Fu negli anni delle Medie Superiori che
iniziai ad usare la scrittura per scherzi e lazzi vari, abitudine che in
seguito mantenni e intensificai negli ambienti lavorativi nei quali mi trovai
inserito.
All’I.T.C. "Elio Vittorini"
scrissi finte lettere d’amore, dai contenuti un po’ licenziosi, indirizzate a
compagne di classe alquanto inibite e timide, naturalmente spacciandole per
opera di compagni di classe altrettanto inibiti e timidi. E scrissi anche
poesiole beffarde e salaci, di quel genere letterario cioè che ancora oggi non
disdegno di coltivare.
Lo scherzo più idiota che feci con la
scrittura si ridusse però ad una sola parola: vasectomia.
Accadde che Monica, dopo essere stata
operata di appendicite, tornò a scuola portando, come giustificazione per
l’assenza di un mese, un certificato del suo medico della mutua dove era
specificato il tipo di intervento chirurgico.
Fu come fu, fatto sta che, prima che
potesse consegnarlo al professore che
teneva la prima ora di lezione di quel giorno, il certificato medico cominciò a
girare di banco in banco.
Quando giunse a me, ebbi un’idea che
credei geniale ma che in realtà era soltanto stronza: sopra (si badi bene: al
di sopra e quindi non sovrapponendo) la parola “appendicectomia” vergata a mano
dal medico di Monica, scrissi la parola “vasectomia”.
L’effetto burlesco venne ovviamente
esasperato dal fatto che, come ogni laureato in medicina può testimoniare, la
vasectomia è la sterilizzazione maschile e non quella femminile, e Monica di
sicuro maschio non era. E, intendiamoci, non lo è nemmeno adesso.
Il certificato riprese a girare,
provocando, com’era prevedibile, generale ilarità.
Quando Monica si accorse della mia
improvvida contraffazione, si adirò alquanto: espressione elegante che
significa che si incazzò come una bestia.
Mi sbatté il certificato sul banco e mi
disse: "Io non lo consegno. Oggi tu vai dal mio medico e te ne fai
rilasciare un altro".
Fu Paola a porre rimedio a tutto: prese il
foglietto e provò a cancellare la mia aggiunta; la parola incriminata sparì
dopo qualche colpo di gomma, senza lasciare alcuna traccia.
Così restaurato, il certificato medico
venne riconsegnato a Monica, che lo diede al professore, quando questi entrò in
classe.
La povera Monica fu vittima di un altro
scherzo da parte mia. Ma questa volta ebbi come complice Walter e come
divulgatore un simpatico bigliettaio.
Avevo scritto qualcosa di satirico su di
lei: non ricordo né cosa né se fosse in prosa o in versi. Fatto sta che diedi
il foglietto di sì alta prova letteraria a Walter e questi, all’uscita da
scuola, si mise a sventagliarlo davanti agli occhi di Monica
sull’autobus-navetta che li stava portando verso le rispettive abitazioni. A quel
punto il bigliettaio (allora c’erano già le macchinette obliteratrici ma sulle
navette per gli studenti il bigliettaio era presente), accortosi della burla,
volle partecipare anch’egli, si fece consegnare il biglietto da Walter e si
mise a declamarne ad alta voce il contenuto in presenza di almeno un centinaio
di studenti. E di un po’ tutte le sezioni.
Ripeto: a distanza di tanti anni, non
ricordo più cosa scrissi allora ma il testo doveva essere pepato, se non
addirittura osceno, visto che sull’autobus Monica si sentì avvampare
dall’imbarazzo e il giorno dopo ce la menò un casino, a me e a Walter.
Ringalluzzito da sì meraviglioso effetto,
come direbbe Mike Bongiorno non volli lasciare ma raddoppiai.
Scrissi la cover di una canzone di Gianni
Nazzaro di qualche anno prima, Quanto è bella lei!
Spezzoni di quella cover me li ricordo.
Cominciava con:
Ti prego, non mi dire
che lui non è per me.
anche se è un bigliettaio,
adesso l’amerò.
E
poi, dopo qualche verso, proseguiva con:
Quanto è bono lui,
tu babbo non lo sai.
Questa volta il frutto del mio ancora
tutto da dimostrare talento letterario non giunse nelle mani del bigliettaio.
Lo diedi a Walter, il quale per un paio di giorni lo sventolò sotto gli occhi
di Monica, paventandole la possibilità di renderlo di pubblico dominio.
Per lei furono due giorni di sofferenza.
Non fece altro che implorare Walter di consegnarle il testo della mia cover.
Giunse perfino a chiedere al prof. Podio, nostro insegnante di Religione, di
ordinare a Walter di darle il foglietto malandrino, naturalmente senza
specificargli il contenuto. Il prof. Podio, tuttavia, non intervenne.
E forse per Monica fu un bene, viste e
considerate le performances istrioniche che il buon Ferdinando Podio ci aveva
già regalato. Chi lo sa? Avrebbe anche potuto farsi dare il testo della mia Quanto è bono lui! e, cosa più grave per
Monica ed esilarante per noi, mettersi a cantarla davanti a tutta la classe!
