sua vita non è composto da tessere impazzite ma contiene un disegno dotato di senso.

È il disegno che Dio ha fatto per noi.


mercoledì 29 ottobre 2025

Le ferite rimangono aperte

Le ferite rimangono aperte, con illusorie cicatrici che svaniscono all'emergere dei ricordi, riaprendo labbra su carni di strazio.

I vuoti rimangono abissali, con caduche coperte che li nascondono come nebbia che si dissolve all'emergere del sole del vissuto.

Gli errori, i peccati, rimangono vivi nell’anima, salici piangenti dotati di spine che si piantano in essa quando soffia il vento del rimorso.

Ma si va avanti lo stesso, sperando che le nostre suole ci proteggano dalle pietre acuminate di cui è cosparso il sentiero della vita, pur sapendo che solo camminando scalzi potremo espiare le nostre colpe.

Le ferite rimangono aperte e tali ce le porteremo dietro lungo la via e i giorni che ci restano.

Il mondo distrae, gli affetti distraggono, ma il dolore che esse procurano durerà per sempre.

martedì 28 ottobre 2025

La tristezza di un ospedale di sera

D’autunno inoltrato o d’inverno, quando inizia la sera e il sole si avvia al tramonto, le luci sono già accese nei corridoi e nelle camere del vecchio edificio probabilmente più adatto ad ospitare una facoltà universitaria che un ospedale: tutto conferisce, guardando dall'esterno, un aspetto triste alla Casa della Vita. E della Morte.

Il pensiero, che consente di volgere sguardi penetranti con occhi ben più attenti di quelli fisici (che consente cioè di guardare gli occhi dell'anima), corre a tutte le persone che sono ospiti dell'ospedale.

A chi sta soffrendo molto fisicamente: qualcuno, chissà?, ha talmente tanto male da non riuscire a concentrarsi su altro che sul dolore che sta provando; qualcun altro, forse, ha negli occhi e nel resto del corpo la paura di una fine che per lui significa la conclusione di tutto; la fede di altri, invece, consente loro di pensare alla morte come a un passaggio verso una forma di vita migliore (come mi ha raccontato il mio amico Paolo Stefano Riccadonna, ci sono persone che, nonostante le sofferenze, muoiono col sorriso sulle labbra dicendo ai propri cari un'ultima, confortante parola: "Arrivederci"). Ognuno reagisce in modo diverso dagli altri alle esperienze e, a maggior ragione, anche a quella del dolore e al pensare alla morte.

Ma il pensiero corre anche a chi non sta (o non sta più) soffrendo in modo acuto: a chi è in più o meno ansiosa attesa di un intervento chirurgico previsto per il giorno dopo; a chi aspetta trepidante di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici per valutare la gravità o meno delle sue condizioni di salute; a chi è già a conoscenza di un responso non positivo e cerca di abituarsi all'idea di un lungo decorso o di una durata di vita di pochi mesi; a chi, al contrario, ha superato con successo esami ed operazioni e, sapendo che guarirà completamente, passeggia serenamente nei corridoi, nella più o meno breve attesa del giorno delle dimissioni e poteva tirare un grosso sospiro di sollievo. Ma anche in quest'ultimo caso è difficile pensare a un animo gioioso e spensierato, visto che si è comunque a contatto con l'altrui sofferenza, con le altrui condanne (a meno che, naturalmente, uno non sia completamente insensibile ed egoista): un po' di tristezza incombe certamente anche su chi sta per uscire dal tunnel.

Si sta avvicinando l'orario delle visite serali e anche da questo aspetto l'immaginazione corre a fotografare diverse situazioni: chi, rimasto o lasciato solo, guarda con tristezza, con rabbia forse, agli altri ricoverati circondati dal caloroso affetto di parenti ed amici; chi non si aspetta una certa visita ed ora prova la gioia di una gradita sorpresa; chi gode del conforto di visite quotidiane di persone care, della consolazione di non sentirsi abbandonato.

