mercoledì 10 giugno 2015

Come sopravvissi alle interrogazioni

La prima via, quella più razionale e sicura, per superare indenni un'interrogazione scolastica è anche la più lapalissiana: prepararsi bene. Se uno riesce a farlo, non ha bisogno di trucchi e trucchetti per cavarsi d'impaccio.
Tuttavia, vuoi perché per la legge dei grandi numeri capita il giorno in cui uno studente giunge impreparato all'interrogazione, vuoi perché per quanto possa aver studiato a fondo può capitargli una domanda a cui non sa rispondere, esistono varie tecniche per salvare il salvabile.
Vado indietro nel tempo, agli ormai lontani anni delle Medie Superiori, per narrare di come superai i momenti di crisi durante alcune mie interrogazioni.
In primo luogo, imparai a curare l'atteggiamento da assumere di fronte al o alla "prof.": non spavaldo, del genere: "Adesso ti insegno io come si insegna", ma comunque sicuro, a testa alta, mai con lo sguardo e la postura di chi si presenta come vittima del complotto del mondo intero, mai immusonito o triste ma sereno e sorridente; ridanciano no, perché si darebbe l'impressione di voler prendere in giro il o la docente.
In secondo luogo, alle domande, che sapessi o no rispondere ad esse, compresi che non dovevo palesare indecisione, dovevo cioè iniziare subito a dire qualcosa, perché avessi fatto scena mura sarei sembrato impreparato; dovevo inoltre parlare in continuazione, senza pause che potessero consentire al "prof." di muovermi obiezioni o passare a una nuova domanda e, se lo vedevo in procinto di fare ciò, dovevo accelerare il ritmo e aumentare un po' il tono della voce: di solito, mi era sufficiente per farlo desistere.
Terzo trucchetto: se il "prof." era solito fare più domande durante un'interrogazione, compresi che dopo aver risposto alla prima dovevo "batterlo sul tempo". Non lasciandogli il tempo di formulare la domanda successiva ma, una volta esposto l'argomento inerente alla prima, dirgli una frase del tipo: "E poi, cambiando argomento, potrei parlare di ...", e iniziare a disquisire di cose su cui ero preparato.
Quando poi mi facevano una domanda a cui non sapevo rispondere in modo esauriente, prendevo la cosa alla lontana, magari partendo dall'argomento precedente nel programma di quella materia, presentandolo come l'origine di quello su cui mi era stato chiesto di parlare. L'effetto era assicurato, naturalmente se il "prof." non ci cascava e non ti richiamava a parlare di quello che ti aveva domandato: occupando i quattro dei cinque minuti della durata della tua risposta per parlare di altro, nel minuto rimanente potevo rimanere nel generico sull'argomento che non conoscevo bene, tanto il tempo per rispondere su di esso sarebbe durato poco.

Una volta mi avvalsi di questo trucchetto anche successivamente, all'Università. Al mio primo esame di Storia del Risorgimento, per la parte istituzionale venni interrogato dal prof. Ratti, allora assistente del prof. Nada, e mi disse di parlargli del regno di Vittorio Emanuele II; non essendo molto sicuro su di esso, iniziai con un'affermazione storiograficamente vera (se possibile, i trucchi, pardon, le acrobazie dialettiche vanno sempre ancorate a cose vere e non a balle) e cioè che: "Gran parte delle iniziative prese da Vittorio Emanuele II hanno la loro nelle riforme varate nel precedente regno di Carlo Alberto", dopo di che mi misi a sciorinargli tutte le cose fatte da Carlo Alberto, su cui ero decisamente più preparato perché la parte monografica riguardava proprio il suo regno, e di Vittorio Emanuele II parlai ben poco. Mi andò bene: allora presi il mio primo 30 e lode.

