Laggiù,
nella torrida arena,
c'è
un fiero toro che sogna,
invano,
ancora la cena:
prova
d’umana vergogna.
Affluita
è molta gente
a
vedere la sua fine;
è
spettacolo divertente
solo
per persone meschine,
dall’animo
bieco, crudele,
simile
a quello del tristo
che
secoli prima il fiele
diede
da ber a Gesù Cristo.
Adesso
il toro attacca,
lesto
il torero lo para,
scostando
mantello e giacca.
L’arena
è una tonnara.
Di
nuovo il toro assale,
però
lo trafigge la lama
precisa
del suo rivale:
la
morte ingiusta lo chiama.
Gli
giungon le festose urla
di
chi, dal sangue ammaliato,
non
capisce che crudel burla
sia
per chi è condannato,
questa
spietata esultanza
nel
veder il sangue che scorre,
nel
veder l’assurda mattanza
del
toro che ancora corre,
con
la vista già annebbiata,
mentre
chi guarda nell’arena,
sempre
più dal sangue bagnata,
in
cuor suo non prova pena
per
l’animale che fuggire
via
da sé sente la vita,
mentre
è l’umano gioire
come
sale sulla ferita.
Certo
la gente esultante
e
priva di ogni decoro,
venuto
l’ultimo istante,
non
vede negli occhi del toro,
il
quale sulla rossa sabbia
è
accasciato e morente,
lo
stupor unito a rabbia
di
essere morto per niente.
5
febbraio 1982, rielaborata il 6 novembre 1999.
L’amore per gli animali, una delle
costanti dei miei pensieri e del mio sentire, unito allo sdegno per la crudeltà
e l’ingiustizia verso l’uccisione senza alcun motivo di tanti esseri viventi.
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