Nel cuore della notte il risveglio
improvviso: con tatto Karim mi disse se potevo venire un attimo a vedere.
Mi bastò un’occhiata per capire: nel
cuore della notte il tuo cuore più non batteva.
La testa leggermente reclinata a destra
reclinata; gli occhi chiusi, ormai destinati al Riposo; il viso privo delle
sofferenze trascinate a lungo; il torace fermo, ormai alieno al respiro; braccia
e mani distese lungo i fianchi distese, finalmente distese, non più tese nella
spasmodica resistenza al dolore.
La tua ultima immagine prima della fatale
constatazione, la tua prima immagine dopo il distacco definitivo, l’immagine
che porterò con me per ogni mio restante giorno terreno.
Dopo,
un mesto susseguirsi di tristi atti.
L’accarezzarti il volto, sentendo dalla
tua pelle la freddezza della morte.
Lo stetoscopio posato sul tuo torace e
l’assenza di battiti: ulteriore conferma.
Il prendere la cornetta, svegliando la
signora Rita, che non si fece mai negare
ogni volta che avesti bisogno di lei avesti bisogno; il suo accorrere per
constatare ciò che già sapevo.
Lo svegliare papà per comunicargli
impacciato la fine dei tuoi giorni con noi.
L’inizio dei due giorni dell’ultimo
commiato, con noi che lentamente iniziammo ad essere sommersi dalla tua
assenza.
Il vederti nel ligneo sarcofago deposta, il
porgerti sussurri di carezze alle tue orecchie ormai mute, il ringraziarti e il
chiederti perdono per i sacrifici che facesti per me.
Il vederti con le cose destinate a farti
compagnia nel tuo ultimo viaggio: attorno al tuo collo il foulard che ti
regalai, perché io volli che nel sepolcro portasti con te un pegno del mio amore
filiale; un mazzetto dei fiori recisi dalla pianta che George ti portò, perché
io volli che nel sepolcro portasti con te anche qualcosa dell’altro bambino che
con amore allevasti; fra le tue dita la statuina della Signora di Lourdes, la
cui fosforescenza sperai potesse per un po’ il tuo riposo illuminare di una
dolce luce, pallido riflesso della tua immensa bontà, della Sua immensa bontà; una
rosa, che la signora Rita depose accanto a te.
L’ultimo mio saluto: due volte la parola
“Grazie”, in un breve intervallo di lacrime, e un bacio sulla tua amatissima
fronte.
Spalle generose, soprattutto quelle del
cugino Fernando, su cui piangere prima e dopo la chiusura del feretro, prima e
dopo il mio ultimo sguardo su di te, ormai dormiente del sonno dei Giusti.
Esequie,
a cui assistetti fra scrosci di pianto.
Il mesto percorso verso i giardini di
pietra, l’ultima benedizione dal diacono impartita, l’ultimo bacio e l’ultima
carezza al tuo feretro.
Il chiamare Sara accanto a me, per averla
vicina nel vederti scivolare nella tua ultima dimora terrena.
Riposa in pace, mamma.
23 maggio 2017.
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