venerdì 31 ottobre 2025

Lentamente, tutto coincide


Lentamente, tutto coincide, come in un mosaico, mentre il tempo nel suo scorrere incide solchi nel terreno del mondo, nelle costruzioni degli uomini, nelle anime delle persone, solchi destinati ad approfondirsi sempre di più, in attesa che acqua e aria limino le loro pareti fino a ridurre il tutto a tabula rasa, mentre l’anima anela a vedere la porta che dischiude la luminosa eternità nel Regno di Dio.

Lentamente, tutto coincide, come su una riva a poco a poco livellata dalle onde del mare, mentre le cime montuose s'addolciscono a forza di carezze della brezza e si limano a suon di schiaffi del vento, mentre gli spigoli dei muri si smussano con il passare dei decenni, mentre i dolori umani perdono di intensità col trascorrere degli anni o aumentano sempre di più a seconda delle colpe commesse, mentre le gioie umane s'ammantano di lucida nostalgia man mano che il Tempo allontana l'attimo del loro sgorgare dalle sorgenti della vita, consegnandolo al Passato.

Lentamente, tutto coincide, come nell'ordine geometrico delle pagine di un libro, il cui epilogo dà senso ai tanti interrogativi disseminati nella trama, mentre la geologia rivela gli strati del suolo, mentre l'archeologia rivela le vestigia delle civiltà, mentre gli individui accumulano ricordi su ricordi, vere fondamenta del presente e del futuro.

Lentamente, tutto coincide, come nel sorgere e nel tramontare del disco solare, mentre la terra ne assorbe il calore per poi ricadere nel freddo notturno, mentre le strade ricevono il movimento dei viandanti per poi tornare silenziose e deserte, mentre gli uomini si immergono nella diurna socialità per poi tornare nel serale privato domestico.

Lentamente, tutto coincide, come in un compendio di Storia, mentre il pianeta respira l'aria del suo passato, mentre palazzi e templi ascoltano l'eco dei loro progettisti, dei loro costruttori, dei loro occupanti, mentre gli uomini fanno, sgomenti o sereni, i conti col loro passato, traendone, si spera, utili insegnamenti.

Lentamente, tutto coincide, mentre il Tempo, a poco a poco, svela il punto di osservazione per chi non ha veli davanti agli occhi e gli fa vedere che il mosaico della sua vita non è composto da tessere impazzite ma contiene un disegno dotato di senso.

È il disegno che Dio ha fatto per noi.


mercoledì 29 ottobre 2025

Le ferite rimangono aperte

Le ferite rimangono aperte, con illusorie cicatrici che svaniscono all'emergere dei ricordi, riaprendo labbra su carni di strazio.

I vuoti rimangono abissali, con caduche coperte che li nascondono come nebbia che si dissolve all'emergere del sole del vissuto.

Gli errori, i peccati, rimangono vivi nell’anima, salici piangenti dotati di spine che si piantano in essa quando soffia il vento del rimorso.

Ma si va avanti lo stesso, sperando che le nostre suole ci proteggano dalle pietre acuminate di cui è cosparso il sentiero della vita, pur sapendo che solo camminando scalzi potremo espiare le nostre colpe.

Le ferite rimangono aperte e tali ce le porteremo dietro lungo la via e i giorni che ci restano.

Il mondo distrae, gli affetti distraggono, ma il dolore che esse procurano durerà per sempre.

martedì 28 ottobre 2025

La tristezza di un ospedale di sera

D’autunno inoltrato o d’inverno, quando inizia la sera e il sole si avvia al tramonto, le luci sono già accese nei corridoi e nelle camere del vecchio edificio probabilmente più adatto ad ospitare una facoltà universitaria che un ospedale: tutto conferisce, guardando dall'esterno, un aspetto triste alla Casa della Vita. E della Morte.

Il pensiero, che consente di volgere sguardi penetranti con occhi ben più attenti di quelli fisici (che consente cioè di guardare gli occhi dell'anima), corre a tutte le persone che sono ospiti dell'ospedale.

A chi sta soffrendo molto fisicamente: qualcuno, chissà?, ha talmente tanto male da non riuscire a concentrarsi su altro che sul dolore che sta provando; qualcun altro, forse, ha negli occhi e nel resto del corpo la paura di una fine che per lui significa la conclusione di tutto; la fede di altri, invece, consente loro di pensare alla morte come a un passaggio verso una forma di vita migliore (come mi ha raccontato il mio amico Paolo Stefano Riccadonna, ci sono persone che, nonostante le sofferenze, muoiono col sorriso sulle labbra dicendo ai propri cari un'ultima, confortante parola: "Arrivederci"). Ognuno reagisce in modo diverso dagli altri alle esperienze e, a maggior ragione, anche a quella del dolore e al pensare alla morte.

