martedì 26 aprile 2016

Recensione a "Bordelli torinesi" di Massimo Centini

Le bancarelle dei libri a volte offrono l'occasione per fare degli acquisti interessanti e, di conseguenza, delle letture interessanti.
La Storia non è solo evenemenziale, cioè fatta di eventi importanti, ma anche di usi e costumi, abitudini, individuali e sociali, che spesso affondano le loro radici nell'alba dei tempi.
Senza cadere nelle esagerazioni di certa storiografia, che tende a minimizzare gli eventi per privilegiare la Storia "dal basso", informarsi anche degli aspetti che di solito non finiscono sui manuali e non danno vita a saggi rappresenta un utile ampliamento delle conoscenze sul passato.

Il libro Bordelli torinesi, scritto da Massimo Centini per i tipi de Il Punto - Piemonte in Bancarella, rientra in questo genere di letture complementari ai saggi storiografici propriamente detti.
L'Autore ci dà uno spaccato di quello che era la prostituzione a Torino fino al 1958, anno in cui venne varata ed entrò in vigore la ben nota Legge Merlin, che dispose la chiusura delle case di tolleranza.
Partendo da ciò che è stato il "mestiere più antico del mondo" nel corso dei secoli nella civiltà occidentale, per giungere a delineare un quadro delle case d'appuntamento operanti a Torino, soprattutto di quelle attive nei secoli XIX e XX, Centini affronta l'argomento dai suoi vari punti di vista (storico, morale, sanitario, sociologico, antropologico) con uno stile fluente, accattivante, non privo di ironia, senza mai cadere nella pruriginosità e men che mai nella morbosità.
Lo stesso apparato iconografico, comprendente molte foto di prostitute dell'epoca, è scelto con molta cura e raffinatezza, senza mai scivolare nella pornografia.
S'aggiunga a tutto ciò la scelta dei caratteri di stampa, nitidi e di dimensioni sufficienti dal rendere agevole la lettura anche per chi ha problemi di vista.
L'opera risulta quindi costruita bene e perfettamente confacente agli scopi per cui è stata scritta.

Unici nei sono il non venire specificate a volte le fonti da cui si attingono le informazioni (passi per gli "informatori", coloro di cui l'Autore ha raccolto a voce le testimonianze, ma è quanto meno discutibile che egli, pur correttamente, citi una voce di Wikipedia e avverta il lettore che quella voce non contiene la fonte di ciò che riporta) e una certa mancanza di precisione nel citare dati storici.
E' sbagliato che Centini, per periodi antecedenti il 1816, parli di regno delle Due Sicilie, mentre, prima di quell'anno, quel regno non era ancora stato istituito (lo fu dal Congresso di Vienna) e il sovrano Borbone che regnava su Sicilia e Mezzogiorno d'Italia era titolare di due corone, quella di re di Sicilia e di re di Napoli.
Così come è errato iniziare una frase con: "Vittorio Amedeo II, nel 1776, ...". Sarà anche un refuso ma nel 1776 quel re sabaudo era morto da decenni.
Ed è ugualmente sbagliato indicare Carla Voltolina, co-curatrice di un libro di Lina Merlin edito negli anni '50 del XX secolo, come "la futura moglie di Sandro Pertini": all'epoca i due erano già sposati.

Detto questo, però, il volume Bordelli torinesi è di interessante e godibilissima lettura, pur con qualche limite quanto a precisione storiografica.

martedì 12 aprile 2016

Rutti

La bellezza della multiculturalità è che una cosa, un'abitudine, uno modo di comportarsi vengono giudicati diversamente a seconda del posto dove uno si trova.
Nei Paesi anglosassoni, ad esempio, ruttare in pubblico è cosa ben vista, anzi, ben sentita, perché è sintomo di buona digestione e quindi di buona salute. Quando poi il rutto (aerofagia, per i medici) viene sparato in un ristorante, il padrone e lo chef del locale sono molto contenti, perché significa che il cliente e lo stomaco del cliente hanno gradito il pasto servito.
In Italia, invece, quando uno rutta in pubblico o provoca ilarità oppure si becca un eloquente: "Brutto porco!".

La mia prima esperienza "sociale" del ruttare avvenne in Terza Media Inferiore. Durante quell'anno scolastico si era diffusa, penso non solo nella nostra scuola, la pratica goliardica di ruttare in classe, preferibilmente in assenza dei professori perché, all'epoca, certe manifestazioni di zuzzurellonismo venivano punite con severità e, in presenza di una nota sul diario o sul registro, i genitori rifilavano sberle ai figli colpevoli di tali mancanze e non andavano di certo a protestare coi docenti, come purtroppo avviene ai giorni nostri.
Io non presi mai parte a simile pratica goliardica ma alcuni miei compagni di classe erano diventati talmente bravi da ruttare con la stessa potenza acustica di un frequentatore dell'Oktoberfest senza nemmeno tracannare una goccia d'acqua.

