domenica 22 giugno 2025

Un fiore mi guarda

Un fiore mi guarda: resiste all'inverno, come io resisto alla vita.

Con i suoi delicati petali si specchia nella mia fragilità.

Cerca da me uno sguardo dolce ed un sorriso, con cui poter essere ricambiato del suo dono di dolcezza.

Gli rivolgo l'uno e l'altro: almeno io non resto muto davanti ai regali d'amore, almeno io so essere riconoscente.

Un fiore mi guarda: sarà bello dividere con lui la brezza di primavera, il sole d'estate, la rugiada che dona forza ed ottimismo; sarà bello appassire insieme a lui, dopo un reciproco e lungo scambio di riconoscenza.


8 febbraio 2019.


mercoledì 18 giugno 2025

Notte, accoglimi

Notte, accoglimi fra le tue protettive braccia, che di sostanza e di colore bisogno non hanno.

Fa' che il mio chiudere gli occhi davanti al tuo silenzioso buio sia una serena porta che riflessioni armoniose e serene nella mente m'induca.

Fa' che il tuo cullarmi oscuro nel sonno popolato sia dei fuochi fatui dei sogni, che come semi fecondi nella realtà del giorno daranno vita ai germogli dei miei pensieri da veglio.

Fa' che il mio corpo trovi in te il rinfrancante bagno del riposo, per risvegliarsi tonificato all'unisono con la mia anima aperta in un sorriso per accogliere grata le sfide e le gioie d'un nuovo giorno.


martedì 10 giugno 2025

Bellezza, ti prego

Bellezza, ti prego, avvolgi il mondo con la tua luminosa nebbia e fa' che essa, condensandosi, ne copra le brutture e le sciolga, depurandolo di tanto odio, di tanta violenza, di tanta meschinità.

Bellezza, ti prego, rifulgi in ogni persona che rifugge l'egoismo e il pensare al suo ventre e che dona se stessa agli altri individui, amando col cuore e con quel Lume che Ragione si chiama.

Bellezza, ti prego, riconosci te stessa in ogni scritto di valore, in ogni dipinto di valore, in ogni scultura di valore, al mondo spesso insensibile donati da coloro che sono i tuoi umili sacerdoti: scrittori, pittori, scultori.

Bellezza, ti prego, proteggi le anime savie che a te si aprono, riconoscendo in te un provvidenziale balsamo per sopravvivere al mondo, a questo barbaro mondo, regno delle umane tenebre e dell'umana ignoranza.

Bellezza, ti prego, continua a inondarmi con la tua luce riflessa in tante Muse, in tante persone, in tante opere, in tante cose verso cui possa io seguitare a provare immutata ed immutabile gratitudine.


lunedì 2 giugno 2025

Notte

Notte, implacabile sei giunta a pormi da solo di fronte al mondo, di fronte a me stesso, oltre lo specchio opaco che Quotidianità, forse per deviarmi dagli Obiettivi Ultimi o forse per proteggermi dal frantumare in essi la mia fragilità, di giorno frappone fra il mio istinto di sopravvivere nello spazio terreno e il mio tuffarmi verso aree di invisibile abisso.

Notte, hai portato con te un tramonto dispensatore di trame, portatore di vento di fili di ispirazioni che nell'aere del mio poetico osservare intorno a me invitanti fluttuano chiedendo forse d'essere catturati uno ad uno da un mio pollice e da un mio indice, d'essere impastati con ciò che dentro di me ho e sento, per diventare umili ed imperfetti versi di un vate minore.

Notte, benigna mi circondi col tuo attutente buio, che in me minaccia non reca ma protettiva coltre mi dona.

Notte, mi lasci a cullarmi con un consolante pensiero: in altri posti di questo mondo, le Muse riposano, meditano, scrivono e forse leggono quello che io posso offrir loro dopo aver preso tanto da loro. 


venerdì 30 maggio 2025

O corda di violino

O corda di violino, possa la mia anima essere sottile come te affinché io misuri il senso del mio infinitesimale essere nel mondo.

O corda di violino, possa la mia anima essere tesa come te, affinché io sia vigile sulle opportunità e sui rischi del mondo.

O corda di volino, possa la mia anima flettersi come te, ogni volta che l'archetto della vita le offre emozioni e sensazioni.

O corda di violino, possa la mia anima emettere suoni dolci come i tuoi, quando scrivo versi che oso presentare come poesie.

mercoledì 28 maggio 2025

Quando il mio ultimo giorno verrà

Quando il mio ultimo giorno verrà, vorrei poter morire guardando il tramonto ed esalare l'ultimo respiro un attimo prima che il sole cali oltre la linea dell'orizzonte.

Quando il mio ultimo giorno verrà, vorrei poter salutare i miei cari con un semplice: "Arrivederci", un attimo prima che il sole sparisca alla vista lasciando col suo ultimo raggio la speranza della rinascita.

Quando il mio ultimo giorno verrà, vorrei poter guardare alla mia vita terrena improntando il mio viso ad un sorriso, un attimo prima che una dolce e serena sensazione di sonno mi faccia chiudere gli occhi con la promessa del risveglio fra le braccia di Dio.

sabato 24 maggio 2025

Vento, porta via

Vento, porta via le foglie secche dei miei sogni, che la realtà con le sue dita imparziali ha staccato dall'albero della speranza; portale via, se sono intere, così come le ho viste planare lentamente dal ramo proteso al futuro all'humus del passato; portale via, se si sono sbriciolate al tocco dei miei polpastrelli appena ho provato a trasformarle in fiori e in frutti.
Vento, porta via l'ombra di una gioventù in cui dolore e rabbia erano fedele compagnia, fedeli araldi delle mie illusioni, delle mie delusioni; porta via l'ombra di tanti, piccoli o grandi, quotidiani fallimenti, che, ora lo so, erano simili ai tanti da altri incontrati;  porta via l'ombra di tante, piccole o grandi, inevitabili sconfitte, che, ora lo so, erano prove che il destino seminava lungo il mio cammino non per perseguitarmi ma per rendermi più forte, più saggio, forse migliore.
Vento, porta via tutto quello che ha annebbiato i miei anni passati, diminuendo le opportunità di prendere dalla vita ciò che di buono m'offriva; porta via tutto quello che ormai non mi causa più frustrazione e su cui non recrimino più; porta via quelle foglie ormai secche, d'ogni dolore alleggerite, vuoti involucri di amarezze che ora, se schiacciati, non lascerebbero umide macchie di dolorosa linfa ma solo polverosi residui al nulla destinati.
Vento, porta via le effimere tracce di effimere spemi; spazzale via dalla mia fronte, in modo che il sole illumini i solchi su di essa prodotti dai veri dolori, dai veri vuoti, che, ora lo so, con la loro incolmabilità fanno sparire le sofferenze causate dalla presunzione e dalla vanità. È giusto e doveroso piangere per  le vere cause di dolore; è peccato e vanità piangere per le cose che non valgono niente.

mercoledì 21 maggio 2025

Scivola via da me, o Tempo

Scivola via da me, o Tempo, moto primordiale che tendi all'Infinito e che nell'Infinito esaurirai la tua corsa.

Allontanami, o Tempo, dai passi che m’hai fatto compiere, dalle cose che magnanimo m'hai dato, dalle persone che crudele m'hai tolto.

Portami però sempre, o Tempo, la speranza che il tuo lasciarmi sempre più prossimo al sipario terreno sia solo un tuo andare avanti, un allungare il passo per prepararmi il trampolino da cui mi tufferò nell'Oceano dell'Infinito, non per annegare nel Nulla ma per ritrovare tutto e, soprattutto, tutti, in un Passato che si rifarà Presente e che vivrà per sempre. 

sabato 17 maggio 2025

Tendi, anima mia

Tendi, anima mia, verso un futuro fatto di passato che rimane e rimarrà, e di presente che guida verso l'Alto.

Mantieni, anima mia, i tuoi piedi ben saldi nel mio corpo terreno e non farlo precipitare nel mondo materiale su cui poggia i suoi, di piedi, ma aiutalo a farsi strumento del mio tendere verso l'Eterno.

Fa', anima mia, che il tuo bacino rimanga baricentro della mia fede e la rafforzi, come una bussola rende più sicura la rotta verso la Diritta Via.

Mantieni, anima mia, il tuo sguardo rivolto a Dio e continua a cercarLo anche quando le nuvole del mondo materiale sembrano nasconderLo ai miei occhi.

