lunedì 2 novembre 2015

Come mi cavai fuori dai guai durante i compiti in classe

Nel film Operazione Sottoveste il tenente Nick Holden (Tony Curtis) dice al comandante Sherman (Cary Grant): "Da ragazzo ero vittima di una propaganda tendenziosa che sosteneva che i soldi non sono importanti nella vita. Poi ho scoperto che chi lo diceva i soldi li aveva e non voleva che gli altri glieli prendessero".
Parafrasando questa considerazione, io da ragazzino rimasi vittima della propaganda tendenziosa secondo cui non bisognava copiare durante i compiti in classe (oggi si chiamano "verifiche") in quanto non era onesto. Poi, vedendo che i miei compagni di classe, chi più e chi meno, copiavano tutti, mi sono chiesto: "Ma perché devo essere l'unico fesso che prende voti meno alti solo perché non si deve copiare?".
Ma procediamo con ordine.

Alle Medie Inferiori, copiai una sola volta. In Terza. In previsione dell'esame di licenza, che prevedeva la scelta fra un compito di Matematica e una relazione di Scienze, la prof.ssa Zocco ci fece fare come compito in classe una relazione di Scienze.
Io Scienze non l'ho mai digerita come materia. La relazione da scrivere, poi, si presentava come una scalata all'Everest senza bombole d'ossigeno. Mi rassegnai al dover fare di necessità virtù e mi preparai qualche bigliettino con le nozioni principali.
Per essere la prima volta, il mio battesimo del fuoco, la mia perdita della verginità, me la cavai piuttosto bene nel copiare durante il compito in classe.
Si dice che i cali di tensione quando il traguardo è vicino possono costar cari: vero.
Avevo appena finito di copiare l'ultima informazione che mi serviva quando mi cadde di mano il bigliettino da cui l'avevo attinta. E il pezzetto di carta planò sul pavimento in un punto da cui era visibilissimo dalla prof.!
Forse quella fu la prima volta in cui tirai fuori da dentro di me quel mix di intuizione e improvvisazione che viene anche chiamato istinto di sopravvivenza. Allungai un poco una gamba e misi il relativo piede sul biglietto, coprendolo del tutto.
Mancavano dieci minuti buoni alla fine dell'ora, tempo che passai in quella invero innaturale posizione e con una buona dose di ansia. Poi, quando la campanella suonò e la prof. ci invitò a consegnare la relazione, mi alzai, spingendo indietro il biglietto con la suola della scarpa, andai a consegnare la relazione e tornai al mio banco, approfittando del movimento del sedermi per chinarmi un po' di più e raccogliere il compromettente quadrato (o rettangolo, non ricordo bene) di carta. Pericolo scampato.
E risultato eccellente: avendo copiato bene (già, perché occorre anche saper copiare con intelligenza e preparazione), per quella relazione presi 9 e mezzo. E senza alcun rimorso postumo.

Alle Medie Superiori, invece, copiai ogni volta che potei. In certi casi, raggiungendo, mi si conceda l'iperbole, altissime vette di spudorata spudoratezza.
In Seconda, la prof.ssa Barra, di Chimica, decise di sostituire l'ultima interrogazione dell'anno scolastico con un compito in classe. Panico generale.
Il giorno prima della fatidica prova scritta, fra una telefonata e l'altra coi compagni di classe per chiederci a vicenda cosa cavolo dovevamo preparare, a casa scrissi su un foglio protocollo (4 pagine, dunque) tutte le formule chimiche apprese durante i precedenti mesi di lezione. Prima di iniziare, però, non so se per un eccesso di formalità o per una sorta di preveggenza, scrissi in testa alla prima pagina quello che di solito si scriveva su ogni compito in classe e cioè: data del compito in classe, cognome e nome, e la dicitura "COMPITO IN CLASSE DI" seguita dal nome della materia.
Il giorno dopo, la prof. entrò in classe e, anziché elencarci le domande a cui rispondere, ci disse: "Scrivete tutte le formule che avete imparato quest'anno".
Botta di culo galattica!
Avevo il compito già fatto. E per giunta esatto, a meno che non fossi stato così pirla da copiare a casa in modo sbagliato.
E così passai quell'ora a scrivere con calma qualcosa sul foglio "ufficiale", poi al momento di consegnare lo scritto lo sostituii con quello preparato a casa e che avevo tenuto sotto il banco e diedi quest'ultimo alla prof.
Voto altissimo, anche in questa occasione.

