sabato 30 agosto 2025

Brezza che t'alzi


      Brezza che t'alzi dopo il temporale, porti con te la rasserenante frescura che tregua dà dalla calura oppure il gemito delle piante abbattute dalla forte pioggia?

      Brezza che t'alzi dopo il temporale, porti con te fra le macerie il risveglio della vita oppure la triste eco della distruzione?

      Brezza che t'alzi dopo il temporale, porti con te il sorriso di chi guarda all'orizzonte con la voglia di ripartire oppure le lacrime di chi guarda al vuoto che d'ora in poi segnerà la sua vita?

      Brezza che t'alzi dopo il temporale, sei carezza che conforta o gelido soffio che infierisce sulle ferite?

mercoledì 27 agosto 2025

Cade una foglia dall'albero


      Cade una foglia dall’albero, sotto un grigio cielo autunnale.

      Leggera, ha fatto il suo tempo; leggera, ha esaurito la sua linfa dopo avere assolto al suo compito.

      Ha dato forma al risveglio di vita che in primavera è passata dalle radici attraverso il tronco e i rami. Ha dato gioia a chi la vedeva colorata di un verde vivo. Ha protetto i frutti che sono nati e maturati.

      Ed ora, giunto l’autunno, colorata di rame, cade leggera per depositarsi sul terreno che contribuirà a nutrire, a proteggere dal freddo invernale col caldo manto formato con tante altre sorelle: metafora commovente del ricordo di chi non c’è più ma che continua a scaldare i nostri cuori dall’inverno della tristezza.

      La pioggia e la neve la dissolveranno facendola diventare parte del terreno, da cui sorgerà nuova vita, da cui spunteranno nuove piante: anello di congiunzione fra passato e futuro, in un cammino di infiniti ritorni.


lunedì 25 agosto 2025

Figure geometriche


Cerchio.

      Tutto scorre, tutto ritorna al punto di partenza.

      Sensazione d’abisso dell’Infinito: non esiste un punto di riferimento, un Nord, un Sud, un Ovest, un Est; e il girare intorno dà vertigine.

      Completezza, totalità: simbolo di Dio.

 

Triangolo.

      Invito a non dividere il mondo in due parti, fra Bene e Male, a non cadere nell'errore dei manicheismo.

      Fra la tua visione delle cose e quella di chi ti parla, ce n’è sempre una terza, quella della sintesi, quella del terzo lato che unisce gli altri due.

 

Rombo.

      Composto da due triangoli uniti per la base, ti dà la metafora che ogni cosa si può specchiare nel suo contrario e che se lo rovesci vedi le stesse cose a parti invertite.

      L’armonia del mondo sta nel rimanere tutti uniti per la stessa base, quella della vita.

 

Quadrato.

      Simbolo dell’uguaglianza ma anche della monotonia, ti dà l’idea della solidità e di una vita senza sorprese ma ti suggerisce pure il paragone con la noia, con la mancanza di fantasia, con lo scorrere lento di giorni sempre uguali.

 

Rettangolo.

      La sicurezza della figura solida, compatta, senza sbavature, ma anche la salutare differenziazione che ti fa percepire che c’è un largo e c’è un lungo, che c’è un basso e c’è un alto, che al mondo ci sono le diversità che lo rendono più bello e con le quali devi confrontarti.

 

domenica 24 agosto 2025

Scherzi a Ischia


Eccomi pronto a raccontare gli scherzi che feci agli amici con cui trascorsi tre vacanze ischitane, dal 1994 al 1996.

Il primo anno fui limitato nei miei movimenti da una rovinosa caduta nei pressi della Chiesa del Soccorso (che io ribattezzai Chiesa del Pronto Soccorso), a causa della quale mi procurai la distorsione al polso sinistro con immediata steccatura del medesimo.

Anzi, il primo scherzo della vacanza non lo feci, lo subii. Fu Maury, una sera, a farmi il sacco. Dicesi "sacco" quello scherzo tipicamente da caserma in virtù del quale si toglie dal letto una delle due lenzuola e si piega e blocca la rimanente in modo che sembrino due: la vittima, tratta in inganno da sì adattamento del lenzuolo, prova e riprova a infilarsi in mezzo ma non ci riesce. E così accadde anche a me: entrai nella camera a sei letti in cui io, Maury e altri amici eravamo ospitati e provai una buona mezz'ora a infilarmi, nel mio letto, in quelle che credevo essere due lenzuola. Alla fine, mentre Maury, comodamente già sistematosi nel suo letto, già rideva sotto i baffi, esclamai spazientito: "Ma che cazzo hanno fatto?!".

