Che fine facesti, o ninfa, colpevole solo d'esserti abbandonata al più
puro dei sentimenti, nel qual spirito e corpo si fondono in armonia perfetta?
Sette anni d'amore, spartito col naufrago Odisseo, furon per te futura fonte
di gioia sorgente dai ricordi o di perenne strazio, ben più artigliante d'una
storia durata pochi giorni o mesi?
Piangesti in eterno il mortale da te amato, tendendo l'orecchio
all'ingresso dell'Averno per percepirne la cavernosa voce?
Chiedesti a Zeus il privilegio di diventar mortale per buttarti da una
rupe nel mare di Ogigia?
Incontrasti nuovi amori, che consegnarono quello con Odisseo all'indice
dei capitoli chiusi della vita, da rivedere con la lettura ma da non aggiornare
con nuove glosse?
Questo, Calipso, il cieco cantor non ci disse: a noi, mortali di
millenni dopo, la libertà di assegnarti il destino da noi preferito, forse
anche desiderato.
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