La prima via, quella più razionale e sicura, per superare indenni un'interrogazione scolastica è anche la più lapalissiana: prepararsi bene. Se uno riesce a farlo, non ha bisogno di trucchi e trucchetti per cavarsi d'impaccio.
Tuttavia, vuoi perché per la legge dei grandi numeri capita il giorno in cui uno studente giunge impreparato all'interrogazione, vuoi perché per quanto possa aver studiato a fondo può capitargli una domanda a cui non sa rispondere, esistono varie tecniche per salvare il salvabile.
Vado indietro nel tempo, agli ormai lontani anni delle Medie Superiori, per narrare di come superai i momenti di crisi durante alcune mie interrogazioni.
In primo luogo, imparai a curare l'atteggiamento da assumere di fronte al o alla "prof.": non spavaldo, del genere: "Adesso ti insegno io come si insegna", ma comunque sicuro, a testa alta, mai con lo sguardo e la postura di chi si presenta come vittima del complotto del mondo intero, mai immusonito o triste ma sereno e sorridente; ridanciano no, perché si darebbe l'impressione di voler prendere in giro il o la docente.
In secondo luogo, alle domande, che sapessi o no rispondere ad esse, compresi che non dovevo palesare indecisione, dovevo cioè iniziare subito a dire qualcosa, perché avessi fatto scena mura sarei sembrato impreparato; dovevo inoltre parlare in continuazione, senza pause che potessero consentire al "prof." di muovermi obiezioni o passare a una nuova domanda e, se lo vedevo in procinto di fare ciò, dovevo accelerare il ritmo e aumentare un po' il tono della voce: di solito, mi era sufficiente per farlo desistere.
Terzo trucchetto: se il "prof." era solito fare più domande durante un'interrogazione, compresi che dopo aver risposto alla prima dovevo "batterlo sul tempo". Non lasciandogli il tempo di formulare la domanda successiva ma, una volta esposto l'argomento inerente alla prima, dirgli una frase del tipo: "E poi, cambiando argomento, potrei parlare di ...", e iniziare a disquisire di cose su cui ero preparato.
Quando poi mi facevano una domanda a cui non sapevo rispondere in modo esauriente, prendevo la cosa alla lontana, magari partendo dall'argomento precedente nel programma di quella materia, presentandolo come l'origine di quello su cui mi era stato chiesto di parlare. L'effetto era assicurato, naturalmente se il "prof." non ci cascava e non ti richiamava a parlare di quello che ti aveva domandato: occupando i quattro dei cinque minuti della durata della tua risposta per parlare di altro, nel minuto rimanente potevo rimanere nel generico sull'argomento che non conoscevo bene, tanto il tempo per rispondere su di esso sarebbe durato poco.
Una volta mi avvalsi di questo trucchetto anche successivamente, all'Università. Al mio primo esame di Storia del Risorgimento, per la parte istituzionale venni interrogato dal prof. Ratti, allora assistente del prof. Nada, e mi disse di parlargli del regno di Vittorio Emanuele II; non essendo molto sicuro su di esso, iniziai con un'affermazione storiograficamente vera (se possibile, i trucchi, pardon, le acrobazie dialettiche vanno sempre ancorate a cose vere e non a balle) e cioè che: "Gran parte delle iniziative prese da Vittorio Emanuele II hanno la loro nelle riforme varate nel precedente regno di Carlo Alberto", dopo di che mi misi a sciorinargli tutte le cose fatte da Carlo Alberto, su cui ero decisamente più preparato perché la parte monografica riguardava proprio il suo regno, e di Vittorio Emanuele II parlai ben poco. Mi andò bene: allora presi il mio primo 30 e lode.
Tornando agli anni delle Medie Superiori, rispetto ai miei compagni di classe avevo un asso in più nella manica: le mie difficoltà di parola.
Quando sei disabile, sei portato a guardare te stesso e la gente ti guarda il più delle volte vedendo ciò di cui la vita ti ha privato. In realtà, a volte uno svantaggio può anche offrire opportunità che gli altri non hanno.
Or bene, quando mi trovavo messo alle corde da un "prof." che non abboccava all'amo dei trucchetti sopra esposti, ingarbugliavo apposta il fluire del mio parlare, riducendolo a una specie di grammelot e in certi punti rendendolo del tutto incomprensibile. Poi, con fare angelico, gli dicevo spudoratamente: "Mi scusi, sa, ho delle difficoltà di parola. Vuole che ripeta quello che ho appena detto?". A quel punto, il "prof.", anzi, la "prof." (visto che avevamo quasi tutte docenti donne) non se la sentiva di infierire sulle mie difficoltà di parola e prendeva per oro colato quello che avevo detto, come se fosse la miglior risposta possibile.
