sabato 13 febbraio 2016

Festa di Carnevale del 1979

Se si eccettua le piccole ed effimere festicciole in casa o alle Elementari, l'unica festa di Carnevale cui partecipai, con tanto di travestimento, fu quella del 1979, in Quinta Superiore.
Già allora rivelavo, senza che ancora me ne rendessi conto, il mio atteggiamento bifronte davanti alla religione: credente e anelante all'Assoluto, sì, ma anche rigorosamente laico, nonostante nel corso della mia vita ebbi qualche sbandata in entrambe le direzioni sbagliate seppur di segno opposto, quella di un'eccessiva partecipazione alla fede e quella dello sconfinamento nel laicismo.
Or dunque, nonostante già allora mi professassi laico, per quella festa decisi di travestirmi da frate. Non certo per sbeffeggiare i frati, sia ben chiaro. Forse, inconsciamente, giocò un ruolo decisivo il fatto che un giorno, nel divertirsi ad abbinare ad ognuno di noi un personaggio de I promessi sposi, alcune mie compagne di classe mi paragonarono a fra' Cristoforo e la cosa mi piacque perché mi piaceva (e mi piace ancora oggi) quel personaggio. Forse, ben più consapevolmente, mi ispirai alle scene dello sceneggiato televisivo La freccia nera in cui Senzalegge (Gianni Musy) e Dick Shelton (Aldo Reggiani) si travestono da frati, scene da me preferite in quanto, manco a dirlo, la profondità delle esperienze di vita si alterna all'ironia.
Probabilmente giocò anche in quella mia scelta il fatto che un saio da frate era relativamente facile farselo confezionare in casa. E in effetti, dopo che mio padre andò a comprare non so dove una pezza di stoffa marrone e una spessa corda da adibire a canapo, mia madre con l'ausilio delle signore Mignacco, madre e figlia, che abitavano al piano di sotto rispetto al nostro alloggio, mi tagliò e cucì il saio, con tanto di cappuccio.

E festa fu. Il Martedì Grasso del 1979 i festeggiamenti si svolsero in due fasi.
La prima si svolse all'I.T.C. "Elio Vittorini" di Grugliasco: per quell'occasione la Presidenza ci aveva dato campo libero, con annullamento delle lezioni di quel giorno.
Io col mio saio e gli altri coi loro travestimenti. Me ne ricordo solo due: Alice vestita da clown e Nicola vestito da antico Romano.
Piccolo dubbio esistenziale, su cui ancora oggi qualche volta arrovello goliardicamente le mie riflessioni metafisiche: essendo l'anno prima stato girato il film Animal House e ed essendo verosimilmente quel film arrivato nelle sale italiane nella stagione 1978-79, fu mica il John Belushi del toga party a suggerire a Nick quella tenuta?
Di certo, arrivare a scoprire questa piccola verità non migliorerà il mondo ma altrettanto sicuramente non farà danni, come invece hanno fatto e, temo, continueranno a fare, quei filosofi e quei teologi che, presupponendo di essere arrivati a un'idea assoluta, forniscono agli uomini il pretesto per scannarsi a vicenda in nome di quell'idea assoluta, sia essa religiosa o politica. Ma torniamo alla nostra festa di Carnevale del 1979.
Volendomi dare un tono, per tutta la mattina ogni volta che nei corridoi incontravo qualcuno lo benedivo facendo il segno della Croce e dicendogli, come Senzalegge: "Pax vobiscum".
Mangiate, bevute, canzoni sentite e cantate, caroselli a piedi nei corridoi della scuola. Né più né meno che in tutte le feste scolastiche che si comanda. Con l'aggiunta, per essere attinenti al Carnevale, di lanci di coriandoli e di stelle filanti.