Tendi, anima mia, le tue braccia verso il Cielo e rendile frecce segnaletiche per guidare il mio tendere al Signore.

Distendi, anima mia, le dita delle tue mani verso l'Infinito:  dove i vuoti spalancatisi nel mondo terrestre saranno colmati da presenze ripristinate; dove le zolle del mio campo già rese brulle dal sole torrido del dolore ospiteranno nuovi prati di serenità e nuovi fiori di gioia; dove l'incontro con Dio riallaccerà legami che sono stati recisi dalla vita terrena, dal corrosivo scorrere del Tempo.


martedì 13 maggio 2025

Chiudi gli occhi, anima mia

Chiudi gli occhi, anima mia: cela al tuo sguardo la materia oscura, il mondo terreno che, caduco, contiene solo cose al dissolvimento destinate.

Chiudi gli occhi, anima mia: abbraccia, con tutto l'amore che da dare hai, le persone a te care, che ti hanno preceduto o che tu seguirai nell'Eternità; pensa a loro e mantieni vivo col ricordo il nesso che con loro hai e che dell'imperituro ha la sostanza.

Chiudi gli occhi, anima mia: concentrati sul passato e sul presente, sulle parti di essi che mai moriranno; guarda al futuro come a un giardino in cui coltivare la memoria di ciò che vale; guarda all'avvenire come a un frutteto da cui cogliere nuove gocce di perennità e non nuovi pezzetti di ghiaccio fatti di effimero.

Chiudi gli occhi, anima mia: assapora la dolcezza del bene che hai ricevuto, guarda commossa e grata a chi te l'ha donato e colma con nuovo bene da elargire ad altri lo smarrente vuoto che in te ha lasciato.

Chiudi gli occhi, anima mia: i sorrisi che anche così la tua bocca plasmano e le lacrime che anche così dalle tue palpebre escono non appartengono al mondo materiale ma a quella celeste dimensione che misericordiosa ti attende alla fine del tuo terreno cammino.


sabato 10 maggio 2025

Serenata per un giorno qualunque

Lenta è scesa la sera su uno dei miei già tanti giorni. Come sabbia che scorre dall'imbuto del tempo, ha coperto un altro tratto del mio futuro, che ora appartiene al mantello dei giorni passati che mi trascino dietro, forse con un po' più di fatica ma certo con equilibrio maggiore.

Intorno a me continuano dolorosi declini, piccoli sassolini che scivolano lungo la scarpata dell'irrefrenabile, dell'inevitabile.

Che senso ha spargere lacrime asciutte quando prima o poi esse dovranno, umide, cadere dai miei occhi lungo gote dal dolore scolpite?

Che senso aveva gioire, godere del settimo giorno, quando è per me uguale agli altri sei, quando è un giorno qualunque, in cui lottare contro i fantasmi dell'avvenire, contro i fantasmi del distacco, contro i fantasmi della solitudine?

È calata la notte e i suoni che nella mia anima porta si assemblano sul muto spartito d'una triste serenata, in cui non c'è speranza per l'ampio aprirsi d'una baia di gioia ma solo la mite preghiera al futuro affinché rallenti, rallenti al massimo, la discesa verso la foce del pianto.

Serenata per un giorno qualunque, perché esso si moltiplichi in un reiterato domani, in tanti altri giorni qualunque.


lunedì 5 maggio 2025

Se fossi un albero

Se fossi un albero, farei di tutto per far scorrere dentro di me la linfa del donarmi e dell’ascoltare per produrre i frutti di buone azioni.

Se fossi un albero, mi farei un taglio nella corteccia per far uscire fuori la linfa dell’egoismo affinché non mi faccia produrre frutti secchi o avvelenati.

Se fossi un albero, benedirei grato e commosso le mie radici per avermi consentito di spuntare fuori negli spazi aperti della vita.

Se fossi un albero, curerei i miei rami, le mie gemme, le mie foglie, che da qualche anno hanno ripreso a tendere verso l’alto, verso Dio.

Se fossi un albero, vedrei con gioia i miei frutti venire raccolti, ancora su di me o già caduti a terra, perché ciò che facciamo nella vita ha un senso solo se viene dato agli altri. E non li tratterrei sui miei rami per tenerli con me, perché seccherebbero senza nutrire né me né gli altri.


lunedì 28 aprile 2025

Versi d'ateo. Al professor Giuseppe Ricuperati

Fiori di poesia sbocciati dall’imperativo categorico di seguire soltanto la propria coscienza.

Sguardo su un Infinito delimitato con chiarezza dal realismo dell’immanenza.

Tenerezza e passione che sgorgano zampillanti dalla fonte di un’alma che non ha pretese di anelare all’eternità e che assapora la serenità di aspettare che cali ineluttabile il sipario del silenzio finale.

Poesia di un non credente: unica forma possibile di preghiera per lui. Preghiera laica.


Scritto ispiratomi dalla lettura del saggio di Giuseppe Ricuperati, Minima Muralia. Per una storia di me stesso non solo come storico, Biblion Edizioni.


giovedì 24 aprile 2025

Ricordo di Papa Francesco. Un sorriso si stende sul mondo

Un sorriso si stende sul mondo.

Scaturisce da duplice fonte:

la bontà di un'anima pura

e la fede nel Dio d'amore.

 

Quel sorriso conforta chi soffre,

quel sorriso regala coraggio

a chi vuole controcorrente

camminare in un mondo cattivo.

 

Quel sorriso si mantiene intatto

anche quando il dolore s'impone

per lo strazio di vite tranciate:

un sorriso che da balsamo fa.

 

Quel sorriso allieta i bambini,

gioia regala ai sofferenti,

accarezza i canuti anziani,

entusiasmo ai giovani dà.

 

Quel sorriso dà senso alla vita

di chi non smette di cercare Dio.

Quel sorriso è un dono di Dio.

È il sorriso di Papa Francesco.


domenica 20 aprile 2025

Ode alle lasagne alla bolognese

Se dài bando alle lagne,

puoi mangiare le lasagne

e di certo nulla perdi

se ti pappi quelle verdi,


quelle alla bolognese,

e ti bevi il Sangiovese.

La lor pasta ch'è croccante

rende il gusto esaltante


e ti tira sempre su

lo squisito lor ragù;

compagnia tanto bella

a lui fa la besciamella.


domenica 13 aprile 2025

Come cenci smessi

Come cenci smessi, lasciati scivolare a terra, ho deposto sul lastricato della vita le mie ambizioni, le mie presunzioni, la mia voglia di guardare al futuro come ad un pozzo a cui attingere acqua, come ad un prato in cui far sbocciare le mie speranze.

Come cenci smessi, lasciati dietro di me, ho abbandonato progetti un tempo accarezzati e coltivati con l’egoismo di chi non vedeva che per essi trascurava persone e cose ben più importanti.

Come cenci smessi, gettati su una pietraia, ho deposto dolori che non erano tali, vuoti che nulla significavano, non accorgendomi colpevolmente di quanto le mie futili disperazioni recavano dolore ai miei cari, di quanto il soffrire per ciò che non avevo mi impediva di assaporare la gioia di ciò che mi veniva generosamente dato.

Come cenci smessi, privi di calore, lascerò cadere sul suolo del tempo i giorni di rimpianto e di rimorso che vivrò guardando il sorgere del sole non come una nuova fonte di gioia ma come dolente pena per ciò che non ci sarà più. 

mercoledì 9 aprile 2025

Nei prati verdi dell'infanzia

Nei prati verdi dell’infanzia ho mosso i miei primo, incerti passi, aprendo gli occhi sul mondo con lo stupore della scoperta.

Nei prati verdi dell’infanzia ho cominciato presto mio malgrado a provare dentro la mia anima il sapore amaro della delusione.

Nei prati verdi dell’infanzia ho vissuto in un mondo in miniatura, separato dal mondo ma del tutto uguale al mondo.

Nei prati verdi dell’infanzia ho cominciato molto presto a capire cos’era il mondo, a capire la durezza del mondo.

Nei prati verdi dell’infanzia ho provato quelle amarezze che, in fondo, m’hanno fatto trovare più bello il mondo da adulto.

Nei prati verdi dell’infanzia ho imparato a sgomitare, ho imparato a reagire, ho imparato a sopravvivere.


venerdì 4 aprile 2025

Continua a regalarmi, mente mia

Continua a regalarmi, mente mia, il tuo essere tramite fra la mia anima e i miei sguardi del mondo.