Passò un po' di tempo e ci si accorse che le bevande gasate, in primis la Coca Cola, erano eccellenti coadiuvanti ruttici.

Proprio alla Coca Cola ricorse Giampiero, un mio ex compagno di classe alle Medie Inferiori, in una fresca estate del 1978. Insieme ad altri amici eravamo andati a un concerto di musica provenzale che ebbe luogo all'aperto al Parco Rignon. Nell'intervallo, volendo fare una guasconata, Giampiero andò al chiosco delle bibite e acquistò una lattina di Coca Cola, tornò a sedersi accanto a noi, si scolò la lattina e, brooooook!, cacciò fuori un rutto galattico. Poi, un po' provocatoriamente, ci chiese: "E' venuto bene?". Dalla fila di sedie davanti a noi una ragazza si voltò e gli disse: "No".
Fra parentesi, quell'intervallo di concerto non fu scevro da evidente e decisamente volgare profferta erotica. Nella fila di sedie dietro di noi, una ragazza aveva sollevato le gambe, ripiegandole sul piano della sedia e allargandole: detto in parole povere, si era accovacciata sulla sedia mettendo in bella vista le mutande. E stava fissando i maschietti della fila a lei davanti (cioè noi), aspettando che qualcuno incrociasse il suo sguardo. Difficile dire se stesse solo provocando per prenderci in giro oppure se, trivialmente parlando, stesse sul serio cercando pezzoloni. Fatto sta che uno della nostra compagnia, sapendo benissimo che Giampiero era quello fra di noi a cui più ribollivano gli ormoni, gli chiese a bassa voce: "Perché non raccogli la provocazione di quella lì con le gambe aperte?". Giampiero reagì con una risata. Ma, durante la seconda parte del concerto, sia lui che ... lo ammetto ... io qualche sbirciatina ogni tanto ci voltavamo a darla. Tanto più che la tipa non abbandonava quella sua postura statuaria.

Passò circa un anno e dal ruolo di compiaciuto e divertito spettatore volli passare a quello di goliardico ruttatore.
Giugno 1979. Cena della Maturità, pochi giorni prima dell'inizio degli esami, con quasi tutta la classe e alcuni "prof.", in una trattoria di via Santa Giulia.
Contrariamente alle mie abitudini, volli bere del vino e, così, fra un piatto di tortelloni alla salvia e una braciola con patatine fritte o, per meglio dire, fra un boccone e l'altro, ogni tanto mi esibii in rumorose esibizioni di aerofagia, con tanto di espressione di beffarda soddisfazione stampata sul volto dopo ogni "performance". E ad ogni esplosione ruttica la mia vicina di posto, Anna Paola, si voltava e mi diceva con allegro tono goliardico: "Porco!".
Strano: anche in anni successivi, ogni volta che una ragazza mi diede del porco non solo non provai imbarazzo ma gongolai di orgogliosa soddisfazione.

Bevvi Coca Cola all'incirca fino all'età di trent'anni, e pure con abbondanza, nonostante mio cugino Fernando mi avesse messo in guardia dagli effetti poco salutari per lo stomaco. Va be', preferii dare ascolto al mitico Vasco Rossi: "Bevi la Coca Cola, che ti fa bene. / Bevi la Coca Cola, che ti fa digerire. Con tutte quelle, quelle bollicine".
E fu proprio il sorbire avidamente sì nettarica bevanda che mi fece fare una figuraccia sul lavoro.
Estate del 1986. Cinque secondi dopo essermi scolato una lattina di Coca Cola, suonò il telefono in ufficio. Premetti il pulsante del viva-voce e poi ... con l'interlocutore dall'altro capo della linea ... anziché dire il canonico "Pronto?" .... mi scappò un rutto talmente assordante che probabilmente costrinse il malcapitato autore della chiamata a sottoporsi a visita otorino-laringoiatrica.
Subito dopo riuscii a rispondere. Era il centralino dell'azienda che voleva inoltrare una telefonata per uno dei miei colleghi, in quel momento non presente in ufficio. Danni limitati, dunque. Anche se sarebbe stato meglio avere la prontezza d'animo di interrompere la chiamata senza dire niente, lasciando al chiamante il dubbio di avere sbagliato numero.

Da tempo, ormai, non tracanno più bevande gasate, per salvaguardare la mia salute, e gli unici liquidi che ingurgito sono acqua e latte.
Ma se mi viene da digerire, a meno che non sia fuori casa, rutto senza freni, senza pormi alcun problema di imbarazzo.
Ruttare fa bene, sia al fisico che allo spirito: che sublime senso di liberazione!