Ma il pensiero corre anche a chi non sta (o non sta più) soffrendo in modo acuto: a chi è in più o meno ansiosa attesa di un intervento chirurgico previsto per il giorno dopo; a chi aspetta trepidante di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici per valutare la gravità o meno delle sue condizioni di salute; a chi è già a conoscenza di un responso non positivo e cerca di abituarsi all'idea di un lungo decorso o di una durata di vita di pochi mesi; a chi, al contrario, ha superato con successo esami ed operazioni e, sapendo che guarirà completamente, passeggia serenamente nei corridoi, nella più o meno breve attesa del giorno delle dimissioni e poteva tirare un grosso sospiro di sollievo. Ma anche in quest'ultimo caso è difficile pensare a un animo gioioso e spensierato, visto che si è comunque a contatto con l'altrui sofferenza, con le altrui condanne (a meno che, naturalmente, uno non sia completamente insensibile ed egoista): un po' di tristezza incombe certamente anche su chi sta per uscire dal tunnel.

Si sta avvicinando l'orario delle visite serali e anche da questo aspetto l'immaginazione corre a fotografare diverse situazioni: chi, rimasto o lasciato solo, guarda con tristezza, con rabbia forse, agli altri ricoverati circondati dal caloroso affetto di parenti ed amici; chi non si aspetta una certa visita ed ora prova la gioia di una gradita sorpresa; chi gode del conforto di visite quotidiane di persone care, della consolazione di non sentirsi abbandonato.

E vario è anche lo stato d'animo dei cari dei ricoverati: chi vive già nel sollievo di un ricovero per una cosa non grave o per un pericolo che per fortuna è stato fugato dagli esami; chi, dopo un grave problema di un parente, è sì confortato dall'esito positivo delle cure ma aveva sul volto profonde rughe improvvisamente scavate da un patema improvviso che l'ha fatto invecchiare di vent'anni. E chi, di fronte ad un verdetto di condanna senza appello, sta vivendo il dramma di accompagnare negli ultimi giorni un caro consapevole della sua fine (standogli vicino con una straziante tenerezza e con sforzati sorrisi, promettendogli che sarebbe stato forte e che se la sarebbe cavata bene anche senza di lui) oppure l'opposto dramma di nascondere alla persona cara la fine imminente, violentando i propri occhi per impedire loro di lasciar tracimare lacrime che sarebbero corse come fiumi di lì a qualche ora, di lì a qualche giorno, e concedendo loro un temporaneo fluire durante brevi permanenze nel corridoio, al riparo dallo sguardo del proprio caro steso sul letto in una camera.

È triste un ospedale di sera.


Scritto ispiratomi passando una sera in auto lungo l'Ospedale Mauriziano di Torino.


domenica 26 ottobre 2025

Lasciatemi morire

Lasciatemi morire,

lasciatemi andare

verso la foce dell’Eternità,

in questo momento della vita

in cui il mio passato, il mio vissuto,

è un magigno che le mie spalle

non riescono più a portare.

 

Lasciatemi morire

ma senza consolarmi,

perché i miei errori,

i miei peccati,

il mio egoismo

non meritano conforto.

 

Lasciatemi morire

ma in modo naturale,

perché se rinunciassi alla vita

per una mia decisione

sarebbe una vile fuga

per evitare le sofferenze

e lo strazio che merito

di patire fino alla fine,

sarebbe il rifiuto dell’espazione

che devo affrontare fino in fondo.

 

Lasciatemi morire

ma non ora,

perché chi mi vuole bene

non merita di soffrire

per evitare a me questa sofferenza,

 

anche se non anelo più al sole

ma alla notte,

a una notte senza stelle.


venerdì 24 ottobre 2025

La solitudine di un faro


La notte marina avvolge la pelle e l'anima in un abbraccio col brivido.

Pallida eco di luce dalle stelle del firmamento proviene.

La solitudine del buio viene scalfita ad intermittenza dalla luce d'un faro, solitario come te, viandante lungo sentieri che di salsedine odorano.

Ti attrae, ti ammalia, l'inquieta torre, obelisco di Poseidon, e non sai se ti osserva con animo protettivo o minaccioso.


Scritto ispiratomi dal pensiero di Paolo Stefano Riccadonna: “Lasciarmi affascinare dall’inquietante solitudine di un faro”.


giovedì 23 ottobre 2025

In fondo, che colpa ne abbiamo?