Continua a regalarmi, mente mia, la capacità di vedere i dolori e le gioie negli esseri viventi che mi hanno circondato e in quelli che mi circondano.

Continua a regalarmi, mente mia, il flusso ritornante dei ricordi, che danno un senso al mio essere vivo.

Continua a regalarmi, mente mia, quella Ragione che mi consente di dare utilità a sensazioni ed emozioni.

Continua a regalarmi, mente mia, l'apertura della porta che consente alla mia anima di trasferire al mio viso i suoi sorrisi, i suoi strazi, le sue risa, le sue lacrime.

Continua a regalarmi, mente mia, la capacità di sentirmi vivo in questo mondo ma anche di essere proiettato in un mondo non caduco, infinito, eterno.


mercoledì 2 aprile 2025

Manzoni davanti al suo pc

Don Lisander è lì, nella sua tenuta di campagna. La villa è stata cablata: don Lisander ha il mondo davanti a sé.

O, per meglio dire, ha il suo pc acceso, che gli consente di dialogare e interagire col mondo. E anche di scrivere.

Di scrivere quel romanzo a cui si sta dedicando da decenni.

Non prima, però, di aver sorbito con la dovuta calma la sua solita tazza di cioccolata calda.

Poi clicca su “Documenti” e da lì sulla cartella “Romanzi”, e infine sull’icona del file .doc che contiene il suo capolavoro. Si attiva Word e un secondo dopo sullo schermo compare il testo, la stesura tante, troppe volte modificata.

Fermo, Fermo, Fermo: non suona bene come nome del protagonista maschile. Meglio Lorenzo, anzi, no, meglio ancora Renzo.

Ed ecco don Lisander cliccare sul pulsante “Modifica”; si apre una “tendina” e il romanziere clicca su “Sostituisci”.

Scrive “Fermo” su “Trova”, scrive “Renzo” su “Sostituisci con” e clicca su “Sostituisci tutto”.

In un attimo “Fermo” è stato sostituito con “Renzo” ed è comparsa la segnalazione: “Completata la ricerca di documento. Sono state effettuate 2410 sostituzioni”.

Che meraviglia non dover più riscrivere a mano centinaia di pagine per assegnare a un personaggio un nome più consono!

Un momento, però. Renzo va bene come nome ma quando è associato al cognome no: all’epoca in cui è ambientato il romanzo, i Renzo venivano registrati all’anagrafe parrocchiale come Lorenzo. Che fare adesso? Semplice. Don Lisander clicca su “Sostituiscie cambia “Renzo Tramaglino” con “Lorenzo Tramaglino”; in tutti gli altri punti del testo “Renzo” rimarrà “Renzo”.

Rimane comunque il dubbio dei refusi. Se in qualche punto don Lisander ha scritto per errore “Fermp” al posto di “Fermo”, “Fermp” non è certo stato sostituito. Ma non importa: a stesura definitiva, un esame approfondito del testo gli consentirà di correggere i refusi; e poi, “Fermp” non fa parte del vocabolario e Word avrà già provveduto a segnalarlo con la sottolineatura di colore rosso che anche i professori usano per evidenziare un errore.

Oddio! Altro dubbio, ben più opprimente: e se ha usato “Fermo” non come nome ma come aggettivo? Pazienza: la revisione del testo gli consentirà di accorgersi di frasi del tipo “a un certo punto videro un carro Renzo sulla strada”.

Bene: il protagonista maschile ha un nuovo nome. Ma Renzo e Lucia sono poi i veri protagonisti del romanzo? Non può esserlo, invece, la folla, quell’anonima folla che già adesso popola pagine e pagine del testo? Non può esserlo la Divina Provvidenza, che prima o poi metterà a posto le vicende dei personaggi?

Romanzo religioso, il suo, ispirato da una profonda fede. Un sospetto nemmeno lo sfiora: il suo criticare certi comportamenti del clero (la vigliaccheria di don Abbondio, l’opportunismo del provinciale dei Cappuccini) lo faranno forse accusare di giansenismo? Il rigore morale di uno scrittore non sempre viene inteso nel senso giusto.

No, non sembra possibile. L’ironia con cui don Lisander narra le disavventure di don Abbondio e l’inefficacia delle grida contro i bravi è del tutto estranea ai giansenisti, la cui fede senza amore non li faceva certo aprire la faccia alla bellezza del sorriso; non parliamo poi delle risate.

La stesura ora sembra finita. Sarà la cinquantesima volta che don Lisander se lo dice ma un’ora, un giorno, un mese dopo, ecco balenargli in testa una frase da correggere, un passo da rivedere, qualcosa da aggiungere, qualcosa da togliere.

Ha appena cliccato sul pulsante “File” e poi su “Salva” ed ecco insinuarglisi nella mente l’ennesimo tarlo: quella parola, da lui usata nel capitolo XV, si scrive veramente così. Bisogna verificare.

Allora don Lisander clicca sulla barra degli strumenti per far sparire dallo schermo il testo, che però rimane sempre “aperto”. Un altro click, questa volta sull’icona di Google Search, e poi si connette a quel dizionario della lingua italiana che da tempo ha inserito nei suoi “Preferiti”. Un rapido controllo ed è tranquillo: quella parola l’ha proprio scritta correttamente.

Sta per chiudere Google Search e lo assale un altro dubbio: la casa del vicario di provvisione l’ha proprio collocata nella via giusta di Milano? Meglio verificare.

Don Lisander si connette a Google Maps e digita il nome di una strada di Milano. Perfetto: la casa del vicario di provvisione nel romanzo è stata proprio messa nel punto giusto.

Abbandona Google Maps chiudendo il browser e, per scaramanzia, clicca ancora una volta su “File” + “Salva”. Ora, finalmente, può chiudere il file .doc del suo romanzo.

Ora, finalmente, la stesura è completa. Fino alla prossima volta, fino al prossimo dubbio.

 

Un raccontino surreale, visto che alla sua epoca Manzoni non aveva a disposizione i pc, ma che sposa due realtà: la lentissima elaborazione de I promessi sposi e la possibilità che oggi gli scrittori hanno di modificare in continuazione i loro testi senza eccessiva fatica fisica, in quanto i taglia/copia/incolla eseguiti con un word processor sono decisamente più rapidi del dover riscrivere su carta pagine e pagine, con frasi aggiunte ai margini o cancellate con un tratto di penna.

La stessa facilità e comodità che oggi, rispetto al passato, abbiamo nel consultare la correttezza di una parola o nell'acquisire informazioni su qualcosa: non più ricerche su un volume a casa o in una biblioteca ma una semplice connessione ad un sito che contiene quelle informazioni.

Ho indicato Manzoni come "don Lisander" perché era così che lo chiamavano i suoi contadini: se non erro, Lisander è l'equivalente lombardo di Alessandro.


martedì 1 aprile 2025

Tempo, raccontami

Tempo, raccontami ciò che le sofferenze da me provate impedisce di far uscire limpido dalla mia bocca, riducendo la mia voce a brandelli inudibili, a rantoli soffocati da un dolore quasi sempre smorzato dalla quotidianità ma sempre vivo, sempre acceso.

Declina per me il canto multiplo delle mie amarezze e dei miei fallimenti.

Regalami scampoli di luce, di libertà, di condivisione con altri, di speranza, di gioia, che la vita mi ha negato facendomi scontrare contro le sue scogliere.

Tempo, raccontami e regalami queste cose, prima che nella tua circolarità lineare tu fugga da me: per non tornare più o per ripresentarti in un altro tempo, in un’altra vita, in un altro mondo, in un'altra forma.


domenica 30 marzo 2025

Aprirete le finestre

Aprirete le finestre, lasciando che la luce mi inondi ancora un po' e che ancora un po' l'aria accarezzi i miei occhi ormai chiusi.

Aprirete le finestre, per consentire alla mia anima di lasciare quel corpo che mi avrà servito, dopo avergli detto "grazie" per avermi consentito di ricevere tanto dalla vita e, forse, di dare qualcosa agli altri.

Aprirete le finestre, per consentire alla mia anima di lasciare il luogo del mio ultimo respiro, di lasciare il cielo fatto di materia, per librarsi nell'infinito cielo dell'Eternità.

