martedì 2 maggio 2017

La correzione delle bozze

      C’è una fase che prova se l’editore è in gamba o se invece è un incompetente, indipendentemente dal fatto che sia free o a pagamento: la fase dell’editing ossia la preparazione del testo prima di consegnarlo al tipografo.
      Un editore serio e preparato non gestisce la fase dell’editing limitandola alla correzione degli inevitabili refusi (l’editore a pagamento magari non guarda nemmeno quelli e manda in stampa il manoscritto esattamente come l’ha ricevuto dall’autore).
      Un editore competente trova i difetti (che sono presenti in qualunque opera) e suggerisce le migliorie all’autore: nessuna opera è perfetta, nemmeno quelle degli scrittori più affermati, i quali, in quanto grandi, sono umili e, mettendo da parte la presunzione, accettano i consigli dei loro editor (senza la “e” finale) e discutono con loro le modifiche da apportare ai loro testi.
      A volte il libro viene rivoltato come un calzino e va in stampa completamente riscritto rispetto al manoscritto originale. Posso citare come esempio Il castello di Samuele in Ritorno a Peyton Place.
      L’editore incapace invece non ci pensa nemmeno a suggerire modifiche e migliorie. E si limita alla sola correzione delle bozze. Con esiti sconcertanti.

      Già, perché anche nella correzione dei refusi si riscontra spesso una grande incompetenza da parte degli editori, degli editor e dei correttori di bozze. Ricorriamo al solito scambio di e-mail.
      Quando l’autore ha già il contratto di pubblicazione in tasca e sa che il suo manoscritto è al vaglio del correttore di bozze, riceve un’e-mail dall’editore che lo gela.

Ho dovuto sospendere la pubblicazione del Tuo libro, perché il correttore di bozze ha già rilevato dieci refusi nelle prime tre pagine e ha deciso di non andare avanti bloccandomi la pubblicazione.

      Ora, che qualche refuso possa scappare anche alla più scrupolosa verifica dell’autore, può essere. Ma in questo caso lo scrittore ha rivisto il suo testo, con calma, per ben tre volte ed è strasicuro che è impossibile che vi abbia lasciato dieci refusi solo nelle prime tre pagine.