Voti un po' meno alti prendevo in Matematica, materia che non mi è mai andata giù.
Alle Medie Inferiori avevo rimediato la mia buona dose di insufficienze. Alle Medie Superiori non mi capitò mai ma la "Mate" continuò a non andarmi giù. E per cavarmela non esitai a prendere le vie traverse.
In Seconda, con la severissima prof.ssa Luciano, durante un compito in classe andai nel pallone su un'equazione. Poi, eureka!, ebbi l'illuminazione, non buddista ma di salvataggio. Afferrai che la prof. ci aveva dettato l'equazione non da appunti da lei preparati ma da un manuale di Algebra che non era comunque il nostro libro di testo.
Ora, ehm, nei libri di testo accanto ad ogni equazione era riportato anche il risultato. E dal risultato si può a ritroso risalire al modo di risolverla o, quanto meno, si può sapere se la si è svolta correttamente oppure no ...
Allora mi alzai, andai alla cattedra e, con la faccia tosta di un attore consumato, dissi alla prof.: "Scusi, ho paura di aver scritto male il testo di un'equazione quando Lei l'ha dettato. Posso controllare?".
La prof.ssa Luciano, che pure era difficilissimo infinocchiare, ci cascò in pieno e mi fece visionare il manuale da cui aveva pescato gli esercizi da farci svolgere. Io controllai l'equazione incriminata, facendo finta di leggere con attenzione il testo quando invece mi era bastato vederne il risultato, poi tornai al mio banco.
In effetti, detto risultato non coincideva con quello a cui ero giunto io e così, andando a ritroso, riuscii a identificare l'errore e ad arrivare al risultato giusto.

L'anno successivo la prof.ssa Luciano stette a casa in maternità e al suo posto venne una giovane supplente alquanto impreparata e fannullona. La soprannominammo Ceccé, perché, non riuscendo a togliersi la pronuncia della Sicilia, da cui proveniva, ogni volta che nello spiegare un esempio doveva leggere due volte di fila il numero 3, anziché dire "tre tre" pronunciava "ce ce".
Una volta ci portò un compito in classe corretto e col voto, e come da consuetudine ci distribuii i nostri elaborati affinché potessimo visionarli.
Con mio sommo sdegno, mi accorsi che mi aveva dato 7-. Mi arrabbiai non per il voto in sé ma perché Tumalin e Richetto avevano preso 7+, pur avendo copiato esattamente nello stesso modo in cui l'avevo fatto io! Vissi la cosa come una profonda ingiustizia.
Andare a protestare sarebbe stato inutile. Oltretutto, mica potevo motivare la mia contestazione con l'avere copiato, ehm, in fotocopia con due miei compagni di classe che avevano avuto mezzo voto di più.
La rabbia il più delle volte fa perdere lucidità. In quella occasione, però, dovette suggerirmi di comportarmi in modo razionale, evitando di fare scenate inutili e potenzialmente controproducenti, e dandomi quella calma in cui cercare la soluzione.
Che di lì a un paio di minuti venne. Identificatala, passai subito all'azione.
Sapendo benissimo che la prof. non solo non trascriveva mai i voti sul registro prima di distribuirci gli elaborati ma era talmente fannullona che non li trascriveva nemmeno dopo, incaricando uno di noi di prendere il malloppo degli scritti e di scrivere in vece sua i voti sul registro, prima di consegnare il mio mi feci prestare da una compagna di classe una penna rossa (il colore con cui la prof. metteva i voti sui compiti in classe) e sul "-" tracciai una lineetta verticale facendolo diventare un "+".
L'epilogo rispecchiò la fannulloneria della prof.: raccattati tutti gli scritti, porse il "faldone" a una mia compagna di classe e le ordinò di trascrivere i voti sul registro.
E così quella volta Ceccé mi diede 7+ a sua insaputa.