Aprirete le finestre, lasciando che il tempo dimostri da giudice imparziale se le impronte da me lasciate nelle vostre vite saranno state sufficientemente profonde da trasformarsi in ricordi.


mercoledì 26 marzo 2025

Lasciatemi cullare

Lasciatemi cullare, lasciatemi dondolare, lasciate che il mio pensare mi renda mare che con l’alta marea inonda il presente, erodendo della sabbia di un altro giorno la spiaggia della vita che ho ancora davanti, e che con la bassa marea mi faccia rinchiudere nelle profondità dei miei ricordi.

Lasciate che i minuti di quiete che precedono il sonno rimangano lo spazio inviolato della mia libertà, il prato soffice e morbido su cui i miei piedi nudi nel posarvisi non ne violentino l’erba ma si appoggino su di essa, traendone equilibrio e freschezza.

Lasciatemi cullare, lasciatemi dondolare fra la dolcezza di un ricordo e la rinfrancante speranza del domani,  fra la tenerezza di una frase sentita o detta durante il giorno che ha appena finito il suo compito e la tristezza per tante cose, per tante persone che lentamente declinano.

Lasciate che la grata gioia dei momenti vissuti sia lo specchio in cui io possa far riflettere per un po’ fantasie e progetti: fantasie che forse rimarranno come spunti per scritti; progetti che forse non si realizzeranno.

Lasciatemi cullare, lasciatemi dondolare, lasciatemi respirare all’unisono con l’Universo, lasciate che il mio cuore batta in sintonia col pulsare della vita in ogni altro essere vivente.

La notte mi aspetta, col sonno o con la veglia, con sogni o con incubi, con pensieri che confortano o che inducono preoccupazione. Il sonno prima o poi arriverà e mi preparerà un nuovo domani da affrontare.

Ma, almeno per un po’, lasciate che io guardi dentro di me, lasciatemi cullare.


domenica 23 marzo 2025

Sassolini dietro di me

      Sassolini dietro di me, lasciati cadere da me sul sentiero che ho percorso a volte con gioia, a volte con rabbia, a volte con dolore.

      Sassolini dietro di me, rappresentati da ricordi, da azioni o da persone,

appartenenti ad un passato che non tornerà più e che pure rimane vivo dentro di me.

      Sassolini dietro di me, intorno a ciascuno dei quali è ormai lentamente cresciuta l'erba del tempo, che col suo manto rende via via meno acuto il dolore di ferite prodotte camminando a piedi nudi su un terreno spesso irto di piccoli spuntoni.

      Sassolini dietro di me, intorno ai quali sono ormai spuntate le piante della memoria, che hanno dato di volta in volta i fiori dolci e delicati della gratitudine e quelli spinosi ma rari dell’amarezza.

      Sassolini dietro di me, che a volte sono rappresentati da cose tristi e da persone egoiste, che col passare degli anni si rimpiccioliscono sempre di più e che non condizionano più il mio cammino.

      Sassolini dietro di me, che altre volte sono invece costituiti da fatti ameni ed allegri, legati al dolce ricordo di persone stupende, che giorno dopo giorno nella mia memoria diventano massi sempre più grandi, che io non devo trascinarmi dietro come un fardello ma che mi seguono con la loro ombra, col loro essere punti fermi della mia vita.


martedì 18 marzo 2025

Sempre e solo sopra una pietra

Sempre e solo sopra una pietra il mio cuore ha sparso i suoi semi, dopo il mio sperare ha tracciato solchi per quei semi graffiando con ferocia la litica lastra come se fosse dotato di artigli.

Sempre e solo sopra una pietra quei semi hanno dato vita a piante che senza l'altrui terreno e senza l'altrui pioggia non hanno potuto vivere a lungo.

Sempre e solo sopra una pietra le mie mani hanno vanamente scavato, hanno disperatamente scavato per non fare seccare quelle piante, che non potevano essere nutrite dalle gocce di sangue che gocciolavano dalle mie unghie, dal mio cuore.

Sempre e solo sopra una pietra quelle piante, dalle radici corte e prive di terreno in cui affondare, sono state spazzate via dal primo lieve alitare di quel vento chiamato realtà.

Sempre e solo sopra una pietra le mie guance ansiose di carezze sono andate a sbattere ricevendo lo schiaffo di un ruvido selciato, fino a quando non ho capito che su di esso non si deve sperare di far nascere un fiore ma ci si deve sdraiare senza aspettarci nulla dalla vita. Come il corpo che dorme su un rigido letto riposa meglio e si sveglia più forte, così l'anima che si adagia sul duro terreno dove non crescono le illusioni è un'anima più forte, è un'anima che non ha bisogno di ingannevoli sogni.

Sempre e solo sopra una pietra voglio riposare per risvegliarmi ogni giorno più forte.


venerdì 28 febbraio 2025

Tante persone

Sull’abaco dei miei anni è già alto il numero delle persone che ho conosciuto e che non vivono più nel mondo terreno.

Persone viste, sentite, a volte solo sfiorate, altre volte conosciute un po’ meglio, che hanno fatto corona al mio passaggio nella vita e che ora sono consegnate all’album dei miei ricordi.

Una grande fiumana di gente è passata in quel punto sempre diverso che si chiama “presente”, gente che ho visto scorrere verso l’eternità e il cui ricordo mi accompagna nel mio navigare sospinto da quella silenziosa, lenta ma possente corrente che è il tempo.

Persone con cui ho condiviso un lungo tratto di strada, un lungo tratto di fiume; ma anche persone che mi hanno sfiorato e che ho sfiorato per un attimo appena, per un giorno appena, come foglie portate dal vento che guardi volare via mosse da brezza o da tramontana.

Di alcune mi rimane il rimpianto di non aver potuto o voluto conoscerle di più, conoscerle meglio. Ma forse è il rimpianto che tutti provano nel ricordare chi prima di noi ha cominciato a calcare il palcoscenico del mondo e prima di noi ha lasciato quello stupendo teatro che è la vita terrena.

Mi dà un po’ di tristezza scoprire di avere già un discretamente lungo passato alle spalle e di avere assistito a tanti commiati dal mondo.

Ma altre persone mi restano ancora e continueranno ad accompagnare i miei giorni futuri: petali teneri e dolci che cadranno dal fiore di questa vita, chi prima e chi dopo di me.

E nuove persone verranno a colmare vuoti presenti e futuri, a presentarsi a me come nuovi compagni di viaggio. Spero di dare loro quello che io ho ricevuto da chi non c’è più e da chi c’è ancora e continua con la sua presenza e col suo affetto a confortare il mio cammino.


venerdì 21 febbraio 2025

Guardando le foto di un tempo

Guardando le foto d’un tempo, vecchie foto tenute in un cassetto sempre pronto ad essere aperto, ritrovo me stesso, i miei passi, le mie radici.

Mi ritrovo in compagnia di persone amate, che non ci sono più o che mi rimangono accanto coi graffi prodotti dallo scalpello di quel maldestro scultore che è il Tempo.

Foto in bianco e nero, scattate con macchine che ora potrebbero stare in un museo; foto dai bordi tratteggiati come se fossero un francobollo gigante, stampate su carta spessa  che è un piacere toccare, tenere in mano; foto semplici ma indelebili, come del resto lo sono tutte le cose semplici.

Foto a colori, presto ingiallite: metafora triste che all'allegra e fresca tonalità cromatica della primavera e ai forti e passionali colori dell'estate segue sempre lo scolorire dell'autunno, lo sfumare delle emozioni della vita in una dolce tristezza.

Mi guardo bambino, mi guardo ragazzo, ma non sorge in me la nostalgia, la malinconia per ciò che non sono più. Anzi, per ciò che sono ancora ma arricchito da tante, ulteriori esperienze, belle o brutte che siano state.

Quel ragazzo, quel giovane uomo senza rughe e senza pancetta sono io, rimango io: quelle foto fissano una stratificazione esistenziale che ha continuato a diventare più spessa.

Non c'è malinconia ma solo gratitudine nel vedere com'ero: senza il mio essere allora, non sarei quello di oggi.

Nei miei occhi non ci sono lacrime di nostalgia per ciò che non sono più; nel mio sguardo brilla invece un lieto e sereno sorriso.


sabato 15 febbraio 2025

Il mio ritratto in venti domande e altrettante risposte

Il mio giudizio su Coelho scrittore è contrastato: mi piace molto il suo stile letterario (merito anche dei suoi traduttori) ma, quanto ai contenuti, detesto il suo mix culturale fra cattolicesimo osservante e magia, miscuglio che può ingenerare confusione in gente che è già molto confusa per conto suo. Non a caso, l’unico suo libro che apprezzo molto è Undici minuti, nel quale il romanziere brasiliano è rimasto, come dire?, coi piedi per terra.