In fondo, che colpa ne abbiamo se a volte continuiamo a parlare a statue che ci rispondono col loro mutismo, a cercare brecce, aperture in muri che con noi vogliono rimanere compatti, invalicabili, a rivolgere un sorriso a visi che non vogliono contraccambiarlo, a sperare che dopo tante porte sbattuteci in faccia l’uscio che abbiamo di fronte possa aprirsi per farci entrare?

In fondo, che colpa ne abbiamo se proviamo delusione, amarezza e tristezza quando scopriamo nell'altro una diversità che a noi non è complementare ma che ci respinge, quando camminiamo su una spiaggia sassosa che non si fa accarezzare dalle onde del mare e su cui i nostri piedi invano cercano una morbida sabbia disposta ad accettare le nostre orme?

In fondo, che colpa ne abbiamo se il sole che avevamo scelto come bussola della nostra vita si nega nascondendosi dietro nuvole scure, se la luna che avevamo scelto come musa non risponde alle nostre invocazioni e continua a guardarci col suo gelido biancore?

In fondo, che colpa ne abbiamo se osiamo sperare che qualcuno capisca le nostre aspirazioni, i nostri progetti, i nostri sogni, e li faccia propri rispondendoci con un semplice "sì"?

In fondo, che colpa ne ha chi non si vede simile a noi, chi non vuole accettare il nostro donarci, chi non contraccambia la nostra sussurrata richiesta di condividere qualcosa che ci è caro?

In fondo, che colpa ne ha l'atomo che non vuole unirsi a noi, preferendo far parte di altre molecole, di altre leghe, magari più resistenti al bisogno di dividere con altri ciò che si ha?


Testo ispiratomi dalla lettura del racconto “Inviti superflui” di Dino Buzzati.

Grazie a Paolo Stefano Riccadonna per avermi fatto conoscere questo racconto.


lunedì 20 ottobre 2025

Il mare sulla parete


Il mare sulla parete incombe sull'osservatore con la sua inabissante profondità.

Onde dai colori cupi inducono a meditare sugli tsunami che possono incombere sulle ignare vite.

Onde dai colori vivaci invitano a tuffarsi in quell'immensa piscina che è la vita per assaporarne la gioiosa bellezza.

Il mare sulla parete: quadro esposto forse in un museo, forse chissà dove; quadro che induce a pensare che il mondo e l'esistenza in fondo sono medaglie.

Medaglie con due facce.


Riflessione ispiratami da una frase di Renata Di Leo.


sabato 18 ottobre 2025

Il giorno come un film


Dissolvenza in entrata, interno giorno. Gli occhi si aprono e ancora annebbiati iniziano una panoramica sulla stanza in penombra, mentre la panoramica della mente scruta il futuro del giorno che inizia, scruta le cose da fare, scruta il mondo che ci attende; gli occhi si chiudono ancora per un momento, per assaporare il ricordo del sonno, del riposo, di un sogno. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, interno giorno. Le gambe si muovono e iniziano la carrellata verso i rituali consueti della preparazione all’uscita, dalla toeletta alla colazione, dalla colazione alla vestizione, dalla vestizione alla porta che s’apre. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, esterno giorno. Le panoramiche della vista si aggiungono, si uniscono alle carrellate delle gambe; la scena si svolge in mezzo alla gente assonnata e inghiottita dal traffico: la meta, l’obiettivo dell’ultima sua immagine è un palazzo, è una porta oltre la quale si cela un luogo dove spendere ore di vana miseria, un meschino teatro di tanti meschini arrivismi, di tante meschine frustrazioni. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, interno giorno. Un ufficio dove svolgere lavori inutili o dannosi per il genere umano; un ufficio dove attendere di sbrigare una pratica avendo a che fare con burocrati ottusi; un ospedale dove cercare conferme alla speranza nel timore di trovare conferme a condanne; tante le scene, tanti gli interni, stessa musica e stesso destino, quello del tempo che passa, del tempo che viene sprecato. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, esterno giorno. La panoramica dello sguardo mostra un cielo col sole basso, mostra i colori tenui della sera; la panoramica sulle strade mostra la gente muoversi sulla via del ritorno a casa; le carrellate successive portano l’obiettivo a incontrare strade affollate e mezzi di trasporto pieni. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, interno notte. Una porta si apre, una luce si accende, la porta viene richiusa; il ponte levatoio è di nuovo alzato, il maniero ha di nuovo accolto il pacifico guerriero che è ritornato dal torneo quotidiano; le panoramiche si fanno più lente, il respiro diventa più calmo, ora si può tirare il fiato. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, esterno notte. Una finestra aperta, un balcone adorno di vasi, regalano un sereno sguardo sul mondo, sul quel mare ora quieto ora impetuoso nel quale l’indomani bisognerà tornare a nuotare. Dissolvenza in uscita.

