lunedì 8 febbraio 2016

Scazzottate sui banchi di scuola

A volte si confonde la violenza, premeditata, con le scazzottate che possono scappare da bambini e da ragazzi. La persona umana è fatta anche di istinti, spetta alle famiglie, tradizionali e non tradizionali, e alla scuola educare i giovani a non comportarsi in modo violento.
Le scazzottate sui banchi di scuola non vanno nemmeno confuse col bullismo: lo scambio di pugni avviene alla pari, uno contro uno, mentre il bullismo è praticato dal branco contro i più deboli.

Prima di essere inserito, a partire dalle Medie Inferiori, in una scuola pubblica, frequentai le Elementari in una scuola speciale per bambini disabili.
Sui disabili esistono due pregiudizi: uno in negativo, che li fa considerare esseri inferiori, da discriminare o, se va bene, da compatire; l'altro in positivo che, in virtù delle loro difficoltà, li fa vedere come esseri candidi, innocenti, buoni a prescindere.
In realtà, anche fra i disabili, e anche fin da bambini, esistono tutti i tipi di umanità: i buoni e i cattivi, gli ingenui e i furbi, i leali e gli stronzi, i calmi e gli irruenti, etc.
In quella scuola, come in qualsiasi altra scuola, le baruffe e gli scambi di colpi proibiti erano all'ordine del giorno. Ma erano scambi alla pari, perché tutti avevano difficoltà nei movimenti, chi più in una parte del corpo e chi in un'altra.
Anch'io presi la mia buona dose di pugni. Ma anch'io ne diedi.
La svolta avvenne quando una volta un bambino di un'altra classe mi picchiò. Andai da una assistente sociale a lamentarmi e la solerte impiegata scolastica mi disse, stizzita e arrogante: "Non so proprio cosa farci se sei stato così oco da farti picchiare". Alla faccia del mestiere che faceva, che avrebbe dovuto essere rivolto ad aiutare le persone in difficoltà.
Fu allora che compresi che dovevo farmi furbo, difendermi da solo, rendere pan per focaccia, occhio per occhio e dente per dente. In altre parole, capii che dovevo mettermi a menare anch'io. E, modestia a parte, imparai piuttosto bene.
Ricordo due episodi in particolare.
Un pomeriggio, uno scolaro di un'altra classe mi diede un pugno. Non gli avevo nemmeno mai parlato prima e quindi non potevo avergli fatto niente di male; semplicemente, lo incrociai nei corridoi della scuola e costui, senza dirmi una parola, mi diede un cazzotto e se ne andò. Era chiaramente fuori di testa.
Rimasi basito e non reagii, anche perché il pugno mi aveva fatto parecchio male. Ma decisi di vendicarmi. A freddo.
Il giorno dopo, sempre di pomeriggio (facevamo il tempo pieno e le ore pomeridiane erano dedicate allo svago e alla ricreazione), nel cortile della scuola dove stava per cominciare la partitella quotidiana vidi l'aggressore fra i calciatori della squadra avversaria della mia. Il calcio venne in me completamente sommerso dal desiderio di fargliela pagare.
Fatto sta che, appena la partita ebbe inizio, mentre tutti gli altri correvano dietro al pallone, io mi misi a rincorrere il mio aggressore del giorno prima.
La scena fu simile a quella che costò l'immediata espulsione di Tardelli durante un Milan-Juventus: fischio d'inizio e Tardelli che, disinteressandosi completamente del pallone, piomba su Rivera e lo stende, con inevitabile cartellino rosso.
Non impiegai i 15 secondi che sarebbero poi stati sufficienti a Tardelli per catapultarsi sull'Abatino di breriana memoria, anche perché fra gli alunni della scuola ero fra quelli che aveva più difficoltà a correre, ma alla fine raggiunsi il mio aggressore e gli diedi un formidabile pugno, che fra parentesi gli fece volare via l'apparecchio acustico che portava all'orecchio sinistro.
Quando tutti mi chiesero perché l'avevo fatto, spiegai che il tipo mi aveva picchiato il giorno prima e avevo voluto restituirgli il pugno e venni, come si suol dire, perdonato.
Il secondo episodio riguardò Franchino, che fu mio compagno di classe fino alla Terza, quando venne bocciato.
Nonostante la bocciatura, sia prima che dopo, aveva il fastidioso atteggiamento da primo della classe: ogni cosa che faceva lui era la migliore e gli altri erano delle merde da dileggiare. Ricordo che una volta si vantò di avere fatto il gol decisivo in una delle partitelle perché durante la gara si era messo a pregare: sarà forse stata la mia prima esibizione di laicità ma lo mandai a cagare.
Fatto sta che, fino alla Terza durante tutto l'orario scolastico e dopo solo nella ricreazione del pomeriggio, ogni volta che esagerava col suo salire sul piedistallo per dire quanto lui era superiore agli altri, io lo menavo. Ora, sui social network, uso il sarcasmo più pungente di cui sia capace (e chi mi conosce sa quanto io sia caustico all'occorrenza) contro simili individui, allora passavo alle vie di fatto.
Or bene, anzi, per lui or male, un pomeriggio, non ricordo più a proposito di quale sua insolenza, persi le staffe e gli rifilai nello stomaco un pugno talmente forte che gli uscì tutta l'aria dai polmoni e per qualche secondo non riuscì a respirare, riprendendosi poi a poco a poco.
In un'altra circostanza, invece, mi fece uscire dai gangheri in classe e gli diedi una spinta talmente potente che andò a sbattere contro un banco, cadendo a terra lui e rovesciando il banco.
Sono fatto così: certe persone proprio non riesco a sopportarle. Anche se, naturalmente, da decenni ho bandito pugni e spinte, e mi limito a rivolgere inviti taglienti in stile Jacopo Belbo ossia "ma gavte la nata!", leggasi: suggerire con ironica autorità al pallone gonfiato di levarsi il tappo che ha infisso nello sfintere e che impedisce all'aria di cui è pieno di fuoruscire. Il pendolo di Foucault docet.

