Fiori che sbocciano in primavera, stagione della speranza non ancora bruciata dal sole torrido dell'estate, della disillusione.
Fiori
che sbocciano al mattino, dopo che la notte col suo sonno ha nutrito le piante
della rugiada, dell'illusione.
Fiori
che, appena spuntati alla luce del mondo, portano addosso i vivaci colori della
vita, le arzille policromie dei sogni, dei progetti, delle ambizioni di ognuno
di noi.
Fiori
che a volte vengono recisi dalla lama di una falce, come quegli amori che
vengono tranciati da un netto rifiuto o da un eloquente silenzio.
Fiori
che lentamente appassiscono, divorati dalla sete, che a poco a poco fa svanire
nel nulla la presunzione di mille promesse protese a millantare l'eternità di
un amore che prima o poi si esaurirà, nel breve o lungo cammino di una vita a
due, perché non si è voluto accettare che ogni esperienza non può rimanere
immutata nel tempo, o nella frustrante solitudine della stupida testardaggine
di chi non si vuole rassegnare alla certezza che la persona amata mai sarà sua,
di chi si ostina a non voltare pagina.
Fiori che vedi bellissimi senza accorgerti delle spine acuminate che ti lacerano la pelle delle dita e l'impalpabile anima quando cerchi vanamente di raccoglierli.
Fiori che diventano, nella mente di chi sa fermarsi a vedere intorno a sé, una limpida allegoria della vita.
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