La seconda parte della festa, dopo pranzo (ma pranzo non ci fu, perché si era mangiato e bevuto tutta la mattina), si svolse a casa di Franca o, per meglio dire, della famiglia di Franca, la cui abitazione aveva nel seminterrato un'ampia tavernetta, che divenne teatro delle nostre prodezze pomeridiane.
Da notare che nell'uscire dall'I,T.C. non ci togliemmo i nostri travestimenti, per cui sia sugli autobus che a piedi (per arrivare a casa di Franca c'era un discreto tratto di strada da fare alla maniera podistica) demmo l'impressione di un'allegra e goliardica brigata. Non solo nei nostri inconsueti abiti ma anche perché non lesinammo canti e risate.
La più allegra di tutti era Alice: salutava in modo oltremodo euforico tutti i passanti che incontravamo, suonando spesso al loro indirizzo non ricordo bene se una trombetta o una lingua di Menelicche.
Durante quella nostra mosaica traversata a piedi di Grugliasco, ad Alice venne imposto di non fare casino solo in un punto, quando cioè passammo davanti ad una fabbrica occupata da operai che rischiavano il posto di lavoro: un saluto più allegro del dovuto o una strombettata con tanto di lingua di Menelicche distesa, quantunque rivolte senza alcuna malizia e solo per giovanile spensieratezza, avrebbe potuto essere interpretata come una provocazione, con tutte le possibili conseguenze del caso.
Alla fine si giunse alla tavernetta di Franca.
L'unico a trovarsi un po' in difficoltà fu Nick: la tavernetta non aveva riscaldamento, in febbraio faceva freddino anche là dentro e lui, travestito da antico Romano, era di fatto seminudo.
Il second round della festa si svolse secondo copione: balli da discoteca, con tanto di luci psichedeliche in funzione e con Nick che si esibiva nelle mosse del John Travolta de La febbre del sabato sera, mangiate e bevute. E anche gli immancabili giochi di società.
Fra cui quello che prevede di far mimare a qualcuno il titolo di un film, mentre gli altri devono indovinarlo.
Quella volta il gioco ebbe due momenti topici.
Il primo fu quando qualcuno, credo fosse Nick, per dare un po' di pepe alla cosa, suggerì ai mimi di turno (avevamo deciso di giocare a coppie) il titolo di un film che non era mai stato girato, e pure decisamente lungo: L'arte ideale di un umanoide. Ovviamente, nessuno indovinò.
Il secondo e, modestia a parte, più divertente momento clou fu quando a fare il mimo venni chiamato io, che comunque in precedenza avevo indovinato il titolo del film Un taxi color malva.
Mia partner di mimica era Luciana, la nostra compagna di classe più timida e pudica (nel senso buono e rispettoso del termine, s'intende).
Ne sono ultrasicuro: non fu per mettere in crisi me (del resto, sapevano benissimo che tipaccio disinibito e sfrontato ero già allora) ma Luciana che ci suggerirono di mimare il titolo di Spermula.
Dicono che il tempo di reazione dei centometristi al colpo di pistola dello starter sia di 23 centesimi di secondo. Quello di reazione di Luciana all'erotico titolo fu molto più veloce, forse andava misurato in nanosecondi. Fatto sta che passò un'infinitesimale frazione di tempo dal momento in cui ci venne etto sottovoce il titolo del film a quello in cui il colorito del suo volto passò dal bianco latte al rosso porpora cardinalizio.
Non solo ma, subito dopo, si coprì il viso con le mani, indietreggiò di due passi e si rifiutò di accennare il benché minimo cenno di mimica.
E così rimasi solo sulla scena, mentre i suggeritori erano già piegati in due dal ridere e gli altri si stavano chiedendo sbigottiti quale titolo potesse mai scatenare una simile "ritrosica" reazione da parte di Luciana.
Per la verità, io non provai alcun imbarazzo, sia perché stavo ridendo pure io per la subitanea vampata di rossore di Luciana, sia perché a me il titolo di quel film non scandalizzava per niente.
Come mi era già accaduto e per fortuna mi sarebbe accaduto parecchie altre volta anche in seguito, un mio lato caratteriale (o un qualche cromosoma del mio DNA, se vogliamo usare un linguaggio scientifico) si manifestò in fretta: la mia capacità di intuizione, che mi consente di trovare soluzioni, appigli, vie d'uscita anche quando, volgarmente discorrendo, sono nella cacca fino al collo. Per meglio dire, la mia è capacità di intuizione e improvvisazione: il cocktail della creatività.
L'intuizione quella volta mi venne quando, gettando lo sguardo intorno, vidi un oggetto che la fece scattare: una delle tante bottiglie di spumante già scolate del tutto.
Agii all'istante. Presi la bottiglia a me la misi nella zona inguinale, a mo' di prolungamento del mio pisello o di metafora del mio pisello in assetto da combattimento (esagerato!). Boato di risate della compagnia.
Poi, con la mano libera, indicai la bottiglia e feci segno di no, per dire che non aveva nulla a che fare col titolo del film.
Infine, sempre con la mano libera, mimai lo scorrere dello spumante dalla bottiglia e feci cenno di sì.
Al che una nostra compagna di classe, associando lo scorrere del liquido alla, ehm, posizione fallica della bottiglia, disse: "Spermula".
Mike Bongiorno avrebbe detto: "Risposta esatta!".
Probabilmente, in caso di errore, avrebbe invece detto: "Ahi! Ahi! Ahi! Lei mi va a cadere proprio sull'uccello!".
Intuizione e improvvisazioni vincenti, dunque. Certo però che, se invece che fra amici e fra quattro mura amiche, mi fossi esibito (è proprio il caso di usare questo verbo) in pubblico, mi sarei beccato una denuncia per atti osceni e oltraggio al comune senso del pudore.

A festa terminata, uscimmo in strada e ci dividemmo in gruppi, a seconda delle zone dove abitavamo, per prendere i vari mezzi pubblici che ci avrebbero riportato alle rispettive case.
Dopo un po' di camminata, io e alcune mie compagne di classe ci stavamo avvicinando alla fermata del nostro autobus quando lo vedemmo giungere in lontananza.
Accelerammo il passo ma, accorgendosi che stavo rimanendo indietro, Alice mi prese per mano e mi trascinò in una corsa che nemmeno Mennea. Attraversammo volando un semaforo, che in quel momento per nostra fortuna era verde, a raggiungemmo la fermata appena in tempo per prendere l'autobus, che nel frattempo si era arrestato e stava per ripartire. Salito a bordo, potei rifiatare.
Ancora oggi mi domando come feci a non cadere durante quella folle corsa, io che sono solito ruzzolare per molto meno.

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