      Prima di replicare all’editore, va a dare un’occhiata alle prime tre pagine del suo libro e dei dieci errori cui fa cenno l’e-mail non ne trova nemmeno uno!
      Poi gli viene in mente un aspetto importante.
      E cioè che i word processor sottolineano in rosso quelli che interpretano come refusi ma che in realtà possono semplicemente essere termini stranieri o parole italiane non ancora incluse nel vocabolario a cui il software fa riferimento, indipendentemente dal fatto che l’autore abbia coniato qualche neologismo o citato qualche remota località di provincia non ancora inclusa nel vocabolario medesimo; accade dunque che il correttore di bozze superficiale o fannullone si limiti a segnalare i refusi, veri o presunti, già evidenziati dal word processor e magari non faccia attenzione a tutti quegli strafalcioni (come, ad esempio, i tempi dei verbi sbagliati) che non vengono sottolineati in rosso. Il risultato è un grosso pateracchio, con errori anche gravi sfuggiti ai correttori di bozze e arrabbiature degli autori, che si vedono addebitati errori che in realtà sono neologismi o parole straniere.
       Se ad esempio il personaggio di un romanzo è rozzo e ignorante, è logico che l’autore lo faccia parlare in modo sgrammaticato, con conseguente sfilza di parole sottolineate in rosso dal word processor. Analogamente, se un racconto si svolge in un Paese straniero, è logico che venga ambientato in località dai nomi non compresi nel vocabolario del word processor.
      Se l’editore e i suoi collaboratori sono seri e professionali, fanno tutti i controlli del caso e comprendono sia gli errori che le raffinatezze stilistiche; in caso contrario, lasciano passare strafalcioni madornali o segnalano sbagli inesistenti.
      Gettando un’altra occhiata al video del suo pc, l'autore si accorge che il word processor sottolinea in rosso i cognomi stranieri (se ad esempio il suo libro è un romanzo storico ambientato nella Francia del XVI secolo, di cognomi stranieri ne ha a iosa) e la ripetizione di una stessa parola  (cosicché, ad esempio, l’espressione “piano piano”, grammaticalmente corretta, ha il secondo “piano” sottolineato in rosso come errore dal word processor).
      E allora gli viene un dubbio ammantato di solida certezza: sarà mica che quel cazzone di correttore di bozze non abbia affatto rivisto il testo ma si sia limitato a contare le parole sottolineate in rosso e, una volta raggiunto il numero 10, abbia comunicato all’editore che il manoscritto conteneva un numero talmente elevato di errori nelle prime pagine che non valeva la pena proseguire nella correzione?
      Sì,  dev’essere proprio andata così.
      Fra parentesi, il correttore di bozze, non leggendo i manoscritti ma limitandosi a contare le parole sottolineate in rosso dal word processor, è inevitabilmente soggetto a non rilevare refusi, anche imbarazzanti, che il word processor non può segnalare perché la parola in sé non è errata. Se ad esempio, indipendentemente dalla validità o meno della teoria freudiana del lapsus (secondo la quale il lapsus non è mai casuale ma sempre rivelatore di pensieri che consciamente non si vogliono esternare),  all’autore capita di scrivere “si gettò nell’impresa con molta figa” anziché “si gettò nell’impresa con molta foga”, il word processor non sottolinea in rosso la parola “figa” e al correttore di bozze che non legge il testo sfugge questo micidiale refuso. Altro esempio di svista sfuggita al correttore di bozze cazzone: lo scrittore voleva scrivere “fece il test di gravidanza e scoprì con gioia di aspettare un figlio” ma invece gli è scappato “fece il test di gravidanza e scoprì di aspettare un foglio”; il word processor, com’è logico, non sottolinea in rosso “foglio” ma, se non si legge con attenzione il testo, non ci si accorge del refuso.
      E perché mai l’editore, invece di verificare di persona la fondatezza dell’affermazione cassatoria del correttore di  bozze, ha creduto a quest’ultimo sulla parola?

      Lo scrittore clicca allora sull’icona della sua posta elettronica e manda un’e-mail all’editore del seguente tenore:

Ho ricontrollato il testo ma nelle prime tre pagine non vi ho trovato nessun refuso.
Sei sicuro che il correttore di bozze ha fatto il suo lavoro e non si sia invece limitato a contare le parole segnalate in rosso dal word processor?
Guarda che i word processor segnalano come refusi nomi stranieri e parti di espressioni che invece sono corrette.

      E-mail dell’editore:

Mi sembra di poter escludere una simile leggerezza: il mio correttore di bozze è una persona seria e preparata.

      E-mail dell’autore:

Ma tu hai controllato?

      E-mail dell’editore:

No.

      Ovvio, un editore stordito non controlla mai l'operato dei suoi collaboratori.

      E-mail dell’autore, che si aspettava almeno un “ora controllerò”:

Allora è meglio che controlli.
Ripeto: ho ricontrollato il testo; sono sicuro che non ci sono refusi.

      E-mail dell’editore, dopo 23 giorni (evidentemente è il minimo di tempo necessario per verificare a video il contenuto di tre pagine di testo):

Avevi ragione, sai. Non si tratta di refusi.

      Alla faccia di quella persona “seria e preparata” che sarebbe il correttore di bozze!
      Per quieto vivere, l’autore rinuncia a proporre all’editore di licenziare il correttore di bozze, il quale o è un cazzone che non sa fare il suo lavoro  oppure è un ladro che ruba soldi all’editore facendosi pagare una revisione dei testi che in realtà è solo una conta delle parole sottolineate in rosso dal word processor. E si offre (l’autore, non il ladro) di correggere lui le bozze. E pure gratuitamente.

      Proposta subito accettata dall’editore. Chissà come mai?

1 commento:

  1. "molto apprezzato" ... che farà il "correttore di bozze" con il mio lapidario commento ?

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