Per la verità, io e un paio di miei compagni di classe ricorremmo anche ad un espediente geniale (l'idea, manco a dirlo, venne ad Antonio): proporre al docente di esporre i risultati di una ricerca al posto dell'interrogazione tradizionale. Ma questo merita un post a parte.
In un paio di occasioni, lo ammetto, ricorsi al trucco più ignominioso per scansare l'interrogazione: la fuga, l'uscita dalla classe fingendo un malessere.
La prima volta corsi il rischio di venire bruciato sul tempo da Maria Grazia.
In Prima Superiore avevamo una supplente di Fisica che aveva due caratteristiche: pronunciava la "y" ipsielon invece di ipsilon (e non a caso l'avevamo soprannominata proprio Ipsielon) e aveva un terrore folle del sangue. Non ricordo come lo scoprimmo ma l'importante fu averlo scoperto.
Morale della favola: una mattina entrò in classe e, in barba alle interrogazioni programmate non per quel giorno, volle interrogare lo stesso. Panico generale.
Mi ero già messo il fazzoletto sul naso e stavo per alzarmi dal banco per andarle a chiedere il permesso di uscire dall'aula quando vidi che Maria Grazia stava già facendo la stessa cosa.
Andò alla cattedra con fazzoletto che nascondeva quasi tutto il volto e chiese di uscire.
- Che cos'hai?
- Mi sanguina il naso.
Al che la supplente, spostandosi subitamente all'indietro con la sedia, le disse, anzi, le gridò terrorizzata: "Esci pure!".
Mannaggia, la scusa del sangue dal naso era bruciata!
Ma non mi persi d'animo e come mi accade sempre nei momenti più difficili coniugai al meglio intuizione, esperienza e improvvisazione.
Ricordandomi che da ragazzino avevo sofferto varie volte l'insorgere di grossi foruncolo sul viso, presi un pennarello rosso, imbrattai di quel colore il mio fazzoletto, me lo misi in faccia, andai alla cattedra e dissi alla supplente: "Posso uscire? Mi è scoppiato un foruncolo che avevo sul naso".
Mi diede immediatamente il permesso con un'espressione talmente inorridita sul viso che per poco non scoppiai a ridere.
Uscii ed evitai così il rischio di rimanere coinvolto nell'improvvida interrogazione.
Un'altra volta, invece, non potei scappare e mi salvai per un'inaspettata propensione della "prof." a credere alle balle che le venivano raccontate.
Terzo trucchetto: se il "prof." era solito fare più domande durante un'interrogazione, compresi che dopo aver risposto alla prima dovevo "batterlo sul tempo". Non lasciandogli il tempo di formulare la domanda successiva ma, una volta esposto l'argomento inerente alla prima, dirgli una frase del tipo: "E poi, cambiando argomento, potrei parlare di ...", e iniziare a disquisire di cose su cui ero preparato.
Quando poi mi facevano una domanda a cui non sapevo rispondere in modo esauriente, prendevo la cosa alla lontana, magari partendo dall'argomento precedente nel programma di quella materia, presentandolo come l'origine di quello su cui mi era stato chiesto di parlare. L'effetto era assicurato, naturalmente se il "prof." non ci cascava e non ti richiamava a parlare di quello che ti aveva domandato: occupando i quattro dei cinque minuti della durata della tua risposta per parlare di altro, nel minuto rimanente potevo rimanere nel generico sull'argomento che non conoscevo bene, tanto il tempo per rispondere su di esso sarebbe durato poco.
Una volta mi avvalsi di questo trucchetto anche successivamente, all'Università. Al mio primo esame di Storia del Risorgimento, per la parte istituzionale venni interrogato dal prof. Ratti, allora assistente del prof. Nada, e mi disse di parlargli del regno di Vittorio Emanuele II; non essendo molto sicuro su di esso, iniziai con un'affermazione storiograficamente vera (se possibile, i trucchi, pardon, le acrobazie dialettiche vanno sempre ancorate a cose vere e non a balle) e cioè che: "Gran parte delle iniziative prese da Vittorio Emanuele II hanno la loro nelle riforme varate nel precedente regno di Carlo Alberto", dopo di che mi misi a sciorinargli tutte le cose fatte da Carlo Alberto, su cui ero decisamente più preparato perché la parte monografica riguardava proprio il suo regno, e di Vittorio Emanuele II parlai ben poco. Mi andò bene: allora presi il mio primo 30 e lode.
