martedì 2 agosto 2016

Notturno torinese

      Il telefilm poliziesco francese è appena finito. Spengo la tv, spengo la luce. Il sonno non c’è, il balcone mi invita a gettare uno sguardo sul mondo: accolgo l’invito.
      L’aria è più fresca: il breve e mite temporale ha da poco vinto la sua partita con l’afa, pronta comunque a prendersi la rivincita al prossimo levarsi del sole.
      In strada pochi passanti, anonimi e silenziosi, passano seguendo la corrente della vita nuotando a piedi lungo i fiumi chiamati marciapiedi.
      Sotto casa c’è un crocchio di cani legati al guinzaglio: socializzano, accennano a sprazzi di gioco. Uno, di piccola mole, viene tirato via dalla sua padrona: resiste, allunga il guinzaglio per tornare indietro dai suoi simili. Al quarto tira e molla la padrona, peraltro senza alcuna rudezza, lo prende in braccio e se lo porta via, indennizzandolo con tenere coccole per la separazione dai suoi simili.
      Ai bordi d’un marciapiede è accostata un’autovettura, coi finestrini anteriori abbassati ed i lampeggianti in funzione. Si profila all’attenzione non della vista ma dell’udito: urla di un litigio tra fidanzati rivelano la sua presenza. La mente, senza volerlo, corre ai tanti omicidi passionali di cui son piene le cronache. Per un attimo temo possa trattarsi del prologo d’una nuova tragedia. Ma il proseguimento del dissidio per fortuna allontana i timori: lui non è aggressivo, anzi, sembra preda della rassegnazione di non poter venire a capo del loro piccolo dramma. E’ lei ad urlare, anche se sembra soltanto volere fargli comprendere la realtà d’una situazione che non vuole accettare e che sembra dividerli.
      Dall’altra parte della strada un’altra auto si ferma. Ne scende un uomo, estrae dal bagagliaio una sedia a rotelle e l’accosta a una portiera. Ha portato a casa un amico che non può camminare, a cui ha regalato una serata in mezzo agli altri. Se i due litigiosi ragazzi avessero occhi per questa bella scena, capirebbero che al mondo c’è gente che sta peggio di loro e forse darebbero altro tono al loro amoroso scontro.
      Ma il litigio prosegue, con parole urlate da lei e lui a subire, con la fronte sconsolatamente poggiata su una mano, incapace di trovare risposte alle grida di lei, pieno soltanto di un pianto che non vuole uscire dai suoi occhi. Prosegue la lite e gli strilli di lei, incurante del disturbo che arreca a chi riposa con le finestre aperte, vengono a tratti coperte dal rumore delle auto che sgranate sfrecciano lungo il nastro asfaltato. Prosegue la lite, con le urla di lei che si alternano a pause di silenzio, come per consentire ai suoi polmoni e alle sue argomentazioni di riprendere fiato; lui, intanto, solo ogni tanto risponde, rimanendo per lo più passivo a guardare di fuori, probabilmente non vedendo neanche la strada ma soltanto il suo futuro con lei andare in frantumi.
      Passa un gatto randagio, corre guardingo rasente i muri, come per tenersi lontano dalla furia che infuria all’interno dell’auto.
      Alla fine il litigio ha fine: lei apre la portiera, accenna a scendere; lui cerca di trattenerla ma, dopo una breve e incruente lotta, lei esce dall’auto, grida: ”Sono stufa!”, e attraversa la strada, verso il portone di casa. Lui mette in moto e, con una sgommata, lascia il posto dove forse è finito un amore.
      Cala il silenzio ma è solo una effimera tregua: auto isolate continueranno a tener sveglia la notte.

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