Tornando agli anni delle Medie Superiori, rispetto ai miei compagni di classe avevo un asso in più nella manica: le mie difficoltà di parola.
Quando sei disabile, sei portato a guardare te stesso e la gente ti guarda il più delle volte vedendo ciò di cui la vita ti ha privato. In realtà, a volte uno svantaggio può anche offrire opportunità che gli altri non hanno.
Or bene, quando mi trovavo messo alle corde da un "prof." che non abboccava all'amo dei trucchetti sopra esposti, ingarbugliavo apposta il fluire del mio parlare, riducendolo a una specie di grammelot e in certi punti rendendolo del tutto incomprensibile. Poi, con fare angelico, gli dicevo spudoratamente: "Mi scusi, sa, ho delle difficoltà di parola. Vuole che ripeta quello che ho appena detto?". A quel punto, il "prof.", anzi, la "prof." (visto che avevamo quasi tutte docenti donne) non se la sentiva di infierire sulle mie difficoltà di parola e prendeva per oro colato quello che avevo detto, come se fosse la miglior risposta possibile.

Per la verità, io e un paio di miei compagni di classe ricorremmo anche ad un espediente geniale (l'idea, manco a dirlo, venne ad Antonio): proporre al docente di esporre i risultati di una ricerca al posto dell'interrogazione tradizionale. Ma questo merita un post a parte.

In un paio di occasioni, lo ammetto, ricorsi al trucco più ignominioso per scansare l'interrogazione: la fuga, l'uscita dalla classe fingendo un malessere.
La prima volta corsi il rischio di venire bruciato sul tempo da Maria Grazia.
In Prima Superiore avevamo una supplente di Fisica che aveva due caratteristiche: pronunciava la "y" ipsielon invece di ipsilon (e non a caso l'avevamo soprannominata proprio Ipsielon) e aveva un terrore folle del sangue. Non ricordo come lo scoprimmo ma l'importante fu averlo scoperto.
Morale della favola: una mattina entrò in classe e, in barba alle interrogazioni programmate non per quel giorno, volle interrogare lo stesso. Panico generale.
Mi ero già messo il fazzoletto sul naso e stavo per alzarmi dal banco per andarle a chiedere il permesso di uscire dall'aula quando vidi che Maria Grazia stava già facendo la stessa cosa.
Andò alla cattedra con fazzoletto che nascondeva quasi tutto il volto e chiese di uscire.
- Che cos'hai?
- Mi sanguina il naso.
Al che la supplente, spostandosi subitamente all'indietro con la sedia, le disse, anzi, le gridò terrorizzata: "Esci pure!".
Mannaggia, la scusa del sangue dal naso era bruciata!
Ma non mi persi d'animo e come mi accade sempre nei momenti più difficili coniugai al meglio intuizione, esperienza e improvvisazione.
Ricordandomi che da ragazzino avevo sofferto varie volte l'insorgere di grossi foruncolo sul viso, presi un pennarello rosso, imbrattai di quel colore il mio fazzoletto, me lo misi in faccia, andai alla cattedra e dissi alla supplente: "Posso uscire? Mi è scoppiato un foruncolo che avevo sul naso".
Mi diede immediatamente il permesso con un'espressione talmente inorridita sul viso che per poco non scoppiai a ridere.
Uscii ed evitai così il rischio di rimanere coinvolto nell'improvvida interrogazione.

