sabato 5 dicembre 2015

Medical dramas

Da bambino ho avuto vari problemi di salute; in particolare, ero endemicamente colpito da tonsilliti, che mi hanno perseguitato durante gli anni delle Elementari (e anche prima).
Di fatto, dunque, sono cresciuto con l'imprinting della figura del medico, in quanto, fra le visite a casa del medico della mutua e le visite specialistiche presso ospedali ed ambulatori, il camice bianco è entrato quasi subito nella mia vita, tanto da diventarmi del tutto familiare e, quel che è positivo, amico. Ancora oggi, nutro verso i professionisti della medicina amicizia, gratitudine e, quel che conta, fiducia, in contrapposizione ai tanti pataccari sparatori di bufale che con le loro cretinate mettono a repentaglio la salute e la vita di tanti boccaloni.
In questo humus "clinico" non potevo non appassionarmi ai telefilm ambientati negli ospedali, che negli U.S.A. vengono chiamati medical dramas. Ed anche ai film e ai libri che trattano lo stesso argomento.

Da bambino giunsi a "sfiorare" il dottor Kildaire, il giovane medico protagonista dell'omonima serie televisiva interpretato da Richard Chamberlain. Vidi cioè le ultime puntate. Anni dopo, però, ne vidi molte in replica su una tv locale.
Poi ci fu la volta de I giovani medici, andati in onda sulla Rai.
La serie che mi fece letteralmente innamorare dei medical dramas fu Marcus Welby M.D., che vidi nella prima metà degli anni '70 del XX secolo sulla televisione della Svizzera Italiana. Grandi interpreti Robert Young e James Brolin.
Poi fu la volta, se ricordo bene su TeleMonteCarlo, di Medical Center, incentrato sulla figura del dottor Joe Gannon, interpretato da Chat Everett.
Negli anni '80 vidi poi Trauma Center e A cuore aperto, fra i cui attori vi era l'emergente Denzel Washington.
Fin qui, tutte produzioni statunitensi.

In Italia, fino agli anni '90, mi ricordo solo della serie Diagnosi, con Philippe Leroy e Vittorio Mezzogiorno, andata in onda nella stagione 1974-75.

Poi venne La dottoressa Giò, appunto negli anni '90, con Barbara D'Urso e Fabio Testi.
Seguita a qualche anno di distanza, da Medicina generale, Terapia d'urgenza e La scelta di Laura.

Gli anni '90 hanno visto, negli U.S.A. e poi in tutto il mondo, la messa in onda di quello che è già un cult, E.R. Medici in prima linea, sul cui set si sono via via avvicendati vari personaggi e, di conseguenza, vari attori.

Se, qualcuno più, qualcuno meno, tutte queste serie televisive hanno rispettato i criteri della scientificità e della razionalità, le due serie che recentemente hanno riscosso grande successo, Grey's Anatomy e Il dottor House, costituiscono un netto arretramento al riguardo: troppe situazioni decisamente insolite, "spettacolari", poco credibili dal punto di vista scientifico (si pensi, ad esempio, a pazienti operati che dopo due-tre giorni sono già belli pimpanti: dopo un intervento chirurgico di una certa importanza, una persona impiega parecchi giorni, se non settimane, a tornare alla forma di prima) e, soprattutto, troppi casi rari concentrati in così poco tempo e in un solo ospedale, come se un medico o un'équipe di medici si trovasse quasi ogni giorno a dover affrontare casi difficilissimi da risolvere. La realtà, per fortuna è molto meno drammatica.
Le prime serie di medical dramas cercavano di catturare l'emotività dei telespettatori puntando sul lato umano degli episodi; le ultime sembrano mirare alla spettacolarità, a scapito del realismo.

Un'ultima considerazione la merita il "motto" del dottor House: "Lei preferisce un medico che le tiene la mano mentre muore oppure un medico che la tratta male ma Le salva la vita?".
E' una domanda che non ha senso: il bravo medico deve saper fare entrambe le cose, essere gentile e premuroso e, se possibile, guarire i suoi pazienti.
Oltretutto, è provato che, se un medico riesce a instaurare un buon rapporto psicologico coi pazienti, ciò aumenta l'efficacia delle cure, è in sostanza anche un supporto terapeutico.

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