Dissolvenza in entrata, interno notte. la stanza in penombra è la scena ideale per consentire all’anima di fare una panoramica sul passato e sul futuro, prima che il sonno venga a portare la parola fine sullo schermo della giornata. Dissolvenza in uscita.

giovedì 16 ottobre 2025

Il fuoco di foglie secche


Il fuoco di foglie secche non brucia vita ma morte, non dissolve ricordi ed affetti ma illusioni e caducità.

Il fuoco di foglie secche non provoca ustioni ma dona tepore, non dà un dolore infinito ma schiocchi di serenità.

Il fuoco di foglie secche non dura ore ma attimi, non è strazio ma soltanto imago del tempo che pur se ne va.

Il fuoco di foglie secche non brucia di certo gli amori ma solo improvvise passioni che fan parte delle vanità. 

mercoledì 15 ottobre 2025

Il fuoco arde


Il fuoco arde, in questo scenario prodotto dall’immaginazione, probabile reminiscenza onirica di qualche incubo latente nell’inconscio.

Il fuoco arde, sotto forma di fiammelle disseminate in uno spazio terreno vasto e indistinto, scuro di colore e dalla superficie indecifrabile.

Il fuoco arde, con le sue fiammelle che ondeggiano come petali accarezzati dalla brezza: petali che non recano freschezza alla pelle ma ustioni.

Il fuoco arde, non come una marea che rischia di sommergerti ma come tanti puntini luminosi che, fatui, si spengono in poco tempo, un attimo prima che altri emergano da un suolo evidentemente ricco di combustibili.

Il fuoco arde e non sai se ti trovi in un film, in un sogno o di fronte al dipinto di un pittore visionario.

Il fuoco arde e scopri in esso il riflesso della tua anima, con le tue ancor vive amarezze, con le tue inconfessate paure, con le tue mai dichiarate speranze.

mercoledì 8 ottobre 2025

Recensione a Dan Brown, "L'ultimo segreto"


Lo confesso: un po' mi mancavano le (dis)avventure del professor Robert Langdon, il personaggio protagonista di tanti romanzi di Dan Brown.

Evidentemente l'Autore ha voluto farmi passare questa piccola nostalgia con la sua ultima fatica letteraria, L'ultimo segreto.

Temevo che, avendo come tema portante la noetica, fosse un mattone come Il simbolo perduto e invece, superate le prime pagine, L'ultimo segreto mi è piaciuto.

Ha tutti gli ingredienti del thriller mozzafiato: azione, cambi continui di luoghi in cui si svolgono le varie vicende, colpi di scena.

Ed ha pure importanti riferimenti storico-culturali su Praga, la città in cui è ambientato.

Lo stesso argomento centrale del libro, la delocalizzazione della coscienza, che secondo alcuni scienziati non risiederebbe nei neuroni e quindi non morirebbe con la morte del corpo, è affascinante e, qualora venisse provata, a mio avviso porterebbe alla conclusione che l'anima è immortale, smontando le teorie dei materialisti, da Pomponazzi in poi.

Certo, al di fuori del romanzo di Dan Brown, nella vita reale queste ricerche devono fare ancora parecchi passi avanti ma, da quel che se ne apprende dalle riviste scientifiche, gli inizi sono incoraggianti.

Per tutti questi motivi L'ultimo segreto è un romanzo da non perdere.

 

martedì 7 ottobre 2025

Il barbone


Ha due sandali come scarna calzatura e gambe nude a malapena coperte da un cappotto preso chissà dove, scarto di chi problemi non ha.

Il gelo invernale ha per dura coperta, l'afa estiva per opprimente mantello; ai passanti chiede all'aria aperta una moneta, con o senza cartello.

Barbone, clochard, vagabondo: in fondo, è lui il padrone del mondo, perché su nulla ha la proprietà, e solitario gira qua e là.

Porta con sé una storia unica, perché ognuno è diverso dagli altri, eppure uguale a molte persone, a cui la stessa sorte lo accomuna.

Difficile pensare che la sua sia stata una libera scelta, fortemente voluta; il suo errare da un corso a una via di certo nasce da un fallimento.

Poco importa sapere di lui quale passato l'ha portato all'aperto; quel che preme è l'avere presenti le tante porte che chiuse ha trovato: porte che l'hanno escluso da un mondo, che aveva creduto fosse suo per sempre; porte che ora gli negano aiuto, per risollevarsi da un colpo subito.

