In uno dei suoi articoli, poi riuniti nel
volume Sette anni di desiderio, Umberto Eco notava come ciò che fa
scattare la risata è il rovesciamento della realtà. O, quanto meno, un evento
che produce effetti non prevedibili.
Anche gli effetti di uno scherzo
rispondono a questa "legge", essendo lo scopo dello scherzo riempire
di ridicolo chi non se lo aspetta. A maggior ragione se la "vittima"
non sa stare agli scherzi.
La risata per uno scherzo riuscito è un
fatto istintivo e, come per le barzellette, segue sia uno scherzo simpatico che
uno scherzo bastardo. Poi, vagliando l'evento sotto la lente della morale, è
doveroso prendere le distanze da azioni cattive o che comunque, anche senza
intenzione da chi le ha compiute, hanno prodotto sofferenza, fisica o morale
che sia.
Ammetto di essere uno che ride di gusto
per una barzelletta stronza o per uno scherzo idiota. Ma, da un po' di anni a
questa parte, mi fermo lì: l'etica mi impone di non raccontare una barzelletta
cattiva che ho sentito e di non fare scherzi che mi hanno raccontato.
Mai e poi mai, dunque, inviterei
chicchessia a ripetere gli scherzi che andavano per la maggiore negli anni '70
del secolo scorso. Ma forse posso rievocarli con un minimo di ironia e senza
alcuna perfidia.
Cominciamo dalle "stecche". La
stecca, pratica diffusa nei primi anni '70, consisteva nello sfiorare con la
nocca di un dito (di solito il medio, per via delle sue dimensioni maggiori) il
sedere di una ragazza con un rapido movimento dall'alto verso il basso:
l'effetto era di farle fare un bel salto, soprattutto se aveva il busto piegato
in avanti.
Verso la metà del decennio, qualche
sadico si inventò una variazione: infilarsi al dito un anello metallico e con
esso sfiorare il fondoschiena della vittima. A detta delle poveracce che
sperimentarono sulla propria pelle questa evoluzione della stecca, la
sensazione provata era quella di sentirsi sfiorare il lato B da un ferro
rovente.
La stecca venne alfine abbandonata ed
ecco spuntare all'orizzonte uno scherzo ben più pesante. E DA NON FARE, NEMMENO
AL GIORNO D'OGGI. Quello cioè delle pacche motorizzate.
La dinamica era questa: un ragazzaccio si
caricava un passeggero sul motorino (azione ora vietata dal codice della
strada) e rifilava una pacca sul sedere ad una ragazza che si trovava a
passeggiare sulla strada e che era stata individuata come bersaglio. E via
proseguendo, con la corsa in moto e con le pacche ad altre ragazze.
Qualcuno però esagerava e, scherzi a
parte (è proprio il caso di dirlo), rischiava di compiere una tragedia. Come
accadde al cugino di un mio ex compagno di classe alle Medie Inferiori. Cosa
fece l'idiota?
Salì come passeggero non su un motorino
ma su una moto di media cilindrata e diede ordine al centauro di piombare a
tutto gas su una ragazza che aveva individuato come target. Ma, a differenza
dei motorini (che consentivano ai "paccheggiatori" di raggiungere gli
ambiti glutei a una velocità di circa 30 km/ h), la moto raggiunse il bersaglio
a 70 km/h .
Il risultato inevitabile fu che, per il contatto mano-fondoschiena, il cugino
del mio amico venne sbalzato di sella e cadde rovinosamente sull'asfalto
rompendosi una gamba, mentre la povera ragazza rimase per delle settimane col segno
di cinque dita stampate sul fondoschiena.
Anche le pacche motorizzate PER FORTUNA
passarono di moda e vennero sostituite, verso la fine del decennio, dai
gavettoni con sacchetto. A differenza dei tradizionali e innocui gavettoni col secchio, che
consistevano nel gettare acqua addosso agli amici, quelli con sacchetto erano
decisamente bastardi: un sacchetto di plastica veniva riempito d'acqua e poi
gettato sui passanti dal passeggero di una moto in corsa. Ovvio che l'impatto
era molto più traumatico e potenzialmente pericoloso.
Vi era però un'altra versione del
gavettone con sacchetto: quello che veniva tirato, in verticale, dai balconi.
Potevano colpire le persone che passavano di sotto, e la cosa non era per
niente piacevole in quanto la massa del sacchetto pieno d'acqua era decisamente
superiore all'acqua tirata col gavettone tradizionale, oppure essere
indirizzati sulle automobili parcheggiate in strada, con danni di non poco
conto, come ammaccature al tetto o parabrezza mandato in frantumi.
Ricordo che all'epoca una delle più
scatenate praticanti dei gavettoni dai balconi era una ragazza che abitava nel
condominio dove vivevo anch'io, col suo ragazzo che le andava dietro. Ironia
della sorte: come nel finale di film come American Graffiti e Animal
House, in cui si vede quello che sarebbero diventati i protagonisti
vent'anni o più dopo, quella ragazza è ora una seria insegnante di materie
umanistiche in un liceo classico e il suo fidanzato di allora è diventato un
noto e stimatissimo docente universitario. E' proprio vero che si cambia nel
corso della vita.