Alle Medie Inferiori, fra i nostri
passatempi preferiti, sia negli intervalli che durante la ricreazione ma a
volte, ehm, anche durante le lezioni ..., vi era quello di usare smontare le penne
onde usarne la parte esterna come cerbottana; unica variante: al posto delle
freccette e dei foglietti di carta arrotolati a cono, utilizzavamo come
proiettili dei minuscoli pezzettini di carta che masticavamo per renderli un
po' più pesanti impregnandoli di saliva; la forma della "pallottola"
non doveva essere precisamente sferica ma presentare una parte appuntita, in
modo che chi ne veniva colpito, pur non provando dolore, avvertisse la
sensazione di una piccola e leggerissima puntura di spillo.
Non
so chi avesse introdotto nella nostra classe questo sport, che da decenni si
tramandava di fratello in fratello, di cugino in cugino. Fatto sta che esso si
diffuse rapidamente, tant’è vero che la prof.ssa Aggeri (di Lettere) ebbe modo
di sequestrare un numero ingente di queste penne ristrutturate come cerbottane;
in pochi mesi ne mise da parte un fornitissimo arsenale.
A proposito di ciò, Giampiero diede prova
di una sottile ironia il giorno in cui la prof.ssa Aggeri sequestrò una
meraviglia della tecnologia a Paolo, il quale era riuscito a costruire una
“doppietta”: il pezzo di artiglieria sequestratogli quel giorno era infatti
costituito da due penne legate fra loro con del nastro adesivo, in modo che,
debitamente caricate con "pallottole" insalivate, consentivano al
“cecchino” di sparare due colpi con una sola soffiata. Or bene, mentre la buona
profia di Lettere stava guardando
sbalordita il prodigioso frutto di creatività che aveva appena sequestrato,
Giampiero le si avvicinò e, assumendo un professionale tono da esperto, le
disse: "La vede? Questa è una mitragliatrice".
Per la verità, il termine esatto sarebbe
stato "doppietta" e non "mitragliatrice" ma l'effetto
ironico venne comunque conseguito.
Fui invece io ad introdurre un’arma più
devastante della cerbottana: la balestra-cartellina.
Essendomi stufato di utilizzare le penne
vuote come cerbottane per sparare minuscoli proiettili di carta insalivata,
inventai un nuovo tipo di arma, la "balestra-cartellina” per l’appunto, costituita
da una di quelle cartelline con l’elastico che contenevano i fogli; i “pezzi”
sparati, naturalmente, erano di dimensioni ben maggiori, pardon, di calibro ben
maggiore di quelli che potevano contenere le nostre “cerbottane”. C'era sì il
lato sgradevole che per ottenerli dovevo masticare e insalivare dei pezzi di
carta ben più grandi ma la soddisfazione dell'usare quell'arma valeva veramente
la pena.
Il colpo di maggior successo lo sparai
quella volta che, durante l’ora di Disegno, riuscii a rovinare l’acquarello che
con tanta cura stava dipingendo Riccardo.
Dopo avere masticato a dovere un pezzo di
carta, riuscii a formare un proiettile di circa 2 cm di diametro, lo posi
sulla cartellina davanti all’elastico, tirai indietro quest’ultimo e lo mollai
di scatto sparando alla cieca l’impasto di carta e saliva. Esso andò a cadere
proprio in mezzo al foglio che stava disegnando Riccardo e su cui i colori
erano ancora freschi. Non potei osservare da vicino l’effetto del tiro
sull’acquarello ma, quando qualche secondo dopo Riccardo si accorse del
proiettile caduto sul suo disegno, vidi chiaramente comparire sul suo volto una
smorfia di disgusto e lo sentii esclamare: "Ma chi è che tira questi
siluri?!". Superfluo aggiungere che mi guardai bene dal dirgli che ero
stato io.
Un'altro tipo di arma da noi utilizzata
era la "catapulta manuale", nel senso che non si utilizzava alcuno
strumento ma solo il taglio della mano, che la parte sporgente della matita che
si era messa in bilico sul banco; il colpo secco sparava la matita con lo
stesso effetto di un proiettile lanciato da una catapulta.
Come già per l'acquerello di Riccardo
colpito dalla mia "balestra", anche il colpo migliore che tirai con
l'effetto catapulta fu dovuto a casualità e non certo a precisa mira. Una
mattina, durante un'ora lasciata scoperta da un professore assente non
sostituito da un supplente, mentre in classe stavamo facendo casino, sporsi una
matita dal banco e ne colpii la parte sporgente. Il proiettile percorse una curva
perfetta e andò a cadere verticalmente sul banco di Liliana, rimbalzò e la
colpì in faccia, non di punta ma nel lato della sua lunghezza.
Risate generali, comprese quelle di Liliana,
la quale rimase sorpresa in quanto tutta concentrata a leggere un libro di
testo. Era l'unica di noi a studiare anche durante le ore in cui non c'era un
docente. Tant'è vero che una volta qualcuno le attaccò sulla sedia, di spalle,
un foglio con su scritto: "GENIO AL LAVORO".
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