E vario è anche lo stato d'animo dei cari dei ricoverati: chi vive già nel sollievo di un ricovero per una cosa non grave o per un pericolo che per fortuna è stato fugato dagli esami; chi, dopo un grave problema di un parente, è sì confortato dall'esito positivo delle cure ma aveva sul volto profonde rughe improvvisamente scavate da un patema improvviso che l'ha fatto invecchiare di vent'anni. E chi, di fronte ad un verdetto di condanna senza appello, sta vivendo il dramma di accompagnare negli ultimi giorni un caro consapevole della sua fine (standogli vicino con una straziante tenerezza e con sforzati sorrisi, promettendogli che sarebbe stato forte e che se la sarebbe cavata bene anche senza di lui) oppure l'opposto dramma di nascondere alla persona cara la fine imminente, violentando i propri occhi per impedire loro di lasciar tracimare lacrime che sarebbero corse come fiumi di lì a qualche ora, di lì a qualche giorno, e concedendo loro un temporaneo fluire durante brevi permanenze nel corridoio, al riparo dallo sguardo del proprio caro steso sul letto in una camera.

È triste un ospedale di sera.


Scritto ispiratomi passando una sera in auto lungo l'Ospedale Mauriziano di Torino.


domenica 26 ottobre 2025

Lasciatemi morire

Lasciatemi morire,

lasciatemi andare

verso la foce dell’Eternità,

in questo momento della vita

in cui il mio passato, il mio vissuto,

è un magigno che le mie spalle

non riescono più a portare.

 

Lasciatemi morire

ma senza consolarmi,

perché i miei errori,

i miei peccati,

il mio egoismo

non meritano conforto.

 

Lasciatemi morire

ma in modo naturale,

perché se rinunciassi alla vita

per una mia decisione

sarebbe una vile fuga

per evitare le sofferenze

e lo strazio che merito

di patire fino alla fine,

sarebbe il rifiuto dell’espazione

che devo affrontare fino in fondo.

 

Lasciatemi morire

ma non ora,

perché chi mi vuole bene

non merita di soffrire

per evitare a me questa sofferenza,

 

anche se non anelo più al sole

ma alla notte,

a una notte senza stelle.


venerdì 24 ottobre 2025

La solitudine di un faro


La notte marina avvolge la pelle e l'anima in un abbraccio col brivido.

Pallida eco di luce dalle stelle del firmamento proviene.

La solitudine del buio viene scalfita ad intermittenza dalla luce d'un faro, solitario come te, viandante lungo sentieri che di salsedine odorano.

Ti attrae, ti ammalia, l'inquieta torre, obelisco di Poseidon, e non sai se ti osserva con animo protettivo o minaccioso.


Scritto ispiratomi dal pensiero di Paolo Stefano Riccadonna: “Lasciarmi affascinare dall’inquietante solitudine di un faro”.


giovedì 23 ottobre 2025

In fondo, che colpa ne abbiamo?


In fondo, che colpa ne abbiamo se a volte continuiamo a parlare a statue che ci rispondono col loro mutismo, a cercare brecce, aperture in muri che con noi vogliono rimanere compatti, invalicabili, a rivolgere un sorriso a visi che non vogliono contraccambiarlo, a sperare che dopo tante porte sbattuteci in faccia l’uscio che abbiamo di fronte possa aprirsi per farci entrare?

In fondo, che colpa ne abbiamo se proviamo delusione, amarezza e tristezza quando scopriamo nell'altro una diversità che a noi non è complementare ma che ci respinge, quando camminiamo su una spiaggia sassosa che non si fa accarezzare dalle onde del mare e su cui i nostri piedi invano cercano una morbida sabbia disposta ad accettare le nostre orme?

In fondo, che colpa ne abbiamo se il sole che avevamo scelto come bussola della nostra vita si nega nascondendosi dietro nuvole scure, se la luna che avevamo scelto come musa non risponde alle nostre invocazioni e continua a guardarci col suo gelido biancore?

In fondo, che colpa ne abbiamo se osiamo sperare che qualcuno capisca le nostre aspirazioni, i nostri progetti, i nostri sogni, e li faccia propri rispondendoci con un semplice "sì"?

In fondo, che colpa ne ha chi non si vede simile a noi, chi non vuole accettare il nostro donarci, chi non contraccambia la nostra sussurrata richiesta di condividere qualcosa che ci è caro?

In fondo, che colpa ne ha l'atomo che non vuole unirsi a noi, preferendo far parte di altre molecole, di altre leghe, magari più resistenti al bisogno di dividere con altri ciò che si ha?


Testo ispiratomi dalla lettura del racconto “Inviti superflui” di Dino Buzzati.

