martedì 22 dicembre 2015

Armi improprie

      Alle Medie Inferiori, fra i nostri passatempi preferiti, sia negli intervalli che durante la ricreazione ma a volte, ehm, anche durante le lezioni ..., vi era quello di usare smontare le penne onde usarne la parte esterna come cerbottana; unica variante: al posto delle freccette e dei foglietti di carta arrotolati a cono, utilizzavamo come proiettili dei minuscoli pezzettini di carta che masticavamo per renderli un po' più pesanti impregnandoli di saliva; la forma della "pallottola" non doveva essere precisamente sferica ma presentare una parte appuntita, in modo che chi ne veniva colpito, pur non provando dolore, avvertisse la sensazione di una piccola e leggerissima puntura di spillo.
      Non so chi avesse introdotto nella nostra classe questo sport, che da decenni si tramandava di fratello in fratello, di cugino in cugino. Fatto sta che esso si diffuse rapidamente, tant’è vero che la prof.ssa Aggeri (di Lettere) ebbe modo di sequestrare un numero ingente di queste penne ristrutturate come cerbottane; in pochi mesi ne mise da parte un fornitissimo arsenale.
      A proposito di ciò, Giampiero diede prova di una sottile ironia il giorno in cui la prof.ssa Aggeri sequestrò una meraviglia della tecnologia a Paolo, il quale era riuscito a costruire una “doppietta”: il pezzo di artiglieria sequestratogli quel giorno era infatti costituito da due penne legate fra loro con del nastro adesivo, in modo che, debitamente caricate con "pallottole" insalivate, consentivano al “cecchino” di sparare due colpi con una sola soffiata. Or bene, mentre la buona profia di Lettere stava guardando sbalordita il prodigioso frutto di creatività che aveva appena sequestrato, Giampiero le si avvicinò e, assumendo un professionale tono da esperto, le disse: "La vede? Questa è una mitragliatrice".
      Per la verità, il termine esatto sarebbe stato "doppietta" e non "mitragliatrice" ma l'effetto ironico venne comunque conseguito.

      Fui invece io ad introdurre un’arma più devastante della cerbottana: la balestra-cartellina.
      Essendomi stufato di utilizzare le penne vuote come cerbottane per sparare minuscoli proiettili di carta insalivata, inventai un nuovo tipo di arma, la "balestra-cartellina” per l’appunto, costituita da una di quelle cartelline con l’elastico che contenevano i fogli; i “pezzi” sparati, naturalmente, erano di dimensioni ben maggiori, pardon, di calibro ben maggiore di quelli che potevano contenere le nostre “cerbottane”. C'era sì il lato sgradevole che per ottenerli dovevo masticare e insalivare dei pezzi di carta ben più grandi ma la soddisfazione dell'usare quell'arma valeva veramente la pena.
      Il colpo di maggior successo lo sparai quella volta che, durante l’ora di Disegno, riuscii a rovinare l’acquarello che con tanta cura stava dipingendo Riccardo.
      Dopo avere masticato a dovere un pezzo di carta, riuscii a formare un proiettile di circa 2 cm di diametro, lo posi sulla cartellina davanti all’elastico, tirai indietro quest’ultimo e lo mollai di scatto sparando alla cieca l’impasto di carta e saliva. Esso andò a cadere proprio in mezzo al foglio che stava disegnando Riccardo e su cui i colori erano ancora freschi. Non potei osservare da vicino l’effetto del tiro sull’acquarello ma, quando qualche secondo dopo Riccardo si accorse del proiettile caduto sul suo disegno, vidi chiaramente comparire sul suo volto una smorfia di disgusto e lo sentii esclamare: "Ma chi è che tira questi siluri?!". Superfluo aggiungere che mi guardai bene dal dirgli che ero stato io.

      Un'altro tipo di arma da noi utilizzata era la "catapulta manuale", nel senso che non si utilizzava alcuno strumento ma solo il taglio della mano, che la parte sporgente della matita che si era messa in bilico sul banco; il colpo secco sparava la matita con lo stesso effetto di un proiettile lanciato da una catapulta.
      Come già per l'acquerello di Riccardo colpito dalla mia "balestra", anche il colpo migliore che tirai con l'effetto catapulta fu dovuto a casualità e non certo a precisa mira. Una mattina, durante un'ora lasciata scoperta da un professore assente non sostituito da un supplente, mentre in classe stavamo facendo casino, sporsi una matita dal banco e ne colpii la parte sporgente. Il proiettile percorse una curva perfetta e andò a cadere verticalmente sul banco di Liliana, rimbalzò e la colpì in faccia, non di punta ma nel lato della sua lunghezza.
      Risate generali, comprese quelle di Liliana, la quale rimase sorpresa in quanto tutta concentrata a leggere un libro di testo. Era l'unica di noi a studiare anche durante le ore in cui non c'era un docente. Tant'è vero che una volta qualcuno le attaccò sulla sedia, di spalle, un foglio con su scritto: "GENIO AL LAVORO".

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