Tornando agli anni delle Medie Superiori, rispetto ai miei compagni di classe avevo un asso in più nella manica: le mie difficoltà di parola.
Quando sei disabile, sei portato a guardare te stesso e la gente ti guarda il più delle volte vedendo ciò di cui la vita ti ha privato. In realtà, a volte uno svantaggio può anche offrire opportunità che gli altri non hanno.
Or bene, quando mi trovavo messo alle corde da un "prof." che non abboccava all'amo dei trucchetti sopra esposti, ingarbugliavo apposta il fluire del mio parlare, riducendolo a una specie di grammelot e in certi punti rendendolo del tutto incomprensibile. Poi, con fare angelico, gli dicevo spudoratamente: "Mi scusi, sa, ho delle difficoltà di parola. Vuole che ripeta quello che ho appena detto?". A quel punto, il "prof.", anzi, la "prof." (visto che avevamo quasi tutte docenti donne) non se la sentiva di infierire sulle mie difficoltà di parola e prendeva per oro colato quello che avevo detto, come se fosse la miglior risposta possibile.
Per la verità, io e un paio di miei compagni di classe ricorremmo anche ad un espediente geniale (l'idea, manco a dirlo, venne ad Antonio): proporre al docente di esporre i risultati di una ricerca al posto dell'interrogazione tradizionale. Ma questo merita un post a parte.
In un paio di occasioni, lo ammetto, ricorsi al trucco più ignominioso per scansare l'interrogazione: la fuga, l'uscita dalla classe fingendo un malessere.
La prima volta corsi il rischio di venire bruciato sul tempo da Maria Grazia.
In Prima Superiore avevamo una supplente di Fisica che aveva due caratteristiche: pronunciava la "y" ipsielon invece di ipsilon (e non a caso l'avevamo soprannominata proprio Ipsielon) e aveva un terrore folle del sangue. Non ricordo come lo scoprimmo ma l'importante fu averlo scoperto.
Morale della favola: una mattina entrò in classe e, in barba alle interrogazioni programmate non per quel giorno, volle interrogare lo stesso. Panico generale.
Mi ero già messo il fazzoletto sul naso e stavo per alzarmi dal banco per andarle a chiedere il permesso di uscire dall'aula quando vidi che Maria Grazia stava già facendo la stessa cosa.
Andò alla cattedra con fazzoletto che nascondeva quasi tutto il volto e chiese di uscire.
- Che cos'hai?
- Mi sanguina il naso.
Al che la supplente, spostandosi subitamente all'indietro con la sedia, le disse, anzi, le gridò terrorizzata: "Esci pure!".
Mannaggia, la scusa del sangue dal naso era bruciata!
Ma non mi persi d'animo e come mi accade sempre nei momenti più difficili coniugai al meglio intuizione, esperienza e improvvisazione.
Ricordandomi che da ragazzino avevo sofferto varie volte l'insorgere di grossi foruncolo sul viso, presi un pennarello rosso, imbrattai di quel colore il mio fazzoletto, me lo misi in faccia, andai alla cattedra e dissi alla supplente: "Posso uscire? Mi è scoppiato un foruncolo che avevo sul naso".
Mi diede immediatamente il permesso con un'espressione talmente inorridita sul viso che per poco non scoppiai a ridere.
Uscii ed evitai così il rischio di rimanere coinvolto nell'improvvida interrogazione.
Un'altra volta, invece, non potei scappare e mi salvai per un'inaspettata propensione della "prof." a credere alle balle che le venivano raccontate.
La prof.ssa Barra, scusate la crudezza, era
una stronza: completamente priva di senso dell'umorismo, non ebbe verso di noi
un solo momento di umana comprensione.
Il povero Giorgio ne fece le spese più di
tutti, perché ad ogni rilievo della stronza si metteva a battibeccare con lei,
col solito, immutabile risultato: venire cacciato via dall'aula con una nota
sul registro.
Tant'è che, una volta, esasperato, alla
fine dell'ora di Geografia, Giorgio rientrò in classe, andò a leggere sul
registro il contenuto della nota: "Giorgio viene espulso dall'aula per
aver risposto in modo irriguardoso alla docente", e aggiunse di suo pugno:
"E la profia rompe".
