mercoledì 6 maggio 2015

La mia scoperta di Eric Rohmer

Era l'ormai lontano 1985. Rai 3 mandò in onda, in seconda serata, un ciclo di film di Eric Rohmer, grande cineasta francese.
A precedere le pellicole, veniva trasmessa una presentazione di Enrico Ghezzi. Quanto mai utile, perché il cinema di Rohmer a prima vista è un po' difficile da interpretare ma, quando lo si conosce "dall'interno", lo si apprezza enormemente.
Quel ciclo comprendeva i sei "Racconti morali", sei film nei quali il fil rouge era la morale (laicamente intesa non come bene contrapposto al male benzì come scelta contrapposta alla non scelta), e altre pellicole, fra cui "La femme de l'aviateur" ("La moglie dell'aviatore").
Di quel ciclo vidi tutti i film, tranne "Perceval le Gallois" (causa un week-end in campagna, dove Rai 3 non si prendeva).

Dei grandi registi francesi fino ad allora conoscevo abbastanza bene solo il cinema di Robert Bresson, visto sia alla tv che, una volta, al cinema (quell'autentico capolavoro che è "Il diavolo probabilmente ...").
Mentirei se dicessi che l'incontro con Rohmer fu un colpo di fulmine cinematografico: egli divenne il mio regista preferito solo col tempo, col progressivo accentuarsi in me di un interesse per i film che andasse ben al di là del semplice apprezzamento dello spettacolo offerto dalle pellicole.
Tuttavia, già nel 1985 il cinema rohmeriano mi piacque. Non solo. Fu grazie ad Eric Rohmer che iniziai a riflettere sul significato della morale, che fino ad allora mi era rimasto filosoficamente estraneo.
Poi, come si suol dire, l'uscita dei successivi film di Rohmer (soprattutto degli altri due cicli, "Commedie e proverbi" e i "Racconti delle quattro stagioni") rappresentò per me un pacato crescendo rossiniano nella conoscenza di questo grande autore cinematografico.
Ma di ritornare a trattare dei suoi film ci sarà occasione in qualche altro post di questo blog.

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