Ad ogni modo, sulla scia di quanto Coelho ha scritto in un suo volumetto (cfr. Paulo Coelho: biografia di un narratore, Milano, Bompiani, 2003, pp. 107-110), provo a tracciare un mio ritratto rispondendo a venti domande.


Il tuo pregio più grande?

La mancanza d’invidia: le cose belle che capitano agli altri sono per me fonte di gioia e non motivo di rabbia.

 

Il tuo peggior difetto?  

Il rancore: non mi porta quasi mai a compiere atti vendicativi ma è difficile che io riesca a perdonare chi mi ha fatto del male.

 

Una passione?

La Storia, senza dubbio. Il passato è per me una base irrinunciabile dell’esistenza: sapere cos’hanno fatto e come pensavano gli uomini e le donne che mi hanno preceduto sulla Terra è una preziosa fonte di insegnamento.

 

Un’esperienza catartica?

Guardare dentro di me senza la paura di scoprire i miei errori.

 

La tua fonte d’ispirazione?

Le persone, che osservo sempre con dissimulata attenzione.

 

La cosa che ti fa più paura?

La stupidità di chi non sa pensare con la sua testa e vuole imporre ad altri ciò che è stato imposto a lui.

 

La tua più grande aspirazione?

Scrivere non solo per me stesso ma anche per gli altri: mettere a loro disposizione le mie riflessioni senza volerle imporle ad alcuno.

 

La prossima montagna da scalare?

Quella che è più vicina a me, quella che si chiama “oggi”.

 

Gli amici?

      Una realtà sfuggente, che credi di aver catturato ma che ti scappa via di continuo. E tu avverti sempre, amarissima, la sensazione del tradimento.

 

Le donne?

Un universo affascinante, da esplorare con rispetto e con ammirazione.

 

Gli uomini?

Degli eterni bambinoni: il vero sesso debole.

 

La verità?

Una parola che ognuno adopera a suo uso e consumo.

 

Il tempo?

Un immenso fiume che fa scorrere la nostra vita dalla sorgente dei nostri genitori allo sbocco nell’eternità.

 

La fama?

Vanità, nient’altro che vanità.

        

La fortuna?

Quella che ho avuto finora, ed è tanta; non quella che potrei avere e che già da un bel po’ di tempo ho smesso di desiderare.

 

L’impossibile?

La serena accettazione dei miei limiti.

 

La felicità?

Consapevolezza di ciò che hai avuto e di ciò che hai, senza badare a ciò che non hai avuto e a ciò che non puoi avere.

 

Il lavoro?

Se è appagante, è una parte importante della nostra vita. Se è alienante, è una prigione da cui continuamente si vorrebbe evadere.

 

La bellezza?

Una rosa che al mattino ha ancora sui suoi petali le gocce di rugiada, su cui si riflette la luce del sole.

 

La serenità?

Uno stato dell’anima che si costruisce a poco a poco, fra alti e bassi, con inevitabili ricadute: assenza di esaltazione, calma interiore che non impedisce di provare né gioia né dolore.


sabato 25 gennaio 2025

I pomeriggi all'oratorio di Santa Rita

Da ragazzino ho frequentato poche volte l'oratorio della parrocchia di Santa Rita a Torino.

Ci andavo qualche volta al pomeriggio con alcuni miei compagni di classe delle Medie Inferiori.

All'oratorio c'erano due campi da calcio, uno in cemento e l'altro in erba, almeno quel poco che cresceva sul terreno. Erano separati da un muro.

Noi si giocava in fondo al campo di cemento, nello spazio tra la linea di fondo campo e il muro dell'oratorio.

Giocavamo a "porta a porta" (senza Bruno Vespa, sia ben chiaro), una specie di calcio tennis senza contatto fisico: la metà campo era segnata dal pennone metallico della bandiera, situato tra il fondo campo e il muro; come nel doppio del tennis, ci posizionavamo due da una parte e due dall'altra e a turno si tirava nell'altra metà campo, dove uno dei due avversari doveva parare per evitare che il pallone colpisse il muro che fungeva da porta; se invece lo colpiva, era gol.

Un pomeriggio con noi giocava il Vampiro, un nostro compagno di classe così soprannominato perché una volta a scuola stava chiacchierando durante una lezione di Storia e il prof. Demicheli lo sgridò dicendogli: "Sta' zitto, ***! Non è questa l'ora dei vampiri".

In effetti, *** aveva proprio la faccia da vampiro: magra, quasi emaciata, con le guance incavate, concave.

Superfluo aggiungere che da quel giorno *** per noi fu "il Vampiro".

Or bene, il Vampiro era estremamente goffo, qualunque cosa facesse combinava disastri.

Una volta era andato a giocare a bocce a Piazza d'Armi e nel tirare una bocciata anziché centrare al volo una boccia degli avversari colpì la bicicletta di un pensionato che si era fermato a vedere la partita.

Quel pomeriggio, all'oratorio, a un certo punto toccò a lui tirare. Si mise a palleggiare e poi tirò una cannonata ma, nonostante avesse un cinque metri sia da una parte che dall'altra, centrò in pieno il pennone della bandiera.

Ne uscì un roboante suono metallico, ptang!, dopo di che il pennone per un buon minuto oscillò di almeno mezzo metro.

Tutti noi che avevamo assistito alla scena eravamo piegati in due dal ridere.

Un'altra volta, invece, la goffaggine del Vampiro avrebbe potuto avere delle tragiche conseguenze.

Stava giocando a calcio, quello vero, nel campo di cemento. A un certo punto volle fare un colpo di tacco ma al posto del pallone centrò in pieno gli attributi virili del nostro compagno di classe Antonio.

Il quale, per prudenza, non si fece più vedere all'oratorio per un mese.

Nessuna conseguenza, per fortuna: potemmo continuare a chiamarlo Antonio e non Antonia.

Nel campo in erba qualche volta si svolgevano delle partite "ufficiali", magari non tra squadre di società ma tra amici, tutti comunque con la stessa maglia e con un arbitro vero.

Un sabato pomeriggio si disputò un derby, maglie bianconere contro maglie granata.

Quando arrivammo all'oratorio, la partita era già cominciata.

Chiedemmo il risultato: 3-0 per il Toro.

Dissi ai miei compagni di classe: "Andiamo a giocare di là [nel campo di cemento], che è meglio".

Dopo un'ora circa, andammo a vedere la fine della partita.

Il Toro era ancora in vantaggio di due gol ma cominciò la rimonta della Juve, che alla fine vinse il match con un risultato astronomico, forse 12-11, tipico delle partite fra scapoli e ammogliati.

Io, lo ammetto, diedi uno spettacolo da esagitato: ad ogni gol della Juve esultavo come avrebbe fatto in seguito Malesani ad ogni rete delle squadre da lui allenate.

In fondo, avevo delle scusanti: ero un ragazzino e inoltre quelli erano anni in cui nei derby di Serie A la Juve le buscava quasi sempre dal Toro, e quindi si poteva anche esultare per una vittoria fra calciatori amatoriali.


lunedì 20 gennaio 2025

Le pantere di Algeri di Emilio Salgari

Grazie ai consigli dell'amico Vittorio Sarti, ho letto il romanzo Le pantere di Algeri di Emilio Salgari in un'edizione integrale.

L'avevo già letto una cinquantina di anni fa in un'edizione per ragazzi che mi avevano prestato ma chiaramente a quell'età la mia attenzione si era soffermata solo sull'aspetto avventuroso del romanzo.

Ovviamente, adesso continuo a scorgervi il ritmo incalzante della trama, ricca di colpi di scena, così ad apprezzare l'ironica caratterizzazione del personaggio di Testa di Ferro.

Ma Le pantere di Algeri ai miei occhi ormai di adulto se non di anziano non sono più un libro con cui divertirsi e fantasticare o, per meglio dire, non sono più solo quello: sono un grande romanzo, frutto della fertile quanto incompresa e sfruttata penna di Salgari.

A cominciare dall'italiano in cui è scritto, che, pur con qualche differenza di termini e di uso della punteggiatura, è uguale a quello attuale, il che ne rende agevole la lettura.