Quel suo pur giustificato sfogo avrebbe
potuto costargli molto caro ma per fortuna Chiara si accorse della pepata
aggiunta e gliela fece cancellare, facendogli capire che una cose del genere
poteva anche procurargli una sospensione se non addirittura di peggio.
Una mattina era in programma la visita
alla borsa valori di Torino, con la partenza del pullman prevista per le 8,30.
La
prima ora di lezione, con inizio alle 8, era di Geografia.
La prof.ssa Barra entrò in aula e disse:
"Bene, poiché fra mezz'ora dovete andare via, invece di fare lezione oggi
interrogo".
Naturalmente, presumendo che quel giorno
non ci sarebbero state lezioni, nessuno di noi si era preparato, tanto più che
non era giorno di interrogazioni programmatiche.
Proteste generali ma la profia fu
inflessibile: bisognava interrogare.
Ora, ce l'hai un'anima? E' giorno di
uscita per imparare qualcosa ed è logico che gli studenti non siano preparati,
visto l'orario di partenza del pullman. Un minimo di comprensione non sarebbe
costato alcunché.
Invece no: la prof.ssa Barra fu
inflessibile e, siccome nessuno si offrì come volontario, tirò a sorte.
Fra i quattro malcapitati che di solito
venivano interrogati, venni sorteggiato anch'io.
E anch'io, come le mie tre compagne di
classe tirate in ballo, cercai vanamente di spiegarle che non avevo studiato
perché credevo che non ci fosse stata lezione.
La stronza allora mi disse: "Se ti
rifiuti di venire, ti do 4".
Allora Antonio mi consigliò: "Senti,
4 è il voto minimo che dà alle interrogazioni. Se anche non sai niente, non
prendi di meno di quanto ti darebbe a non andare a farti interrogare, quindi
non hai niente da perdere. Vai e vedrai che comunque qualcosa riuscirai a dire
e limiterai i danni".
Lo ascoltai e feci bene.
La prof.ssa Barra aveva un modo maniacale
di interrogare: faceva il giro dei quattro studenti ponendo loro
rispettivamente quattro domande ovvero quattro giri di quattro domande e dopo
ogni risposta segnava su un foglio di carta il punteggio parziale, da 0 a 2; a
interrogazioni concluse, di ogni studente faceva la somma dei quattro punteggi
parziali, a cui aggiungeva 1; se il risultato totale era meno di 4, dava
comunque 4; il voto massimo era 9 cioè 2+2+2+2+1.
Voi capirete che una così patologicamente
malata di punteggi non poteva non essere acida e priva di comprensione umana. E
nemmeno possedere un po' di senso dell'umorismo, perché se ne avesse avuto un
briciolo si sarebbe risa in faccia da sola per le seghe mentali che si faceva
coi punteggi delle interrogazioni.
Fatto sta che, quando mi fece la prima
domanda, feci come fanno tutti gli studenti impreparati di questo mondo cioè
dissi la prima cosa che mi passava per la testa e in questi casi la prima cosa
che ti passa per la testa al 99 % è una cazzata. In effetti, dissi una cazzata
e proseguii a sparare cazzate.
Ma Guccini non mi ha citato ne L'avvelenata. D'altronde,
eravamo nel 1975 e l'album Via
Paolo Fabbri 43 sarebbe
uscito l'anno seguente: il Maestrone non poteva sapere che io meritavo più di
Bertoncelli di essere citato.
Quella era la mia prima interrogazione di
Geografia con la prof,ssa Barra e, quando finii di rispondere, notai con mio
sommo sbalordimento che sul foglietto mi aveva assegnato un punteggio
esageratamente alto.
Ne dedussi con mio sollievo che forse
avrei potuto rimediare la sufficienza e che la profia beveva ogni cretinata che
sentiva.
Così ringalluzzito, quando venne il mio
turno per la seconda, la terza e la quarta domanda, sparai delle cazzate
galattiche con una sicurezza che non avevo avuto all'inizio.
Il risultato fu che presi un 8-. Voto
esaltante per uno che era completamente impreparato.
Da quel giorno, per quell'anno scolastico
(il solo che avemmo la prof.ssa Barra come docente) non studiai più Geografia:
andavo a farmi interrogare, sparavo balle a tutto spiano e prendevo voti alti.