Grazie a Paolo Stefano Riccadonna per avermi fatto conoscere questo racconto.


lunedì 20 ottobre 2025

Il mare sulla parete


Il mare sulla parete incombe sull'osservatore con la sua inabissante profondità.

Onde dai colori cupi inducono a meditare sugli tsunami che possono incombere sulle ignare vite.

Onde dai colori vivaci invitano a tuffarsi in quell'immensa piscina che è la vita per assaporarne la gioiosa bellezza.

Il mare sulla parete: quadro esposto forse in un museo, forse chissà dove; quadro che induce a pensare che il mondo e l'esistenza in fondo sono medaglie.

Medaglie con due facce.


Riflessione ispiratami da una frase di Renata Di Leo.


sabato 18 ottobre 2025

Il giorno come un film


Dissolvenza in entrata, interno giorno. Gli occhi si aprono e ancora annebbiati iniziano una panoramica sulla stanza in penombra, mentre la panoramica della mente scruta il futuro del giorno che inizia, scruta le cose da fare, scruta il mondo che ci attende; gli occhi si chiudono ancora per un momento, per assaporare il ricordo del sonno, del riposo, di un sogno. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, interno giorno. Le gambe si muovono e iniziano la carrellata verso i rituali consueti della preparazione all’uscita, dalla toeletta alla colazione, dalla colazione alla vestizione, dalla vestizione alla porta che s’apre. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, esterno giorno. Le panoramiche della vista si aggiungono, si uniscono alle carrellate delle gambe; la scena si svolge in mezzo alla gente assonnata e inghiottita dal traffico: la meta, l’obiettivo dell’ultima sua immagine è un palazzo, è una porta oltre la quale si cela un luogo dove spendere ore di vana miseria, un meschino teatro di tanti meschini arrivismi, di tante meschine frustrazioni. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, interno giorno. Un ufficio dove svolgere lavori inutili o dannosi per il genere umano; un ufficio dove attendere di sbrigare una pratica avendo a che fare con burocrati ottusi; un ospedale dove cercare conferme alla speranza nel timore di trovare conferme a condanne; tante le scene, tanti gli interni, stessa musica e stesso destino, quello del tempo che passa, del tempo che viene sprecato. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, esterno giorno. La panoramica dello sguardo mostra un cielo col sole basso, mostra i colori tenui della sera; la panoramica sulle strade mostra la gente muoversi sulla via del ritorno a casa; le carrellate successive portano l’obiettivo a incontrare strade affollate e mezzi di trasporto pieni. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, interno notte. Una porta si apre, una luce si accende, la porta viene richiusa; il ponte levatoio è di nuovo alzato, il maniero ha di nuovo accolto il pacifico guerriero che è ritornato dal torneo quotidiano; le panoramiche si fanno più lente, il respiro diventa più calmo, ora si può tirare il fiato. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, esterno notte. Una finestra aperta, un balcone adorno di vasi, regalano un sereno sguardo sul mondo, sul quel mare ora quieto ora impetuoso nel quale l’indomani bisognerà tornare a nuotare. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, interno notte. la stanza in penombra è la scena ideale per consentire all’anima di fare una panoramica sul passato e sul futuro, prima che il sonno venga a portare la parola fine sullo schermo della giornata. Dissolvenza in uscita.

giovedì 16 ottobre 2025

Il fuoco di foglie secche


Il fuoco di foglie secche non brucia vita ma morte, non dissolve ricordi ed affetti ma illusioni e caducità.

Il fuoco di foglie secche non provoca ustioni ma dona tepore, non dà un dolore infinito ma schiocchi di serenità.

Il fuoco di foglie secche non dura ore ma attimi, non è strazio ma soltanto imago del tempo che pur se ne va.

Il fuoco di foglie secche non brucia di certo gli amori ma solo improvvise passioni che fan parte delle vanità. 

mercoledì 15 ottobre 2025

Il fuoco arde


Il fuoco arde, in questo scenario prodotto dall’immaginazione, probabile reminiscenza onirica di qualche incubo latente nell’inconscio.

Il fuoco arde, sotto forma di fiammelle disseminate in uno spazio terreno vasto e indistinto, scuro di colore e dalla superficie indecifrabile.

Il fuoco arde, con le sue fiammelle che ondeggiano come petali accarezzati dalla brezza: petali che non recano freschezza alla pelle ma ustioni.