Per non parlare della dettagliata ricostruzione "scenografica" e della meticolosa citazione degli eventi storici che fanno da sfondo al romanzo.

Se è vero che nel rileggere i libri dell'adolescenza c'è sempre un sovente inconfessato desiderio di ritornare per un attimo indietro nel tempo, a un'età che per molti è stata bella e spensierata, è indubbio che il confrontarsi da adulti con un libro già letto consente di scoprirne tutto il valore letterario.


giovedì 2 gennaio 2025

Darling Deymans, una meravigliosa famiglia


A George e Kathy Deyman.


I Deymans sono la famiglia più cara che abbia attraversato le nostre vite. Cominciamo dall'inizio.

Il padre di Mr. Philbert (Phil) aveva sposato una ragazza della famiglia Beruatto, che abitava a Rivara Canavese, il paese natale di mia madre.

Quando a Phil e a sua moglie Carol nacque il loro figliolo, George, assunsero mia madre come bambinaia per il piccolo.

Essendo essi diplomatici statunitensi, mia madre li seguì prima a Milano, dove Mr. Phil era console, e poi a Belgrado, dove rimasero tre anni.

Quando poi vennero trasferiti di sede, mi pare di ricordare in Grecia, mia madre non se la sentì più di seguirli.

Del periodo trascorso con loro mia madre (Pina, che il piccolo George chiamava Pua) serbò sempre ricordi bellissimi.

I Deymans la trattarono sempre benissimo, da pari a pari, non da datori di lavoro a lavoratrice. La signora Deyman fu per Pina una sorella maggiore, una seconda mamma e le volle quel bene che la mia nonna materna non volle mai a "Pua".

Fra le tante altre cose, le insegnò a preparare alcuni dolci americani come il pie al limone  e una filastrocca che raccontavano al George quando lo mettevano a dormire e che poi mia madre recitò anche a me:


Good night,

 sleep tight,

 to morning light

 you wake up bright.


Mia madre mi raccontava spesso aneddoti della sua permanenza presso i Deymans e in generale della loro famiglia.

Qualcuno divertente.

I primi tempi che erano sposati e vivevano in Italia, la suocera della signora Carol aveva imposto al personale domestico di chiamare "dottore" il signor Phil, perché effettivamente era laureato (se ricordo bene in Economia all'Università di Torino, con una tesi intitolata "L'industria della Frutta in California").

In America, però, non c'è la consuetudine di chiamare "dottore" i laureati.

E così un pomeriggio Mrs. Carol, quando tornando a casa si sentì dire da una cameriera: "E' arrivato il dottore", lei non comprese che si trattava di Mr. Phil e credé che fosse il medico e tutta preoccupata chiese: "Chi è che sta male?".

Mia madre mi raccontava anche che fra le prime parole che il piccolo George pronunciò ci fu: "Strasse'".

Erano a Milano negli anni del Secondo Dopoguerra e nelle strade a volte passavano i raccoglitori di stracci, che annunciavano la loro presenza gridando: "Strasse'! Strasse'!", che il milanese significa appunto stracci o stracciai.

E così George, appena dal balcone vedeva passare qualcuno in strada (non necessariamente uno stracciaio), gridava anche lui: "Strasse'! Strasse'!".

A Milano, nel 1948, fu Mr. Phil, in quanto console statunitense, ad effettuare il primo lancio della prima partita del primo campionato italiano di baseball, sport a stelle e strisce per eccellenza.

Trasferiti all'ambasciata U.S.A. a Belgrado, in un'epoca in cui in Jugoslavia non c'era ancora la televisione (del resto, dubito che avrebbe comunque trasmesso film in lingua inglese), il Dipartimento di Stato aveva organizzato un regolare invio di film da proiettare in un'apposita sala dell'ambasciata.

Alle proiezioni erano invitati sia i diplomatici americani che il loro personale domestico.

Ecco perché, anni dopo, quando alla Rai mandavano in onda film americani, ogni tanto mia madre mi diceva: "Questo l'ho già visto a Belgrado".

Nella capitale dell'allora jugoslava i Deymans e mia madre vissero due episodi, uno drammatico e un altro che avrebbe potuto avere conseguenze spiacevoli. Il primo me lo raccontò mia madre, il secondo George durante la sua visita a casa mia del 2017.

Un giorno alla stazione di Belgrado il piccolo George venne rapito da una zingara.

Fu un attimo di distrazione e non lo videro più.

Panico assoluto.

Per fortuna lo ritrovarono dopo pochi minuti di affannose ricerche. L'aveva, per l'appunto, preso  una zingara. Glielo strapparono subito via dalle mani.

La vicenda, comprensibilmente, traumatizzò la signora Carol (a maggior ragione se si pensa che prima di George lei e Phil avevano avuto una figlia, che purtroppo era morta in tenera età). La sconvolse a tal punto che da allora in poi, quando andavano in giro per le strade di Belgrado, la signora Carol legava George in un'imbragatura di cinghie e lo portava a spasso come un cagnolino.

Del secondo episodio fu protagonista George.

Un giorno dal balcone vide passare un corteo che andava a una manifestazione del regime comunista di Tito. Guardando sfilare delle persone che sventolavano bandiere jugoslave ed essendo troppo piccolo per capire il significato politico di certi gesti, volle partecipare alla "sbandieratura", andò a prendere la bandiera degli U.S.A., tornò sul balcone e si mise a sventolarla.

Qualcuno in strada se ne avvide e senza rendersi conto che a farlo era un bambino piccolo pensò a una provocazione, e per poco la casa dei Deymans non venne assaltata dai manifestanti titini.

Poi, per fortuna, le cose vennero chiarite.

Quando i Deymans vennero trasferiti in Grecia, se ricordo bene nel 1953, mia madre non li seguì. Prima di sposarsi, andò a lavorare cinque anni in Francia.

Ma rimase in contatto epistolare con la signora Carol e potette incontrare lei e il signor Philbert quando si recavano in Italia e passavano per Torino.

Nelle sue lettere, Mrs. Carol ci informava di quello che stavano facendo, mandandoci anche delle foto.

Ricordo la sua bella calligrafia; come ebbi modo di constatare in seguito, quella di George è identica. Buon sangue non mente, dunque.

Tramite le foto che Mrs. Carol le mandava, mia madre potette vedere George crescere: da bambino farsi ragazzo, da ragazzo farsi giovanotto, da giovanotto farsi adulto.

Tra queste foto, una è particolarmente simpatica e spiritosa, quella nella quale suo figlio si era fatto riprendere insieme ad un cavallo che si chiamava anche lui George.

A me, invece, non è mai capitato di farmi fotografare con un asino di nome Gian Contardo, probabilmente perché gli asini sono più intelligenti di me.

Da Mr. Phil ricevetti una cartolina riproducente la foto di alcune persone che indossavano dei vestiti e dei copricapo dei nativi d'America. Me la spedì in occasione di un viaggio turistico dell'allora sindaco di Genova, cui il signor Deyman si era offerto di fare da interprete.

Quando andarono in pensione, i Deymans andarono a vivere dapprima a Orlando in Florida e poi a Hibbing nel Minnesota.

George, intanto, aveva già trovato lavoro come funzionario del governo di Washington, riscuotendo in poco tempo la stima di colleghi e superiori.

Nel 1982 si sposò con Kathy, da cui ha avuto due figli, Philip e Colin.

Quando venivano in Italia, se potevano Mr. e Mrs. Deyman passavano a trovarci ma anche quando non potevano una telefonata a mia madre la facevano sempre.

La prima volta che io ricordi di averli visti risale alla metà degli anni '60.

Io e la mamma stavamo trascorrendo qualche giorno di vacanza a Rivara dai nonni materni e loro erano ugualmente in questo paese del Canavese (la villa della famiglia Deyman confinava con la casa dei miei nonni).

Una mattina era passato Walter, il figlio di una cugina di mia madre, a giocare con me ma Pina gli disse che quella volta avevamo un impegno: i signori Deyman ci sarebbero venuti a prendere fra pochi minuti.

Cosa che avvenne. La prima cosa che mi colpì fu l'automobile di Mr. Phil: un macchinone, almeno ai miei occhi di bambino.

In quell'occasione, ci portarono con loro a visitare il santuario di Belmonte.