Egli è l'immagine nascosta da noi, che non vogliamo agli altri guardare, che non vogliamo gli altri ascoltare, presi come siamo solo da noi stessi.

Davanti a lui potremo in fretta passare, per negargli due soldi, un sorriso; oppure potremo dargli l'elemosina, illudendoci che sia atto da Paradiso.

Ma la nostra coscienza non si pulirà e il mondo non diventerà più bello fino a quando il giorno arriverà in cui lo sentiremo come un fratello. 

domenica 5 ottobre 2025

I canarini rimarranno in gabbia


I canarini rimarranno in gabbia i canarini e guarderanno spicchi di cielo da balconi stretti o da finestre chiuse.

Canteranno per allietare padroni spesso indifferenti oppure incapaci di dar loro la libertà che non hanno mai conosciuto.

Sbatteranno invano le ali, non potranno spiccare il volo incarcerati a vita fra sottili sbarre metalliche.

Non potranno librarsi nel cielo, a rischio sì di predatori alati ma almeno liberi di andare verso il sole per rivolgergli il loro canto d'allegria.

La loro vita sarà come un amore mai nato e il loro canto suonerà come un: "Ti amo", che non riceverà risposta.

Stretta gabbia di ferro, la loro.

Immensa prigione di tristezza, quella di chi ama non corrisposto. 

sabato 4 ottobre 2025

Giorni dell'adolescenza


Giorni dell'adolescenza, sbucati dalla spensieratezza dell'infanzia.

Giorni dell'adolescenza, in cui progetti ed avvenire ancora avevano sapore di certezza.

Giorni dell'adolescenza, in cui le nostre ambizioni si rispecchiavano nell'eco dei canti delle cicale.

Giorni dell'adolescenza, in cui non riconoscevamo nelle mute formichine lo specchio del nostro futuro.

Giorni dell'adolescenza, che il passato dipanatosi sulle nostre vite ha circondato con la sua nebbia e li fa apparire come isole felici affidate ai ricordi.


venerdì 3 ottobre 2025

Giorni


Giorni lunghi, nei quali l'attesa o l'angoscia, il dolore o la disperazione, ti portano a desiderare la parola fine o addirittura a non renderti nemmeno conto che il tempo passa e, forse, lavora per te.

Giorni corti, che però, nel loro soffio effimero misurato con l'infinitesimale numero di Chronos, contengono in sé l'Eternità, dove l'unico di ogni vissuto si espanderà all'infinito.

Giorni tormentati, nei quali l'anima vaga con la bussola in panne, alternando timori forse assenti dall'orizzonte e scenari confortanti forse destinati ad essere frantumati dallo scorrere della realtà.

Giorni sereni, nei quali l'anima assapora la pace dentro di sé, all'esterno di sé e in quello spazio inimmaginabile dove dimora Dio, e nei quali ognuno può respirare la brezza della saggezza, che rende carezzevoli sia le gioie della vita  che le sconfitte addolcite col coltivato frutto della rassegnazione.


giovedì 2 ottobre 2025

Ghiaccio


Prigione dell’acqua bloccata nel suo fluire dal freddo.

Gabbia di sentimenti bloccati nel loro manifestarsi dal gelo del mondo esterno.

Spietato egoismo che impedisce all’individuo di far correre nel mondo il rivolo benefico di quella generosità che ognuno di noi può far nascere dentro di sé e può coltivare trasformandone i semi in fiori destinati alla vista di tutti e in frutti destinati agli altri.

Contatto ustionante che delude chi si attendeva freschezza e invece ottiene bruciore, chi si aspettava un “sì” e invece riceve un “no”.

Strato duro, freddo, simbolo di arroganza e di superbia.

Superficie subdola, su cui possono scivolare anche le nostre meschinità.

Infida lastra su cui con pericolosa ebbrezza corrono veloci le nostre illusioni, destinate a inabissarsi in un lago profondo.

Crosta cristallina, metafora fisica dell’apparente eternità di cose destinate a sciogliersi per il calore dello scorrere del tempo.

Apparente nitidezza di tutte quelle promesse che sono basate sull’inganno e che proprio per questo hanno bisogno di brillare alla luce del sole.

Massa che si scioglie, liberando l’acqua fino ad allora  tenuta prigioniera, liquido trasparente che si mescola alla polvere e alla terra e diventa fanghiglia, come le ideologie che promettono una società perfetta si trasformano in melma.

Marmo acqueo che non dura, lastra gelata su cui non possono essere impressi caratteri, parole, idee destinati a diventare libri, strada su cui passi malfermi giammai porteranno lontano.