martedì 17 maggio 2016

Una presentazione con sorpresa

Chi mi conosce sa che sono solito fare quelle che, volgarmente parlando, si chiamano figure di merda.
Era da un po' di tempo che non ne facevo più. al punto che cominciavo a nutrire qualche dubbio sul mio equilibrio psicologico, visto che, quando sono sereno e tranquillo, di solito non faccio figuracce. Contrariamente a quanto teorizzava il buon vecchio Sigismund Schlomo Freud (e si capisce benissimo che uno che si chiama Sigismund Schlomo di nome, crescendo, non può non sviluppare dei complessi e, se poi diventa psichiatra, non può non spacciare i suoi complessi per scienza ovvero per psicanalisi), il quale sosteneva che i motti di spirito sono un mezzo che abbiamo per liberarci dai nostri ingorghi psichici, per me è vero il contrario: dico, anzi, per lo più scrivo motti di spirito e, per analogia, faccio delle figure di merda quando sto bene psicologicamente.
Dunque, procediamo con ordine.
Prima figura di merda. Suggerisco, amichevolmente e costruttivamente, all'amico Alberto Riccadonna, fratello di grandissimo amico e direttore di Torino Storia, di inserire nell'ultima pagina della rivista le anticipazioni sugli articoli del numero successivo. .Col tatto e l'educazione che contraddistingue tutta la famiglia Riccadonna (a cominciare da papà Contardo, il quale ha il più bel nome del mondo), Alberto mi fa notare che le anticipazioni vengono già messe su Torino Storia.
Seconda figura di merda. A proposito di una signora che abbiamo appena conosciuto, la mia amica Laura mi dice: "Si vede che non è giovane". E io, sovrappensiero, commento: "E' vero. Ha più o meno la tua età".
Terza figura di merda, rimediata ieri, 16 maggio 2016. Il mio editore ma quel che più conta amico Paolo Stefano Riccadonna ha da qualche settimana programmato la presentazione del mio libro Il calvario di Pina. Avendomi parlato di iniziative nei giorni del Salone Internazionale del Libro di Torino, per giorni mi ero mentalmente preparato a una nuova capatina in mezzo a quell'immenso oceano di volumi esposti.
Mentre siamo già avviati in automobile, a un certo punto vedo che Paolo si sta immettendo in corso Re Umberto anziché in corso Lepanto. Allora gli dico: "Guarda che non è questa la strada per andare al Salone del Libro".
Mi guarda con lo sguardo un po' stravolto ma, a differenza del passante incontrato da Lucio Dalla in una sua nota canzone il cui titolo è bene non citare per una questione di stile, non mi dice: "Sono di Berlino", ma: "Guarda che non stiamo andando al Salone del Libro".
"Come?", - domando io.
"No, la presentazione fa parte delle attività di Salone Off, che si svolgono negli stessi giorni del Salone del Libro ma non al Salone del Libro".
Sicuramente, alcune settimane prima, me l'aveva detto in modo chiaro ma io, come si dice in Piemonte, dovevo aver capito cioca per broca.
Come dice Marco Tognazzi nel film I laureati: "Ricca figura di merda che anche oggi ho fatto".
Anche se, a onor del vero, io mi sono limitato a non capire dove fosse la presentazione del mio libro e non ho offerto, in cambio di un 18 all'esame, un gingillino a Rossella, la signora di Paolo.