La seconda volta che li vidi vennero a trovarci a casa nostra, a Torino. Con loro c'era anche George, che incontrai per la prima volta. Ricordo che giocò con me un po' con la palla.

Era già uno studente universitario, frequentando uno dei due college statunitensi a Bologna. Poco dopo si laureò in Scienze Politiche con 110 e lode.

Rivedemmo Mr. Philbert un'altra volta a Rivara. In quell'occasione mi diede 500 lire, somma che all'epoca non era poco per un bambino: con essa si potevano acquistare ben 50 bustine di Figurine Panini.

Poi, nel 1978, Mr. e Mrs. Deyman vennero a trovarci a Torino.

L'ultima volta che li vedemmo fu nel settembre del 1982.

Fu un anno decisivo, il 1982, sia per George che per me: lui si sposò con Kathy e io cominciai a lavorare.

Ebbi modo di chiacchierare a lungo con loro, perché mia madre era andata ad aspettarli a Piazza d'Armi ed essi vennero da un'altra direzione, cosicché mio padre uscì a sua volta per andare a dirle che erano arrivati e io rimasi solo con loro.

Quando ci riunimmo, passammo un piacevolissimo pomeriggio.

Soprattutto, ci fecero vedere le foto del matrimonio di George e Kathy, e ci raccontarono di come si era svolto il ricevimento di nozze.

La signora Carol ci informò di quali parenti della sua famiglia erano andati al matrimonio.

Al che, mia madre domandò a mr. Phil: "E della Sua famiglia chi c'era?".

Ed egli fece la battuta: "C'era mio figlio".

Ovvio che ci fosse George: era lo sposo.

Durante quel pomeriggio, Mr. Phil e Mrs. Carol ci raccontarono quello che avevano fatto a Torino prima di venire a trovarci. Mrs. Carol ci disse di aver comprato su una bancarella tre libri di cucina.

L'impressione che ebbero di Torino fu positiva: la trovarono migliorata rispetto all'ultima volta che ci erano stati.

Solo su una cosa la signora Deyman ebbe da ridire, scandalizzata ma non troppo: "Anche da noi i giovani fanno l'amore ma non in strada".

Con un po' di orgoglio materno, mia madre fece loro vedere il mio libretto universitario. Fino ad allora avevo sostenuto 12 esami (mi sarei laureato dopo qualche anno, lavorando e studiando nel tempo libero), in molti dei quali avevo preso 30, che erano stati scritti 30/30, che stava per trenta trentesimi.

Quando la loro visita volse al termine e li salutammo, mrs. Carol mi disse: "Mi raccomando, continua a prendere trenta trenta".

Pur parlando benissimo l'italiano, alla signora Deyman ogni tanto scappava qualche piccola inesattezza. Quando per cucinare mia madre usava il rosmarino, mi diceva che Mrs. Carol lo chiamava "l'osso marino".

Sia Mr. Phil e Mrs. Carol che George e Kathy vennero in Italia poco tempo dopo ma non passarono a Torino.

Come in tutte le altre volte in cui non poterono venire a trovarci, fecero comunque una telefonata a mia madre. Quando le passarono George, questi la salutò italianizzando il suo nome, dicendole cioè: "Ciao. Sono Giorgio".

La signora Deyman morì qualche anno dopo.

Le zie di George, nel darci la triste notizia, scrissero a mia madre che George, nonostante il dolore, aveva trovato la forza di commemorare la sua mamma in chiesa durante il funerale.

Mr. Phil morì in seguito, nel giugno del 1994. Era andato trovare le sue sorelle a Breganze, dove nel frattempo si erano stabilite.

Avvertita per tempo della sua venuta in Itala, mia madre disse a me e a mio padre: "State attenti al telefono, perché può darsi che chiami il signor Deyman".

Purtroppo, ricevette invece la telefonata di una delle sorelle di Mr. Philbert, che ne comunicavano la scomparsa.

Era stato bene fino a poco prima. Aveva passato una serata molto serena e gioiosa con le sorelle, a parlare dei tanti ricordi condivisi. La mattina dopo stava male; se ricordo bene, gli venne diagnosticata una polmonite. Dopo pochi giorni volò in Cielo a raggiungere la sua Carol.

George era molto, molto triste e commosso per la morte del suo amato papà ma non poté recarsi in Italia per il funerale e quindi lui e la sua famiglia parteciparono ad esequie separate a Hibbing, nel Minnesota, dove suo padre venne sepolto accanto alla signora Deyman.

Passò qualche anno e i nostri contatti con George si limitarono allo scambio di cartoline degli auguri natalizi. Allora viveva ad Annandale, in Virginia; solo recentemente lui e Kathy si sono trasferiti a South Berwick, nella contea di York del Maine. Come canta Guccini in 100. Pennsylvania Avenue: "Amore ed ecologia lassù nel Maine".

Nel 2002, quando iniziai a navigare su internet, mandai un'e-mail a George all'indirizzo indicato nella sua ultima cartolina natalizia. Mi rispose subito, mostrando grande entusiasmo. Da allora ci scambiamo e-mail, scrivendoci su tutto, cose belle e cose brutte, cose allegre (fra cui le barzellette) e cose tristi.

Mi è stato molto vicino quando mia madre si è ammalata, rimanendo immobilizzata per anni fra letto e carrozzina prima di volare in Cielo.

Lui e sua moglie sono venuti a Torino dall'America a trovarla due volte.

La prima, il 3 gennaio 2009, Pina era ancora lucida e potette interagire con loro, chiacchierando e condividendo ricordi di quando era con George a Milano e a Belgrado.

Con George e Kathy c'erano anche il loro figlio minore Colin con la sua futura moglie Christine e un cugino di George, Walter (un'altra cosa che abbiamo in comune: un cugino di nome Walter).

In quell'occasione, la sera stessa della loro visita scrissi le seguenti righe, dedicate a George e alla sua meravigliosa famiglia:


Siete stati un raggio di sole venuto a baciare il suo lento tramonto.

Siete stati una mite giornata venuta a scaldare il suo gelido inverno.

Siete stati il ricordo vivente di anni lontani e del suo sincero donare affetto.

E da oggi, ogni volta che sentirò soffiare un caldo vento da Occidente, saprò dentro me che si tratta del vostro dolce pensare a lei".


Tradotto in inglese:


You were a ray of sunshine that came to kiss her slow sunset. You were a mild day that came to warm her cold winter.

You were the living memory of distant years and of her sincere gift of affection.

And from today, every time that I sense a warm wind blowing from the West, I will know inside of me that it is your sweet thoughts of her.


Era la prima volta che incontravamo Kathy. Mio padre disse a me e a mia madre: "George ha una buona moglie".

Disse la stessa cosa anche di Pina, quando ella morì: "E' stata una buona moglie".

Forse al giorno d’oggi, in cui il matrimonio è sempre meno rispettato e lo si manda all’aria alla minima difficoltà, titoli come “buona moglie” o “buon marito” non dicono niente o vengono addirittura considerati con sarcasmo. Ma cosa c’è di più bello, di più degno di ammirazione dell’essere una buona moglie, un buon marito, una buona madre, un buon padre, una buona figlia, un buon figlio?

George e Kathy tornarono a trovarci nel 2012, poche settimane prima che mia madre morisse.

La loro visita venne a illuminare una realtà molto più fragile e precaria di quanto pensassi (e sperassi).

George, il figlio di Carol e di Philbert, il bambino che la mia mamma aveva visto appena nato e di cui si era presa cura nei primi anni della sua vita. George, che poi l’ha sempre considerata come la sua seconda madre. George in quel soleggiato pomeriggio di marzo del 2012 fu meraviglioso e commovente.

Purtroppo, nell’alternanza di giorni sì e giorni no, George e Kathy vennero a casa nostra in un giorno no, cioè in un giorno in cui Pina rimase completamente assopita e non fu in grado di rispondere a quello che le si diceva.

Eppure, nonostante ciò, quanta filiale sollecitudine dimostrò George nei suoi confronti!

Nonostante quel giorno la mia mamma non fosse in grado di comunicare nemmeno con uno sguardo o con un sorriso, George le parlò a più riprese, dicendole chi era e ricordandole gli anni che aveva passato con lei.

Se un paziente in coma riesce ad uscirne anche grazie alle persone che gli parlano, a maggior ragione sono sicuro che mia madre abbia sentito le affettuose parole di George, che bypassarono il suo torpore per raggiungere il suo subconscio e la sua anima.

