Una buona prefazione, soprattutto se chi
la scrive è famoso, è sempre uno strumento efficace per attirare l’attenzione
dei media e del pubblico, e quindi per vendere più copie del libro che si vuole
pubblicare. Quasi tutti gli autori, specie se esordienti, ne hanno bisogno per
sfondare. Non è un caso che nelle inserzioni pubblicitarie del libro di un
autore poco conosciuto viene di solito citato il “prefattore” famoso.
Chi lo sa? Se Francesco Guccini in Via Paolo Fabbri 43 cantava: “Ma pensa
se le canzonette me le recensisse Roland Barthes!”, dopo qualche anno, al suo
esordio come narratore, può anche essersi detto: “Ma pensa se le Cròniche epafàniche me le recensisse
Umberto Eco!”. Probabilmente no, perché il Maestrone aveva già grande notorietà
di suo e non aveva bisogno di una prefazione illustre che desse una spinta al
suo esordio come romanziere.
Il precisino di turno potrà a questo
punto obiettare che sono passato dalla prefazione alla recensione, confondendo
i due termini. Al riguardo, replico affermando, anzi, asserendo (il verbo
sembra più elegante) che la prefazione altro non è se non una recensione
interna al libro. E poi, suvvia, un po’ di rispetto per la metrica! Avrebbe
suonato davvero male se Guccini avesse cantato: “Ma pensa se delle mie
canzonette avesse scritto la prefazione Roland Barthes!”.
Come? Delle canzoni non si scrive mai la
prefazione? E’ vero, non ci avevo pensato. Mettiamola allora così, sempre
parafrasando il Maestrone: “Ma pensa se delle Cròniche epafàniche avesse scritto la prefazione Umberto Eco!”.
A chi si rivolge un editore serio per la
prefazione a un libro che vuole pubblicare? A un critico affermato, col quale
ha instaurato rapporti di collaborazione. A un docente universitario esperto
della materia di cui si occupa il saggio di imminente pubblicazione. A un
romanziere o a un poeta famoso, se l’autore da lanciare ha scritto un romanzo o
una raccolta di versi. Se decide di fare a meno della firma illustre, l’editore
si farà cura di affidare comunque la stesura della prefazione a una persona
competente, che elenchi i pregi dell’opera ma con quella sobrietà che si addice
a un’impresa editoriale seria e priva di fanfaronaggine.
Cosa fa invece l’editore negligente o
l’editore a pagamento? Ha tre opzioni: a) non si procura alcuna prefazione; b)
la fa scrivere a un dilettante qualsiasi; c) la scrive lui stesso, naturalmente
dietro compenso.
La prima scelta di solito appartiene
all’editore free, piccolo e privo di qualsiasi cultura di marketing. Non a
caso, non si affaticherà nemmeno un po’ per cercare di far pubblicare
recensioni al libro.
La seconda opzione sarà quella dell’editore
a pagamento, il quale non vuole sobbarcarsi eccessivi costi di pubblicazione
(peraltro pagati dall’autore di tasca sua) ma ha bisogno di una prefazione per
far colpo sull’autore. E nel commissionarla lo prenderà ulteriormente per i
fondelli.
Infatti, non conoscendo nessuno negli
“ambienti che contano” (e che mantengono le distanze da certa editoria), il
furbastro ricorrerà a tutta la sua creatività per far scrivere la prefazione a
un professore squattrinato e frustrato delle Scuole Secondarie facendolo
passare per docente universitario della Ecole des Hautes Etudes di Parigi, a un
bidello della locale Facoltà di Lettere e Filosofia spacciandolo per un
visiting professor di Letteratura Italiana Contemporanea o ricorrendo, sempre
per la prefazione, all’usciere di uno stabile dove è ubicata la sede legale di
una rivista di giardinaggio dicendo all’autore che il “prefattore” fa parte del
comitato di redazione di una prestigiosa rivista di critica letteraria.
Trucco che riesce quasi sempre, nel
senso che nei colloqui che ha avuto con l’autore l’editore a pagamento si è
premurato di verificare che il pollastro o qualche suo parente o amico non
conoscano persone che fanno parte del mondo accademico o letterario.
Se la caverà con poca spesa, l’editore:
al professore squattrinato mollerà una banconota da 50 euro e tanto gli basti,
mentre il bidello (o l’usciere), pur di veder comparire il suo nome in un
libro, non chiederà un solo euro di compenso, avendo in cambio una ventina di
copie in omaggio del libro da distribuire a parenti, amici e colleghi
(soprattutto a quelli che vuole fare schiattare d’invidia) per far vedere loro
che finalmente qualcuno si è accorto di quanto sia bravo.
La stessa vanità coglierà l’autore del
libro, che gongolerà per aver avuto una prefazione scritta da un (sedicente)
esperto.
E non si accorgerà nemmeno della comicità
involontaria di cui a volte le prefazioni sono portatrici.
Nel senso che, vuoi perché preso da foga
intellettuale che lo porta ad esagerare nelle iperboli, vuoi perché ha mangiato
la foglia sul tipo che ha scritto il libro e si vuole sadicamente divertire
alle sue spalle, può capitare che il “prefattore” scriva pagine che, ben lungi
dall’omaggiare l’autore del giusto e meritato riconoscimento letterario, in
realtà lo mettono alla berlina.
Prendiamo ad esempio il passo di una
prefazione di questo tipo:
"In questo libro
autobiografico, caratterizzato da un crudo realismo, l’Autore narra episodi
della sua vita con una sincerità che sfocia spesso nell’ingenuità e con cui fa
mostra di essere una persona estranea al tessuto sociale in cui ha per anni
vissuto e facilmente manipolabile da individui cinici ed astuti che
approfittano della sua disarmante buona fede".
Leggendo questa prefazione, quel
frolloccone dello scrittore non si renderà minimamente conto che il “prefatore”
gli ha dato dell’emarginato e del pollo ma farà leggere la prefazione ad amici
e conoscenti dicendo loro, tutto gongolante: “Avete visto? Parla di me! Parla
di me!”.
Va
be’ che una delle regole auree della pubblicità è che non importa che si parli
male di qualcuno purché se ne parli ma a tutto c’è un limite!
Infine, nei casi di evidente
sciacallaggio, l’editore a pagamento sceglierà la terza opzione ossia si offrirà
di scrivere lui la prefazione, naturalmente dietro un versamento “extra” di 100
euro da parte dell’autore.
Disamina accettabile, con valide motivazioni, anche se la mia opinione, ovviamente personale, rimane quella che un buon libro, non necessita di di una prefazione firmanta da un critico affermato. Affermato fin che si vuole, ma se lo scritto è, per intenderci una boiata, tale rimane. Impensabile che la sviolinata del "capoccione" la renda valida. Solo la stupidità e la mancanza di cultura del lettore può dare per valido uno scritto solo ed esclusivamente per "leccare" chi ne ha fatto la prefazione. Non serve assolutamente essere gentile e in perfetto accordo con le persone "famose". Bisogna avere il coraggio di dir loro tutto quello che vorrebbero non sentirsi dire! VittS
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