Vento, porta via le foglie secche dei miei sogni, che la realtà con le
sue dita imparziali ha staccato dall'albero della speranza; portale via, se
sono intere, così come le ho viste planare lentamente dal ramo proteso al
futuro all'humus del passato; portale via, se si sono sbriciolate al tocco dei
miei polpastrelli appena ho provato a trasformarle in fiori e in frutti.
Vento, porta via l'ombra di una gioventù in cui dolore e rabbia erano
fedele compagnia, fedeli araldi delle mie illusioni, delle mie delusioni; porta
via l'ombra di tanti, piccoli o grandi, quotidiani fallimenti, che, ora lo so,
erano simili ai tanti da altri incontrati;
porta via l'ombra di tante, piccole o grandi, inevitabili sconfitte,
che, ora lo so, erano prove che il destino seminava lungo il mio cammino non
per perseguitarmi ma per rendermi più forte, più saggio, forse migliore.
Vento, porta via tutto quello che ha annebbiato i miei anni passati,
diminuendo le opportunità di prendere dalla vita ciò che di buono m'offriva;
porta via tutto quello che ormai non mi causa più frustrazione e su cui non
recrimino più; porta via quelle foglie ormai secche, d'ogni dolore alleggerite,
vuoti involucri di amarezze che ora, se schiacciati, non lascerebbero umide macchie
di dolorosa linfa ma solo polverosi residui al nulla destinati.
Vento, porta via le effimere tracce di effimere spemi; spazzale via
dalla mia fronte, in modo che il sole illumini i solchi su di essa prodotti dai
veri dolori, dai veri vuoti, che, ora lo so, con la loro incolmabilità fanno
sparire le sofferenze causate dalla presunzione e dalla vanità. È giusto e doveroso piangere per le vere cause di dolore; è peccato e vanità
piangere per le cose che non valgono niente.