Prologo.
Due ore
passate di domenica mattina guardando un film in cassetta non sono ore perse se
si ha la fortuna di assaporare otto piccoli capolavori della Settima Arte.
Dialoghi
stringati, dallo stile essenziale, per non naufragare nella vana oratoria.
Fotografia dai colori studiati, splendidi e armoniosi, e musiche
raffinate, scelte per completare i racconti del grande regista, comunicano
all’anima ciò che le parole non riescono a dire appieno.
Grazie
ad Akira questa non è stata una giornata sprecata. Grazie ad Akira ho un altro
comodo bagaglio di sensazioni da portarmi dietro lungo il cammino del tempo:
qualcosa che rimane, qualcosa che non mi peserà sulle spalle ma che mi darà
forza per andare avanti, qualcosa che non scomparirà in mezzo all’oceano delle
banalità effimere di cui i media ci circondano.
I.
Sole attraverso la pioggia.
Bambino
come nuovo Ulisse, tentato dall’andare a vedere le volpi, desiderio proibito
che si trova oltre le Colonne d’Ercole del limite della foresta.
Forza
della buona educazione: la mamma che spinge il bambino ad andare a chiedere
perdono alle volpi; invece di proteggerlo, gli chiude in faccia le porte della
casa. Non è cattiveria, è amore: da grande non dovrà sottrarsi alle conseguenze
delle sue azioni; è giusto che impari già adesso a rispondere di ciò che fa.
II.
Il pescheto.
La dolce
bellezza del rosa, la fresca bellezza del colore dei fiori di pesco.
Le
figure umane armoniosamente si muovono in una coreografia che evoca il muoversi
al vento dei rami fioriti delle piante di pesco.
Le
piante riconoscono nel bambino l’eccezione, l’unico che ha pianto per il loro
abbattimento; solo a lui è dato di vederle nella loro forma d’origine.
III.
La tormenta.
Quando
la neve si dirada, i colori riprendono forma, la vita riprende i colori e torna
a respirare libera.
Quando
la vista torna libera, ci si accorge che l’obiettivo, creduto perduto per
sempre, si trova invece a pochi passi di distanza, a portata di mano.
Un
dubbio si fa avanti: è il ritorno a casa oppure è il Campo-Base Definitivo?
E la
donna che premurosa ti scaldava nella bufera era
Ma alla
fine ci si scuote dal torpore, ci si alza, ci si scrolla di dosso la neve, ci
si incammina verso la meta prefissata: metafora sublime della Vita che vince
IV.
Il tunnel.
Un cane
esce dalla galleria: è il fantasma dei bellici orrori o il messaggero d’un cupo
futuro?
L’ufficiale stremato lo ignora, entra nel buco orizzontale, ne esce
uguale a prima.
Un
soldato pallido lo raggiunge, pallido del pallore di chi ha già conosciuto la
morte. L’intera compagnia lo segue: è una centuria di trapassati, come la loro
avanguardia.
L’ufficiale prende coscienza degli orrori e dell’assurdità della guerra
ma è troppo tardi: i soldati morti ritornano indietro ma il cane fantasma
continuerà a seguirlo, continuerà a rimanere presente nella memoria col suo
bagaglio di eccidi e di odio.
V.
Corvi.
Osservare attenti le opere di Van Gogh, accingersi a lasciare la sala dei dipinti, mettersi il cappello in segno di commiato e ritrovarsi di colpo in un altro luogo, in un altro tempo, come se si fosse saltati dentro l’ultimo quadro.
Camminare nei paesaggi visti dal maestro pittore, parlare con persone
conosciute dal maestro pittore, incontrarlo, parlare con lui; e poi
rimpicciolirsi e navigare nei suoi quadri, navigare nei suoi colori.
Ritornare infine alla realtà, nel museo, davanti ai quadri, e togliersi
il cappello in segno di rispetto per quanto Van Gogh ci ha lasciato.
VI.
Fujiama in rosso.
Follia
degli uomini, ennesima, tragica follia, quella di dominare
I colori
radioattivi, i colori della morte si avvicinano ai sopravvissuti, ai quali
rimane una sola scelta: buttarsi a mare e annegare o restare contaminati senza
speranza.
La fine
verrà comunque per tutti, adulti o bambini, colpevoli o innocenti.
VII.
Il demone che piange.
Terra
bruciata, cenere dappertutto: a questo ci condurrà la follia tecnologica
scatenata dall’avidità umana.
Demoni
un tempo uomini piangono la loro sofferenza, i mali da essi commessi nel loro
passato.
Forse
qualche umano è ancora in tempo, forse può evitare di trasformarsi in demone,
di condannarsi a piangere il suo rifiuto alla vita, all’amore, all’altruismo.
VIII.
Villaggio dei mulini.
Ruotano
lente le pale dei mulini, come lenta dovrebbe ruotare l’esistenza degli uomini.
Isola felice, il villaggio dove non solo i mulini ma anche gli abitanti ruotano calmi, secondo natura, senza l’ausilio e la frenesia dei mezzi tecnologici.
Alla morte di ognuno, trovare in se stessi la serenità e la forza per congratularsi col trapassato per la sua esistenza spesa nel rispetto della vita.
Deporre un fiore sopra una pietra, nel ricordo di chi non c’è più, senza aver bisogno di un volto o di una conoscenza per rendergli omaggio: atto puro d’amore e di rispetto, quello che si rende agli anonimi, ringraziandoli per il solo fatto di essere passati sulla Terra.