Ma il tiro più grande, più geniale, più straordinario che giocai, anzi, che giocammo ad un prof. per cavarci dai guai in, anzi, dopo un compito in classe venne fatto in Quinta.
Compito in classe di Tecnica, docente prof. Belotti. Esercizio da svolgere: una registrazione di partita doppia.
A fine lavoro, consegnati gli elaborati, io e Tumalin ci accorgemmo di avere completamente sbagliato il compito in classe. Non per qualche errore di calcolo ma proprio nell'impostazione del DARE e dell'AVERE: l'avevamo fatto in modo esattamente contrario a quello giusto. Si profilava un 4 sicuro.
Mentre Tumalin imprecava ad alta voce, proferendo anche frasi irripetibili, io ebbi, modestia a parte, un colpo di genio.
E subito glielo comunicai: "Senti, - gli dissi, - non tutto è perduto. Adesso riscriviamo il compito in modo giusto, tanto alla prof. che viene non gliene frega niente se non ne ascoltiamo la lezione, poi andiamo da Belotti e gli diciamo che ci siamo sbagliati e gli abbiamo consegnato la brutta copia al posto della bella".
Dovetti impiegare un po' per convincere un perplesso e titubante Tumalin ma alla fine il mio amico acconsentì a condividere con me quel tentativo.
Scrivemmo il compito correttamente, badando però ad inserire qualche piccolo errorino per non destare sospetti. Quella era una strategia che mi aveva insegnato lo stesso Tumalin: nel copiare bisogna sempre mettere qualche sbaglio di poco conto; si rinuncia magari a un mezzo voto in più ma un compito in classe senza alcun errore desta sempre l'allarme dei professori.
Una volta terminato di scrivere le nostre, ehm, belle copie, chiedemmo il permesso dalla prof. di turno per recarci nella classe dove in quel momento il Belotti stava facendo lezione.
Attento come sono a curare ogni minimo particolare, fermai Tumalin davanti alla porta di quella classe e lo condussi nei bagni, dove gli dissi di bagnarsi con un po' d'acqua i capelli (cosa che feci anch'io) per dare l'impressione di persone sudate per l'affanno di correre dal prof. per avvertirlo di un'innocente dimenticanza.
Poi raggiungemmo di nuovo la classe, bussammo, entrammo e raccontammo al Belotti la balla della brutta copia consegnata al posto della bella.
Naturalmente, ci cascò in pieno, restituendoci la vera bella copia e prendendo la falsa, pardon, posticcia bella copia. E dire che, insomma, il fatto che non uno ma due studenti avessero durante  lo stesso compito in classe consegnato la brutta copia al posto della bella avrebbe dovuto indurlo a sospettare qualcosa.
Il voto, sia per me che per Tumalin, fu un gratificante 6/7 (dal sei al sette): il prof. Belotti era un rivoluzionario egualitarista che, disconoscendo il merito degli studenti, non dava mai voti superiori al 7; dare un 8 sarebbe stato per lui opera di qualunquismo.
Comunque, l'aver rimediato un 6/7 al posto di un 4 fu impresa davvero notevole.

3 commenti:

  1. No mi sembrano imprese molto qualificanti. Sei ca conferma che gli italiani sono mediamente portati alla disonestà. Difronte ad un problema o una difficoltà non pensiamo mai ad una soluzione corretta ma sempre e soltanto ad una scappatoia o a un trucco. Che sia disonesto non ci sfiora nemmeno per un attimo, prova ne è questo aneddoto tutto compiaciuto di dimostrare la propria capacità ad imbrogliare, cercando di farci credere che sia una cosa divertente. Notare bene non è un episodio è un metodo che si protratto come un programma di vita per tutti gli anni della scuola. Ed oggi? Il nostro protagonista è più propenso a cercare soluzioni oneste o continua a programmare scorciatoie: false dichiarazioni dei redditi, frodi in commercio ecc.
    Che ci racconterà come prodezze ironiche da anziano?

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  2. Egr. sig. Masi, se Ella non riesce a cogliere la differenza che c'è fra le bravate che si fanno da ragazzi e le vere o presunte scorrettezze che si possono fare da adulti, è affar Suo.
    Conosco persone che da ragazzi ne hanno combinate più di me e ora sono stimatissimi e serissimi professionisti o docenti universitari.
    Si veda il film "Animal House" e forse vedrà la cosa da un'altra ottica.
    Per il resto, si tenga per sé il moralismo.
    L'onestà di una persona non può essere stabilità da chi non conosce quella persona e tanto meno dall'autoironia di quella persona.
    P.S. Felicissimo di averLa persa dai miei contatti su Fb: di signori come Lei faccio volentieri a meno.

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  3. P.P.S. Beato chi da anziano può ancora fare e raccontare prodezze anziché ridursi a mettere acidi commenti sugli scritti degli altri.

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