Il fuoco arde, non come una marea che rischia di sommergerti ma come tanti puntini luminosi che, fatui, si spengono in poco tempo, un attimo prima che altri emergano da un suolo evidentemente ricco di combustibili.

Il fuoco arde e non sai se ti trovi in un film, in un sogno o di fronte al dipinto di un pittore visionario.

Il fuoco arde e scopri in esso il riflesso della tua anima, con le tue ancor vive amarezze, con le tue inconfessate paure, con le tue mai dichiarate speranze.

mercoledì 8 ottobre 2025

Recensione a Dan Brown, "L'ultimo segreto"


Lo confesso: un po' mi mancavano le (dis)avventure del professor Robert Langdon, il personaggio protagonista di tanti romanzi di Dan Brown.

Evidentemente l'Autore ha voluto farmi passare questa piccola nostalgia con la sua ultima fatica letteraria, L'ultimo segreto.

Temevo che, avendo come tema portante la noetica, fosse un mattone come Il simbolo perduto e invece, superate le prime pagine, L'ultimo segreto mi è piaciuto.

Ha tutti gli ingredienti del thriller mozzafiato: azione, cambi continui di luoghi in cui si svolgono le varie vicende, colpi di scena.

Ed ha pure importanti riferimenti storico-culturali su Praga, la città in cui è ambientato.

Lo stesso argomento centrale del libro, la delocalizzazione della coscienza, che secondo alcuni scienziati non risiederebbe nei neuroni e quindi non morirebbe con la morte del corpo, è affascinante e, qualora venisse provata, a mio avviso porterebbe alla conclusione che l'anima è immortale, smontando le teorie dei materialisti, da Pomponazzi in poi.

Certo, al di fuori del romanzo di Dan Brown, nella vita reale queste ricerche devono fare ancora parecchi passi avanti ma, da quel che se ne apprende dalle riviste scientifiche, gli inizi sono incoraggianti.

Per tutti questi motivi L'ultimo segreto è un romanzo da non perdere.

 

martedì 7 ottobre 2025

Il barbone


Ha due sandali come scarna calzatura e gambe nude a malapena coperte da un cappotto preso chissà dove, scarto di chi problemi non ha.

Il gelo invernale ha per dura coperta, l'afa estiva per opprimente mantello; ai passanti chiede all'aria aperta una moneta, con o senza cartello.

Barbone, clochard, vagabondo: in fondo, è lui il padrone del mondo, perché su nulla ha la proprietà, e solitario gira qua e là.

Porta con sé una storia unica, perché ognuno è diverso dagli altri, eppure uguale a molte persone, a cui la stessa sorte lo accomuna.

Difficile pensare che la sua sia stata una libera scelta, fortemente voluta; il suo errare da un corso a una via di certo nasce da un fallimento.

Poco importa sapere di lui quale passato l'ha portato all'aperto; quel che preme è l'avere presenti le tante porte che chiuse ha trovato: porte che l'hanno escluso da un mondo, che aveva creduto fosse suo per sempre; porte che ora gli negano aiuto, per risollevarsi da un colpo subito.

Egli è l'immagine nascosta da noi, che non vogliamo agli altri guardare, che non vogliamo gli altri ascoltare, presi come siamo solo da noi stessi.

Davanti a lui potremo in fretta passare, per negargli due soldi, un sorriso; oppure potremo dargli l'elemosina, illudendoci che sia atto da Paradiso.

Ma la nostra coscienza non si pulirà e il mondo non diventerà più bello fino a quando il giorno arriverà in cui lo sentiremo come un fratello. 

domenica 5 ottobre 2025

I canarini rimarranno in gabbia


I canarini rimarranno in gabbia i canarini e guarderanno spicchi di cielo da balconi stretti o da finestre chiuse.

Canteranno per allietare padroni spesso indifferenti oppure incapaci di dar loro la libertà che non hanno mai conosciuto.

Sbatteranno invano le ali, non potranno spiccare il volo incarcerati a vita fra sottili sbarre metalliche.

Non potranno librarsi nel cielo, a rischio sì di predatori alati ma almeno liberi di andare verso il sole per rivolgergli il loro canto d'allegria.

La loro vita sarà come un amore mai nato e il loro canto suonerà come un: "Ti amo", che non riceverà risposta.

Stretta gabbia di ferro, la loro.

Immensa prigione di tristezza, quella di chi ama non corrisposto.