Macchie sporche e macchie pulite; macchie cattive e macchie buone.
Macchie che rompono la monotona fissità dell’apparenza, provocando dolore o arrecando sollievo, portando amarezza o regalando momenti di gioia.
Macchie cattive che sporcano l’anima: macchie che noi ci facciamo con la presunzione, con la prepotenza, con l’insofferenza, con l’indifferenza, con l’egoismo, con la mancanza di volontà di capire i drammi e le sofferenze altrui, e che solo il pentimento può far sbiadire.
Macchie buone che puliscono l’anima: macchie di colore sul grembiule di un imbianchino; macchie di sangue sul vestito di chi soccorre un ferito; macchie di sudore prodotto dalla fatica di un lavoro onesto o dalla generosità di chi aiuta il prossimo; macchie che un po’ di sapone fa svanire dalla materia ma che rimangono solidi mattoni nell’esistenza di ognuno di noi.
Macchie sporche e invisibili che deturpano il più candido degli ambienti, la più asettica delle comunità umane, dove a regnare sono l’aridità e l’indifferenza: è difficile che in una pietraia una pianta possa mettere radici.
Macchie pulite e vistose che abbelliscono e ingentiliscono il più degradato dei paesaggi, il più disprezzato dei gruppi umani: in mezzo al fango può nascere un fiore.
Macchie amare, che produciamo ogni volta che vogliamo imporre le nostre ambizioni sui diritti degli altri, e che è fin troppo facile apporre nell’interno della nostra anima e nell’esistenza degli altri.
Macchie dolci, che stemperano il dolore e che spesso costa fatica e sacrifici apporle contro il muro della pigrizia e dell’egoismo.
Macchie invisibili, di un libro riposto in libreria, sempre spolverato ma mai aperto, mai letto.
Macchie evidenti, di inchiostro sulle maniche di chi impiega il tempo libero per prendere appunti, per studiare, per acculturarsi.

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