      Un'altra volta, invece, non potei scappare e mi salvai per un'inaspettata propensione della "prof." a credere alle balle che le venivano raccontate.
      La prof.ssa Barra, scusate la crudezza, era una stronza: completamente priva di senso dell'umorismo, non ebbe verso di noi un solo momento di umana comprensione.
      Il povero Giorgio ne fece le spese più di tutti, perché ad ogni rilievo della stronza si metteva a battibeccare con lei, col solito, immutabile risultato: venire cacciato via dall'aula con una nota sul registro.
      Tant'è che, una volta, esasperato, alla fine dell'ora di Geografia, Giorgio rientrò in classe, andò a leggere sul registro il contenuto della nota: "Giorgio viene espulso dall'aula per aver risposto in modo irriguardoso alla docente", e aggiunse di suo pugno: "E la profia rompe".
      Quel suo pur giustificato sfogo avrebbe potuto costargli molto caro ma per fortuna Chiara si accorse della pepata aggiunta e gliela fece cancellare, facendogli capire che una cose del genere poteva anche procurargli una sospensione se non addirittura di peggio.
      Una mattina era in programma la visita alla borsa valori di Torino, con la partenza del pullman prevista per le 8,30.
      La prima ora di lezione, con inizio alle 8, era di Geografia.
      La prof.ssa Barra entrò in aula e disse: "Bene, poiché fra mezz'ora dovete andare via, invece di fare lezione oggi interrogo".
      Naturalmente, presumendo che quel giorno non ci sarebbero state lezioni, nessuno di noi si era preparato, tanto più che non era giorno di interrogazioni programmatiche.
      Proteste generali ma la profia fu inflessibile: bisognava interrogare.
      Ora, ce l'hai un'anima? E' giorno di uscita per imparare qualcosa ed è logico che gli studenti non siano preparati, visto l'orario di partenza del pullman. Un minimo di comprensione non sarebbe costato alcunché.
      Invece no: la prof.ssa Barra fu inflessibile e, siccome nessuno si offrì come volontario, tirò a sorte.
      Fra i quattro malcapitati che di solito venivano interrogati, venni sorteggiato anch'io.
      E anch'io, come le mie tre compagne di classe tirate in ballo, cercai vanamente di spiegarle che non avevo studiato perché credevo che non ci fosse stata lezione.
      La stronza allora mi disse: "Se ti rifiuti di venire, ti do 4".
      Allora Antonio mi consigliò: "Senti, 4 è il voto minimo che dà alle interrogazioni. Se anche non sai niente, non prendi di meno di quanto ti darebbe a non andare a farti interrogare, quindi non hai niente da perdere. Vai e vedrai che comunque qualcosa riuscirai a dire e limiterai i danni".
      Lo ascoltai e feci bene.
      La prof.ssa Barra aveva un modo maniacale di interrogare: faceva il giro dei quattro studenti ponendo loro rispettivamente quattro domande ovvero quattro giri di quattro domande e dopo ogni risposta segnava su un foglio di carta il punteggio parziale, da 0 a 2; a interrogazioni concluse, di ogni studente faceva la somma dei quattro punteggi parziali, a cui aggiungeva 1; se il risultato totale era meno di 4, dava comunque 4; il voto massimo era 9 cioè 2+2+2+2+1.
      Voi capirete che una così patologicamente malata di punteggi non poteva non essere acida e priva di comprensione umana. E nemmeno possedere un po' di senso dell'umorismo, perché se ne avesse avuto un briciolo si sarebbe risa in faccia da sola per le seghe mentali che si faceva coi punteggi delle interrogazioni.
      Fatto sta che, quando mi fece la prima domanda, feci come fanno tutti gli studenti impreparati di questo mondo cioè dissi la prima cosa che mi passava per la testa e in questi casi la prima cosa che ti passa per la testa al 99 % è una cazzata. In effetti, dissi una cazzata e proseguii a sparare cazzate.
      Ma Guccini non mi ha citato ne L'avvelenata. D'altronde, eravamo nel 1975 e l'album Via Paolo Fabbri 43 sarebbe uscito l'anno seguente: il Maestrone non poteva sapere che io meritavo più di Bertoncelli di essere citato.
      Quella era la mia prima interrogazione di Geografia con la prof,ssa Barra e, quando finii di rispondere, notai con mio sommo sbalordimento che sul foglietto mi aveva assegnato un punteggio esageratamente alto.
      Ne dedussi con mio sollievo che forse avrei potuto rimediare la sufficienza e che la profia beveva ogni cretinata che sentiva.
      Così ringalluzzito, quando venne il mio turno per la seconda, la terza e la quarta domanda, sparai delle cazzate galattiche con una sicurezza che non avevo avuto all'inizio.
      Il risultato fu che presi un 8-. Voto esaltante per uno che era completamente impreparato.
      Da quel giorno, per quell'anno scolastico (il solo che avemmo la prof.ssa Barra come docente) non studiai più Geografia: andavo a farmi interrogare, sparavo balle a tutto spiano e prendevo voti alti.