Lo scherzo finì come doveva finire. Appena
Monica smise di pretendere la consegna della cover, non ce ne occupammo più. Il
foglietto? O venne perso o venne distrutto.
Sempre negli anni delle Medie Superiori,
avevamo come compagni di classe un ragazzo che definire misogino risponde al
vero (poi, per sua fortuna, finiti gli studi cambiò da così a così e divenne un
tombeur des femmes di tutto rispetto) e una ragazza che definire sessualmente
inibita è dir poco.
Or bene, su incitazione di alcuni altri
compagni di classe (mascalzoncelli come me), scrissi una lettera d'amore (non
certo nel senso platonico del termine ...) indirizzata alla virginal fanciulla
e firmata dal ragazzo. Firma falsa, naturalmente. Consegnai l'aretiniana
missiva ai miei complici e uno di essi provvide a metterla nell'agenda della
virginal fanciulla.
Un altro falso fu quello che confezionai
per prendermi burla del signor Ettore Gennaro.
Il signor Gennaro abitava in un appartamento dello stabile in cui anche
la mia famiglia aveva l'alloggio. Pur essendo socialista, non poteva vedere
Craxi. Già verbalmente, quando volevo prenderlo un po' in giro, al momento di
accomiatarmi da lui gli dicevo: "Mi saluti Bettino", anche se magari
non avevamo in alcun modo parlato di politica.
Or bene, passando dalla burla orale a
quella scritta, un giorno mi venne l'idea di scrivergli un'accorata lettera di
riavvicinamento politico con la (falsa) firma di Craxi. Dopo che l'ebbi battuta
a macchina e imbustata, la misi nella sua cassetta delle lettere.
Naturalmente, il signor Gennaro non
abboccò e mi identificò subito come autore della missiva.
Il mio scherzo per lettera più bastardo
fu però quello che feci a Donato. Anche perché ebbe come presupposto una sua
imprudente confidenza.
Mai fare certe confidenze agli amici,
perché nove volte su dieci gli amici sono dei grandissimi stronzi e ne
approfittano.
Quando era ancora mio collega, un bel
mattino in ufficio Donato mi confidò: "Stanotte ho fatto un sogno
allucinante. Ho sognato che stavo spogliando una ragazza che mi piaceva tanto:
le tolgo il vestito, le tolgo il reggiseno, le tolgo le mutandine e mi accorgo
che al posto della farfalla ha una nerchia enorme! Ho provato talmente tanto
orrore che mi sono svegliato urlando".
Ci facemmo due risate e la cosa sembrò
finire lì. A parte i lazzi di qualche nostro compagno di lavoro a cui Donato
aveva fatto la stessa confidenza, lazzi incentrati un tantino pesantemente sul
suo presunto essere gay. Cosa destituita di ogni fondamento, sia ben chiaro.
Come avrebbe spiegato Alessandro Benvenuti a Ricky Tognazzi nel film Maniaci sentimentali, si trattava di un
sogno rivelatore al contrario ossia rivelatore di ciò che in sognatore non era.
Passò qualche anno, Donato non era più
mio collega, era un po' che non si faceva vivo con me e un bel giorno d'estate
mi venne in mente di fargli un bello scherzo a proposito di quel suo sogno,
pardon, incubo erotico.
Mi misi d'ingegno col word processor di
cui allora disponevo (e che per la verità non garantiva il massimo della
raffinatezza grafica) e composi una specie di diploma, con tanto di cornice:
del tipo di quelli che riguardano il conferimento di titoli di studio o di
attestati onorifici.
Mi inventai anche il nome, con tanto di
acronimo, di un'inesistente associazione gay e composi il testo del "diploma",
che recitava così:
La F.I.S.E.O.,
Federazione
Italiana
Sognatori
Erotici
Omosessuali,
esaminate tutte le testimonianze
scritte e, soprattutto, orali,
conferisce al signor
Donato ***
il diploma di socio onorario.
Dopo di che, spedii la lettera al signor
Donato ***.
(Beninteso, tanto nel testo del
"diploma" quanto nell'indicazione del destinatario della lettera, al
posto degli asterischi scrissi il cognome di Donato.)
Naturalmente, Donato comprese che si
trattava di uno scherzo ma, stranamente, non sospettò di me.
Credevo che il suo non telefonarmi o
scrivermi in risposta fosse dovuto alla strategia di ignorare deliberatamente
l'accaduto senza darmi corda per altri simpatici scherzi.
Invece no. Quando lo incontrai di nuovo,
circa un anno dopo l'invio della comunicazione dell'ambito riconoscimento, e
gli accennai alla lettera della F.I.S.E.O., confessandogli di essere stato io a
spedirgliela (non per scaricarmi la coscienza, perché quando faccio uno scherzo
non ho mai rimorsi, ma perché volevo che mi riconoscesse come l'autore di quel
colpo d'ala nell'arte della burla), scoppiò e ridere e mi disse: "Ah, così
sei stato tu! E io che, nelle settimane dopo l'arrivo di quella lettera, ho
telefonato a quasi tutti i nostri amici chiedendo ad ognuno se era stato lui a
scrivere quella cazzata!".