sabato 7 novembre 2015

Il biennio del "Tumalin"

Non so chi, in Prima Superiore, iniziò a chiamare Antonio col soprannome di Tumalin. Di sicuro so che Antonio iniziò subito ad incazzarsi come una bestia, reagendo in modo veemente (sia pure mai violento) ogni volta che si sentiva chiamare con quel nomignolo in qualche modo simile al suo cognome.
Che poi, in sé, quel soprannome non era nemmeno offensivo, essendo un vezzeggiativo piemontese di Bartolomeo.
Fatto sta che, come in ogni situazione oggetto di lazzi, più Antonio si imbufaliva e più di frequente in classe lo chiamavano Tumalin.
Per alcuni di noi, soprattutto maschi (le ragazze, si sa, maturano prima degli uomini e a 15 anni d'età non hanno più tanta propensione ad abbandonarsi a celie goliardiche), quel soprannome divenne una sorta di allegra ossessione.
In ogni parola simile trovavamo dei riferimenti a Tumalin e il sentirla o leggerla diventava motivo di ilarità: l'aggettivo "tumido"; il proverbio "dire Roma per Toma"; il protagonista di una serie indiana di telefilm per ragazzi andata in onda nella stagione 1974-75, Tomai; l'orango tang divenne, nel nostro gergo, l'orango tuma; etc. Ogni assonanza con Tumalin era fonte di risa e naturalmente di ripetizione davanti al diretto interessato, che reagiva come ho sopra descritto.
Ossessione che investì anche la versione onomatopeica del suono della linea telefonica libera, "tu-tuuu, tu-tuuu". Alcuni di noi, me compreso, a volte di pomeriggio a casa alzavamo la cornetta solo per sentire "tu-tuuu, tu-tuuu" e farci due risate.
E ci mettemmo pure a storpiare vari nomi per rincarare la dose. La Nutella, ad esempio, divenne Tumella. Vedrete fra un po' quale gaffe micidiale ebbe origine dalla "Tumella".
Da Tumalin derivarono per il povero Antonio altri soprannomi: Tolomeo, ad esempio; da Tolomeo derivò Tolomeo Bifetta; da Tolomeo Bifetta derivò Bifettarola Joe. Ho ancora nella mente la memoria visiva della caricatura di Bifettarola Joe che Walter disegnò su un banco: Antonio nelle vesti di un pistolero del West, che però nelle fondine al posto delle colt aveva due banane.

Questi soprannomi affibbiati ad Antonio furono la causa di due numeri micidiali.
Ultima interrogazione di Storia in Prima. La prof.ssa Bertola dice a Michelino: "Parlami della dinastia dei Tolomei". E Michelino, pensando immediatamente al nostro "Tolomeo", invece di proferire parola viene colto da una ridarella inarrestabile.
Per un paio di minuti lo scenario fu questo: Michelino che rideva come un pazzo; la prof. che lo guardava sbigottita e non si capacitava di cosa ci fosse da ridere sui faraoni egizi di età ellenistica; Antonio che di fianco a Michelino inveiva rabbiosamente contro di lui; e noi altri che, chi più chi meno, ridevamo. Ricordo che a un certo punto, incrociai lo sguardo con Richetto, ci guardammo un attimo e poi riprendemmo a ridere, accasciandoci sui rispettivi banchi.
La situazione, comicamente imbarazzante, venne risolta dalla provvidenziale entrata in aula di un bidello, che portava una circolare del preside da leggere alle classi. Il tempo di declamarla da parte della prof.ssa Bertola e Michelino riuscì a ricomporsi, iniziando finalmente a raccontare qualcosa della benedetta dinastia dei Tolomei.

