lunedì 6 febbraio 2017

Vergogna e arena

Laggiù, nella torrida arena,
c'è un fiero toro che sogna,
invano, ancora la cena:
prova d’umana vergogna.

Affluita è molta gente
a vedere la sua fine;
è spettacolo divertente
solo per persone meschine,

dall’animo bieco, crudele,
simile a quello del tristo
che secoli prima il fiele
diede da ber a Gesù Cristo.

Adesso il toro attacca,
lesto il torero lo para,
scostando mantello e giacca.
L’arena è una tonnara.

Di nuovo il toro assale,
però lo trafigge la lama
precisa del suo rivale:
la morte ingiusta lo chiama.

Gli giungon le festose urla
di chi, dal sangue ammaliato,
non capisce che crudel burla
sia per chi è condannato,



questa spietata esultanza
nel veder il sangue che scorre,
nel veder l’assurda mattanza
del toro che ancora corre,

con la vista già annebbiata,
mentre chi guarda nell’arena,
sempre più dal sangue bagnata,
in cuor suo non prova pena

per l’animale che fuggire
via da sé sente la vita,
mentre è l’umano gioire
come sale sulla ferita.

Certo la gente esultante
e priva di ogni decoro,
venuto l’ultimo istante,
non vede negli occhi del toro,

il quale sulla rossa sabbia
è accasciato e morente,
lo stupor unito a rabbia
di essere morto per niente.

5 febbraio 1982, rielaborata il 6 novembre 1999.


L’amore per gli animali, una delle costanti dei miei pensieri e del mio sentire, unito allo sdegno per la crudeltà e l’ingiustizia verso l’uccisione senza alcun motivo di tanti esseri viventi.

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