Alle Medie, sia Inferiori che Superiori, non ricorsi mai alle botte. E nemmeno i miei compagni di classe. La violenza non ci ebbe mai come protagonisti e di scazzottate (di quelle "fisiologiche", che non recano danni e non lasciano strascichi) ne vidi solo due.

Alle Medie Inferiori, un giorno Giampiero e Gian Luca escogitarono uno scherzo ai danni di Mario.
Mentre costui era seduto, uno dei due gli fece solletico lungo i fianchi e, nell'attimo in cui Mario sobbalzava sulla sedia, l'altro gliela tirò via da dietro, mandandolo a sbattere il fondoschiena sul pavimento.
Mario si rialzò come una molla e si avventò contro Gian Luca. Ne nacque un breve quanto intenso scambio di montanti e di ganci. Tutto finito in pochi secondi, con la sola conseguenza che gli occhiali di Gian Luca erano volati via in seguito ad un pugno, senza peraltro rompersi.

La scazzottata cui assistetti alle Medie Superiori avvenne tra Antonio e Walter.
C'era un'ora buca, cioè senza docente, e a un certo punto i due ragassuoli, che erano e sarebbero stati sempre grandissimi amici, si misero per scherzo a scambiarsi lazzi.
A dimostrazione che le parole sono pericolosissime, perché sai da dove inizi ma non sai dove ti porteranno, dai lazzi ironici Antonio e Walter passarono alle frasi pepate e dalle frasi pepate alle offese pesanti. Un po' come il gioco romano delle rime, che veniva praticato nelle osterie e che spesso finiva con una o più coltellate.
Alla fine, inseguito a non so più quale rilancio "lazzico" di Antonio, Walter si scaraventò su di lui, tempestandolo di pugni.
E la cosa mi sorprese non poco, sia perché Walter non era solito perdere le staffe, sia perché, pur non arrivando mai alle vie di fatto, era Antonio quello fra di noi che tollerava peggio le battute salaci.
Fatto sta che si scatenò una vera e propria rissa da saloon, con un sacco di banchi e sedie rovesciate o comunque spostate rispetto alla loro ordinata ubicazione.
Tutto finito dopo pochi minuti, senza che nessuno dei due si facesse male e senza che la cosa incrinasse i loro rapporti personali. Il giorno dopo Antonio e Walter erano tornati amici come prima.
La cosa surreale e un tantino da stronzoni fu che, quando si scatenò la zuffa tra Antonio e Walter, in classe eravamo presenti solo in due (l'ora era buca), io e Giorgio. Ebbene, invece di cercare di farli smettere (cosa del resto decisamente pericolosa, vista la furia che si era impadronita dei nostri due compagni di classe), io e Giorgio assistemmo al match tutti goduti, ridendo come due scemi.

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