Chiarito l'equivoco, Paolo mi spiega che la presentazione avrà luogo alla Bottega Fotografica di Marco Demaria e Raffaella Villa, in via del Carmine 8.
La raggiungiamo. Oltre a Marco e a Raffaella, non c'è nessuno. Nonostante qualche amica aveva assicurato la sua presenza (vero, Viviana?) e qualche altra era stata rassicurata da Paolo che l'evento era gratuito e non si pagava alcun biglietto (vero, Chiara?).
Dopo un po', mentre stavo già pregustando la possibilità di dar sfogo alla mia autoironia in un post dove avrei esultato per il numero di partecipanti uguale a zero ("Un successone! Un record imbattibile! Un fenomeno!", - mi ero già immaginato di scrivere), arriva una signora e la presentazione ha inizio.
Presenti cinque: io, il mio editore Paolo, la signora e i due organizzatori, Marco e Raffaella.
La presentazione, almeno spero, è andata bene: questa volta me la sono cavata in modo più spigliato rispetto all'anno scorso, quando alla prima presentazione de Il calvario di Pina (quella volta veramente tenutasi al Salone del Libro, nello stand dell'Associazione dell'Ospedale a Casa) avevo faticato non poco a spiaccicare le prime parole (era la prima volta che parlavo in pubblico) e per fortuna che Paolo mi era stato di provvidenziale aiuto parlando lui; l'alternarsi delle osservazioni fra me e Paolo è stato armonioso; l'uditorio (la signora e i due organizzatori) è sembrato attento o almeno nessuno dei tre si è addormentato.
Sono rimasto contento: il libro, per chi non lo sapesse, non ha fini di lucro, non è in vendita e le copie stampate vengono regalate. Quindi, senza alcuna mira commerciale, che a una presentazione venga una persona o centomila non fa alcuna differenza. L'importante è la qualità e ieri sera la qualità c'era.
Un sincero grazie, anzi, come direbbe Paolo, un sincero: "Ma grazie! Grazie infinite!", allo stesso Paolo Riccadonna, a Marco Demaria, a Raffaella Villa e anche alla signora che mi ha onorato con la sua presenza.
La quale, al termine della presentazione, ci ha detto di chiamarsi Di Maggio. D'altronde, calendario alla mano, siamo proprio di maggio.

martedì 10 maggio 2016

I PROMESSI SPOSI romanzo della sfiga?

      Umberto Eco sosteneva in Opera aperta che uno scritto potesse essere interpretato liberamente e in tutti i modi possibili dai lettori, tesi questa parzialmente rettificata nel suo successivo saggio I limiti dell'interpretazione.
      Diciamo che un'eccessiva libertà di interpretazione se la presero i critici letterari marxisti, quando videro nella folla e nelle traversie di Renzo e Lucia i simboli del proletariato oppresso. Niente di più infondato: Renzo e Lucia appartenevano a quella classe di contadini-operai piccoli proprietari terrieri che nei secoli successivi non sarebbe di sicuro stata su posizioni rivoluzionarie, mentre la folla, soprattutto quella della rivolta del pane a Milano, non aveva nulla di quella coscienza di classe acquisita che secondo i canoni marxisti caratterizza il proletariato. Anzi, in parecchi passi il Manzoni, pur stando dalla parte dei poveri, denuncia lucidamente la strumentalizzazione della rabbia popolare e il rischio che la gente cada in quelle che oggi chiamiamo derive populiste.
       Fermo restando, dunque, che I promessi sposi sono e rimangono un romanzo della fede e che ha come protagonista principale la Divina Provvidenza, proviamo, a puro gioco letterario, a vederlo anche come romanzo in cui la sfiga si accanisce contro alcuni protagonisti.
      Prendiamo il povero don Rodrigo. Organizza il rapimento di Lucia, manda in paese i suoi bravi guidati dal Griso e che succede? Che Lucia, Renzo e Agnese se ne vanno da don Abbondio per cercare di fregarlo col matrimonio a sorpresa e così il Griso e compagni si recano alla casa di Agnese per rapire Lucia e non trovano quella che Manzoni chiama "la povera giovane".
      E Renzo? Va a Milano il giorno della rivolta del pane, dà una mano a Ferrer a difendere l'ordine costituito contro i facinorosi, poi fa un discorso sconclusionato che lo fa passare per un facinoroso e sfugge per un pelo all'arresto con l'accusa di essere uno dei capi della rivolta.
      Quando poi tornerà a Milano, con l'epidemia di peste in corso, verrà scambiato per un untore e rischierà il linciaggio da parte della folla.
      Va cioè due volte a Milano e in entrambe le occasioni rischia grosso. Probabilmente non si recherà più a Milano.
      Il rapimento di Lucia, quello che riesce ad opera dell'Innominato, è addirittura caratterizzato da una triplice sfiga, attinente alla conversione di quest'ultimo:
            a) sfiga di don Rodrigo e pure beffarda: Lucia è finalmente stata rapita ma l'Innominato si ravvede e, nisba, la ragassuola gli sfugge anche stavolta, perché viene subito liberata;
            b) sfiga di Renzo: Lucia viene liberata dall'Innominato e sembrerebbe tutto a posto ma la ragassuola nella notte ha fatto voto di castità e non potrà più sposare Renzo; per fortuna, fra' Cristoforo con la sua profonda cultura teologica riuscirà a convincerla che quel voto non ha valore (infatti, non ha raggiunto il quorum per rendere valida l'abrogazione della promessa di matrimonio);
            c) sfiga di Lucia: fa voto di castità e il giorno dopo l'Innominato si converte (non poteva, quest'ultimo, convertirsi la sera, quando la vide, anziché il giorno dopo, quando si recò dal cardinal Federigo?).
      Romanzo della sfiga, dunque, I promessi sposi? Non esageriamo: sono e rimangono il romanzo della fede e della Divina Provvidenza. Anche perché, come ci insegna l'Eco più maturo, la libertà dell'interpretazione ha pur sempre i suoi limiti.