mercoledì 3 giugno 2015

Anno scolastico agli sgoccioli: le ultime interrogazioni

Per fortuna, durante il mio cursus studiorum non ho mai corso rischi di essere bocciato o rimandato a settembre. Solo una volta, in Prima Media Inferiore, rimediai nell'ultimo compito in classe di Matematica un indecoroso 4/5 (determinato anche da una distrazione dovuta alla mia consueta tendenza a fare le cose in fretta: un "6X6=6" inserito in una equazione) ma, tra i voti dei precedenti compiti in classe e quelli delle interrogazioni, nemmeno in quella circostanza rischiai di scivolare al di sotto della media del 6. Anzi, quell'anno scolastico in Matematica ebbi comunque 7 in pagella.
La fine degli anni scolastici, dunque, venne sempre vissuta da me con grande serenità.
Alle Medie Superiori, poi, superati gli ostacoli dei compiti in classe (oggi si chiamano "verifiche"), mi avvalsi ampiamente delle opportunità garantiteci dalle interrogazioni programmate: ad ogni "giro", eravamo noi a decidere quando volevamo essere interrogati, se all'inizio, poco dopo l'inizio, a metà, quasi alla fine, alla fine del turno. E, una volta interrogati, vigeva la regola non scritta che non si sarebbe stati nuovamente messi sotto torchio, almeno fino a quando anche l'ultimo compagno o compagna di classe non fosse stato interrogato.
Regola, questa, che valeva anche per quei pochi "prof." che non facevano le interrogazioni programmate ma che ogni volta che interrogavano chiedevano sempre preliminarmente: "C'è qualche volontario?".
Io mi offrii sempre come volontario alla prima interrogazione di ogni "giro". E il merito di ciò fu del mio compagno di classe Antonio Tumeo (quando si parla bene di una persona, si può anche citarne il nome e il cognome).
Antonio, come me sempre fra i primissimi a farsi interrogare, mi illustrò, con un'argomentazione che nulla aveva di empirico raggiungendo le vette della riflessione teoretica, i tre vantaggi che si avevano nel passare per primi:
a) vantaggio psicologico: ci si levava subito il pensiero, volgarmente detto peso o preoccupazione;
b) vantaggio d'immagine: si faceva bella figura coi professori spacciandosi per studenti seri e diligenti;
c) vantaggio materiale: poiché le interrogazioni proseguivano nelle settimane alternandosi alle lezioni, chi passava per primo veniva interrogato su una parte più piccola del programma, studiava quindi di meno e poteva prepararsi meglio (il dilettevole e l'utile, almeno in questo caso, si univano alla perfezione).
Intelligente e saggio Antonio! Quella tua esposizione mi consentì di avere in tutti quei cinque anni almeno un punto in più di media su tutte le materie.
A tutto ciò va aggiunto un particolare un po' sadico. Quando era giorno di interrogazione di una materia e nessuno, per paura o per impreparazione, voleva andare al patibolo, il "prof." o la "prof." tiravano a sorte, ovviamente esentando dall'andare alla cattedra quelli estratti che fossero già stati interrogati per quel "giro".
E allora, alla fatidica frase della persona docente: "Non viene nessuno? Bene, tiro a sorte", io e Antonio ci sfregavamo le mani e lanciavamo sguardi goduti verso i volti terrorizzati dei nostri compagni e delle nostre compagne di classe.