Accomiatandosi da noi, George disse a Pina che sarebbe tornato a trovarla presto. Quando tornerà a Torino e passerà a casa nostra, non la troverà più nel suo letto ortopedico sistemato nel soggiorno.

Quando, il 23 maggio, Pina venne a mancare al nostro affetto, George avrebbe voluto venire al funerale. Ma mancò il tempo per prendere un aereo dall’America e arrivare a Torino. Fece mandare dei fiori. E fece anche di più, molto di più.

Iscrisse il nome di mia madre nella League of Saint Anthony e in virtù di ciò Pina sarà ricordata ogni giorno nelle messe celebrate al Seminario di Saint Lawrence a Mount Calvary, nel Wisconsin. Inoltre, fece dire dai Padri Francescani 30 messe gregoriane consecutive per la mia mamma.

Quando me lo comunicò per posta, fu l’unico raggio di gioia che balenò in quelle settimane per me piene di strazio, fu l’unico raggio di sole che i miei occhi videro in quelle settimane in cui ero circondato ventiquattr’ore su ventiquattro dalla notte del dolore.

Da parte mia, volli che mia madre portasse con sé, nel suo ultimo viaggio, non solo un foulard che le avevo regalato e che le feci mettere al momento della vestizione delle sue spoglie mortali ma anche qualcosa che le aveva donato George, l'altro bambino che aveva allevato con amore: feci recidere alcuni fiori dalla pianta che lui le aveva portato qualche settimana prima, ne feci fare un mazzetto e lo feci mettere all'interno del feretro di Pina.

Nell'agosto successivo, il mio amico Roberto Long mi accompagnò al santuario della Consolata. Feci accendere delle candele, per mia madre, per i miei parenti defunti e anche una per Mr. Phil e Mrs. Carol.

Ho rivisto George e Kathy nel settembre del 2017. Mio padre era mancato due mesi prima e la loro visita mi diede conforto. Fu un incontro da essi appositamente voluto, perché interruppero il loro tour per fermarsi un giorno a Torino al fine di venire a trovarmi.

Fu una giornata bellissima, passata a parlare di tante cose, dei loro figli e delle rispettive famiglie.

Mi ricordo in particolare che, parlandoci della loro cagnolina Lucy, George ci disse che quando la portava a spasso a un certo punto si fermava e non voleva più andare avanti, e non c'era verso di convincerla.

Un po' come adesso fa la mia Neve.

Nel marzo del 2021, in occasione del mio 61° compleanno, George mi ha fatto il grandissimo regalo di dedicarmi questa sua bellissima poesia:


I have a friend whose name is Conty,

He is very much like a brother to me,

He lives in a far-away country,

Many miles across the sea.

 

With Conty I am quite impressed,

I hope that he'll always be blessed,

With all that is good and all that is best,

The best of life and all the rest.

 

I wish him a wonderful birthday,

With much happiness always for him, I pray,

That all will go well for him in every way,

Not only today, but on every day.

 

George Deyman.


Veniamo ora alla loro visita più recente, quella del 15 settembre del 2024.


L'anno prima Kathy era venuta in Europa senza George, che aveva preferito rimanere a casa a prendersi cura della loro cagnolina Lucy, che era vecchia.

Purtroppo, nel frattempo, Lucy ha attraversato il Ponte dell'Arcobaleno.

La giornata del 15 settembre è stata molto intensa e piacevole, soleggiata nel cielo e soleggiata nei nostri cuori.

Ci siamo dati appuntamento per le 10.30 davanti al santuario di Santa Rita a Torino.

George e Kathy arrivano puntualissimi.

Ci salutiamo ed entriamo nel santuario per la funzione domenicale.

A Messa finita, Laura fa visitare loro l'interno della chiesa, in primis le vetrate colorate e la "nicchia", subito a destra dell'entrata, dov'è stata collocata la statua di santa Rita da Cascia.

Usciamo e, nel salire in macchina, non essendo abituato all'auto di  Laura, George picchia la testa: non si fa male, per fortuna.

Arriviamo a casa, dove ci aspetta Iman, che si fermerà solo per pranzo, perché sta per partire per Alessandria d'Egitto con sua figlia Nour, la quale si sposerà fra qualche giorno con Mohamed.

George e Kathy conoscono già Iman ma non ancora Neve.

La quale, appena li vede, si mette ad abbaiare come fa con chiunque entri in casa.

Poi si calma ma rimane sempre sul chi vive, diffidente.

George prova ad entrare in confidenza con Neve, si inginocchia perfino sul pavimento per apparirle meno alto e quindi minaccioso ma non ottiene grandi risultati: la mia bimba ha paura degli uomini, molto più che non delle donne.

George e Kathy mi hanno portato un graditissimo regalo: un berretto con lo stemma della Juventus sulla visiera.

Nelle e-mail che hanno preceduto la loro visita, il mio big brother mi aveva prospettato la possibilità di andare a vedere Torino - Lecce, che si gioca nel pomeriggio nel vicino Stadio Olimpico Grande Torino: gli ho risposto di non offendersi ma, da juventino d.o.c. quale sono, andare a vedere una partita dei cugini granata proprio non mi andava.

Ordiniamo le pizze, quando arrivano pranziamo (il pasto è concluso con lo squisito tiramisù preparato da Laura), poi salutiamo Iman e Nour, che è venuta a prenderla per andare all'aeroporto.

Dopo pranzo, facciamo quattro chiacchiere, quindi portiamo Neve a fare la sua seconda passeggiata, dopo di che ci rechiamo al Cimitero Parco per consentire a George e Kathy di pregare davanti alle tombe dei miei genitori.

Nel salire in macchina, George picchia di nuovo la  testa: nessun problema ma il bis l'ha concesso.

Dopo il raccoglimento davanti alle lapidi di Pina e di Vincenzo, George fa una carezza alla foto di mia madre.

Quando risaliamo in macchina per tornare a casa, big brother George batte ancora una volta la testa. Tris!

Nell'appartamento siamo accolti da Neve, che ci fa un sacco di feste, come ogni volta che rientriamo.

Passiamo il pomeriggio a chiacchierare.

George ci racconta della loro cagnolina Lucy, volata in Cielo qualche mese fa senza soffrire.

Ultimamente soffriva di Alzheimer canino; era scappata di casa un paio di volte ma erano sempre riusciti a trovarla. Del resto, South Berwick nel Maine è una piccola località di poco più di 7.000 abitanti.

Anche se c'è una piccola parrocchia cattolica a South Berwick, George e Kathy per andare a Messa escono dal Maine per andare in una chiesa si trova sì nelle vicinanze ma nel New Hampshire.

Lucy manca moltissimo a George e Kathy. Il mio big brother mi ha raccontato alcune simpatiche cose di lei: mangiava la frutta ma non le banane; all'aperto andava a ripararsi all'ombra di un albero o di un cespuglio del loro giardino; la sera, quando guardavano la televisione, verso le 10 faceva loro capire che era ora di andare a dormire e che dovevano spegnere la tv.

Ci hanno poi raccontato qualcosa dei loro figli, delle loro nuore e dei loro nipotini.

Abbiamo avuto il piacere di vedere molte foto della loro famiglia. Una volta ci si portava dietro le fotografie da far vedere ad amici e conoscenze; ora sono tutte memorizzate nei cellulari.

Fra queste foto, Kathy me ne ha fatta vedere una di un rifugio che accoglie i cavalli abbandonati, esattamente come i canili e i gattili accolgono rispettivamente cani e gatti.

Alla fine abbiamo accompagnato George e Kathy all'albergo che li ospitava. Nel salire in macchina, anche questa volta George ha picchiato la testa. La prossima volta che verranno a trovarci, o pago loro le corse in taxi o dico a Laura di cambiare automobile.

Prima di andare verso il centro di Torino, siamo passati vicino alla casa dove io e i miei genitori abbiamo abitato fino al 2004. George si è ricordato del posto, nonostante venne a trovarci là negli anni '60.

Quando ci siamo accomiatati da George e Kathy nelle vicinanze dell'albergo, un abbraccio e la promessa di rivederci ha posto fine a una bellissima giornata, illuminata non solo dal sole di fine estate ma anche e soprattutto dalla loro presenza.


Carissimi George e Kathy, vi ringrazio di esistere e di essere parte della mia vita.

Ringrazio George anche per aver letto questo scritto e per avermi suggerito le correzioni da apportarvi.