Qualche giorno prima, era stato invece Richetto a fare una gaffe che ebbe per lui conseguenze fisicamente dolorose.
Un lunedì mattina Richetto si presentò al Barocchietto con una vistosa fasciatura alla mano destra.
Nell'intervallo, io e Michelino gli chiedendo cosa si era fatto, ed egli rispose: "Sabato pomeriggio per fare merenda mi sono tagliato con un coltello mentre mi stavo preparando pane e Nutella".
Qualche minuto dopo ci raggiunge Tumalin e formula a Richetto la stessa domanda, e quest'ultimo, commettendo il lapsus meno opportuno che potesse essere, gli risponde: "Sabato pomeriggio mi sono tagliato con un coltello mentre mi preparavo pane e Tumella".
Resosi immediatamente conto della gaffe, su Richetto comparve un sorriso forzatissimo, comprensivo di digrignamento di denti per l'imbarazzo.
Contrariamente al solito, questa volta Tumalin non mostrò alcuna animosità ma, con sguardo e voce impassibili, disse: "Richetto, la mano".
A cosa si stava riferendo?
Tumalin, accessi di indignazione verbale a parte, non andava oltre con nessuno di noi, tranne che con Richetto e Michelino, ai quali, se in qualche modo mancavano di rispetto nei suoi confronti, impartiva punizioni corporali. Erano un po' succubi di lui, certo, ma nessuna di queste punizioni si avvicinò mai ad episodi di bullismo: erano solo goliardate un po' energiche, in fondo condivise spontaneamente dalle stesse "vittime".
La "tortura" della mano, in particolare, consisteva nel farsi porgere la mano dal colpevole di lesa maestà e stringergliela in modo talmente forte da fargli scricchiolare le ossa.
Ad onor del vero, quella mattina Richetto tentò una qualche difesa, cercando di spiegare a Tumalin che aveva la mano ferita, ma Antonio non volle sentire ragioni e ripeté: "Richetto, la mano".
A questo punto, invece di rifiutarsi categoricamente di dargli la mano, Richetto masochisticamente la porse a Tumalin, il quale gliela strinse energicamente.
Udibilissimo fu il grido di dolore di Richetto, non altissimo ma soffocato: il dolore lancinante gli aveva addirittura impedito di urlare forte.
Dopo di che, Tumalin se ne andò, come se niente fosse accaduto.
Non passarono più di 30 secondi che la fasciatura della mano di Richetto iniziò a colorarsi di macchie rosso scure. Sciolse la fasciatura e fu evidente a tutti i presenti che la cicatrice del taglio si era aperta e la ferita aveva ripreso a sanguinare, sia pure non in modo copioso.
A Richetto non rimase altro da fare che recarsi in bagno tamponandosi la ferita con un fazzoletto, mettere il palmo della mano sotto l'acqua per pulire la ferita e fermare la piccola emorragia, e rifarsi la fasciatura.

In Seconda, il ricorso al "Tumalin" per chiamare Antonio si diradò a poco a poco fino a scomparire a fine anno scolastico, tant'è vero che dalla Terza in poi nessuno fece più ricorso a quel soprannome.
Probabilmente fu perché, come si suol dire, un bel gioco dura poco e anche a poco a poco Antonio smise di arrabbiarsi, e allora perché infierire ancora su di lui?
Non a caso, non ricordo che si adirò quando, appunto in Seconda, il "Tumalin" ebbe la sua ultima manifestazione clamorosa, il suo canto del cigno.
Accadeva nella nostra classe che ogni tanto mettevamo in scena la parodia di qualche evento dall'ampia diffusione mediatica.
Ricordo, ad esempio, una parodia un tantino irriverente della Messa, durante la quale l'officiante Nick (attore nato, oltre che bravissimo disegnatore) iniziò l'omelia con un esilarante quanto surreale: "Figlioli, oggi è festa perché vengono a Torino gli Emerson, Lake & Palmer".
Or bene, una mattina decidemmo di fare una macchietta del telegiornale, con notizie riguardanti fatti della nostra classe. Io diedi una mano per i testi: fu un esordio in un'attività, quella del prendere per i fondelli amici e conoscenti, che anni dopo praticai a lungo negli ambienti lavorativi in cui mi trovai a guadagnarmi la pagnotta.
Individuati gli speaker, si trattò di far ricorso alla sigla del TG1, che modificammo rendendola, come dire?, cantata ed onomatopeica.
Venne fuori l'inequivocabile riferimento ad Antonio: "Tu-tu-tu Tumalin, tu-tu-tu-tu-tu ma-lin!".
Lo ammetto senza alcun imbarazzo: ancora oggi, a quasi 40 anni di distanza, quando sento la sigla musicale del TG1, mi viene da ridere pensando a Tumalin.

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