martedì 3 maggio 2016

Le gaffe che ricordo del vecchio Mike

Mike Bongiorno si era fatto una formidabile fama di gaffeur. Dalla: "Ahi, ahi, ahi, signora Longari! Lei mi va a cadere proprio sull'uccello" (ma non andò mai in onda: o non disse questa cosa o venne tagliata). Alla: "Adesso arriva Romina Power che ce la fa vedere".
Ogni tanto le gaffe di Mike vengono riproposte in tv. E continuano a suscitare l'interrogativo se fossero spontanee o preparate a tavolino. Dubbio a cui il buon senso non può che dare una risposta: alcune erano spontanee ed altre preparate a tavolino.
Voglio ricordare in questa sede quelle che, perdonatemi il gioco di parole, mi ricordo di aver sentito nella loro prima uscita, non replicate cioè da programmi televisivi imperniati su gaffe e papere.

Rischiatutto. Nelle cabine faceva caldo. Durante una puntata, una concorrente si tolse la giacca del tailleur, rimanendo in camicetta. Mike Bongiorno le disse: "Mi raccomando, signorina, non si tolga altro".
Gian Paolo Lusetti fu campione di alcune puntate e portava come materia la Storia dell'Arte. A un raddoppio le domande vertevano su alcune pale d'altare e Mike gli chiese: "Mi dica il nome di queste tre palle".
Nello studio scoppiò una risata generale, se ben ricordo rideva anche Lusetti, e Mike dovette invitare il pubblico a non ridere, perché rischiava di distrarre il concorrente.
Quella sera ero andato a vedere il Rischiatutto dai nostri vicini di casa, i signori Buzzetti, e il signor Costantino, mettendosi a ridere, disse: "Domani i giornali intitoleranno l'articolo su questa puntata LE PALLE DI MIKE BONGIORNO".

Scommettiamo?, erede del celebre Rischiatutto. Durante la pausa fra una parte e l'altra del telequiz, Mike era solito intervistare qualcuno del pubblico, per dargli o darle l'occasione di una piccola ribalta televisiva.
Quella volta toccò a una giovane coppia di sposi che erano emigrati in Australia e che Mike aveva colà conosciuto durante una sua tournée, invitandoli a venire ad assistere a una puntata di Scommettiamo?
Erano però passati un po' di mesi e nel frattempo la sposina era rimasta incinta.
Quando Mike si accorse che la signora era in dolce ed evidente attesa, si rivolse al marito e gli disse: "Ahi, ahi, ahi! Cattivello, cattivello, cos'ha combinato?".
In un'altra puntata si presentò un concorrente di cognome Gnudi. Dopo averlo presentato, Mike disse: "Allora facciamo come Pirandello: vestiamo gli Gnudi".
Ma questa, più che una gaffe, fu una battuta, che oltretutto dimostrava che Mike era molto meno ignorante di quello che voleva far credere.

Telemike. Uno dei giudici del quiz non fu pronto nel portare le palline per sorteggiare il concorrente a cui fare la prima domanda e Mike gli disse: "Per punizione, alla fine della puntata ti schiacceremo le palline.
Per quel telequiz, quando un concorrente sbagliava a rispondere alla domanda del raddoppio, sul display posto sulla parte anteriore della cabina comparivano tre zeri ("000") per indicare che non aveva vinto niente. La cifra era grosso modo all'altezza della zona inguinale dei concorrenti seduti. Al termine di una puntata, riepilogando quanto avevano vinto i concorrenti, Mike si avvicinò alla cabina di un signore e, constatato che non aveva vinto niente, disse: "Meno male che sono comparsi tre zeri, perché se erano due potevano anche sembrare qualcos'altro".