Subito dopo l'amicone mi avvisò dello scherzo, mi informò della sua natura e mi restituì il lenzuolo sottratto e debitamente nascosto, aiutandomi a risistemare il letto.

Maury fu altresì l'ideatore e il suggeritore dello scherzo che quel primo anno mi vide come esecutore materiale.

Ultima sera di vacanza. Dopo cena, si decise di fare il classico bagno di mezzanotte, nella piscina con acqua termale dell'agriturismo dove ci trovavamo. Io non potevo farlo, causa polso steccato, e Maury mi propose: "Mentre noi facciamo il bagno, tu nascondi gli asciugamani e gli accappatoi degli altri, così quando escono sai che ridere nel vederli tutti infreddoliti". Potevo io rifiutare sì allettante prospettiva? Certo che no!

E così, mentre gli altri si sollazzavano in acqua, io quatto quatto nascosi ogni accappatoio e ogni asciugamano, COMPRESO PERO' ANCHE QUELLO DI MAURY (eh, eh, eh!), dietro la siepe che circondava la piscina.

Quando, ad uno ad uno, i bagnanti di mezzanotte uscirono dalla vasca, fu uno spettacolo favoloso vederli stupefatti per la scomparsa di sì provvidenziali manufatti tessili e subito dopo osservarli mettersi a battere i denti per il freddo e a strofinarsi energicamente braccia, gambe e addome per avere un minimo di riscaldamento corporeo.

Già, perché quello che frega del bagno di mezzanotte non è la temperatura dell'acqua (quella ambiente è ancora calda del sole estivo da poco tramontato, non parliamo poi di quella termale, che era per l'appunto il nostro caso) ma il contrasto fra l'acqua ancora calda e l'aria fresca della notte.

Solo Maury, da vero macho, non sembrava patire i simpatici effetti del calo di temperatura fra acqua e aria. Forse perché un po' se lo aspettava che non l'avrei risparmiato e non aveva patito l'effetto sorpresa.

Rimessisi dallo shock termico in modo sufficiente da potersi muovere con riacquistata disinvoltura, i nostri amici si misero mettersi alla ricerca dei loro asciugamani e accappatoi. Che del resto non impiegarono molto a ritrovare.


La seconda vacanza a Ischia, quella del 1995, fu quella più bella. Sia perché c'era Uccio, che fu sempre il collante della nostra compagnia e il catalizzatore di buonumore, risate e scherzi. Sia perché, badando bene a tenermi alla larga dalla Chiesa del Soccorso, non mi infortunai e, nel pieno possesso delle mie facoltà fisiche, mi scatenai in vari divertimenti.

Per la verità, all'inizio della vacanza Maury, che l'anno precedente mi aveva suggerito lo scherzo di nascondere asciugamani e accappatoi durante il bagno di mezzanotte, questa volta me ne propose uno ancora più bastardo. Mi disse cioè: "Mettiamoci d'accordo: io mi metto a parlare con qualche nostra amica per distrarla, tu arrivi da dietro, le slacci il top del costume da bagno e glielo porti via". Ma mi rifiutai categoricamente di fare una cosa del genere: non faccio scherzi da frustrato sessuale.

Lo scherzo ricorrente che feci, e che mi guardai bene dal comunicarlo agli amici (quando, mesi dopo, lo confidai a Maury, questi ci rimase male assai), fu di fare pipì mentre facevo il bagno nella piscina con acqua termale. Sempre mesi dopo, raccontai lo scherzo al mio collega Luciano e questi mi disse: "Non dovevi pisciare in piscina, ci dovevi cagare dentro". Azione che sarebbe stata del tutto inutile, perché, facendovi il bagno i miei amici, di stronzi che galleggiavano sull'acqua ce n'era più che a sufficienza.

Col secondo scherzo mi presi la rivincita sul sacco che Maury mi aveva fatto l'anno prima. Una sera, mentre Maury e gli altri piroettavano sulla terrazza dell'agriturismo al ritmo delle danze popolari, mi fiondai nella camera a noi assegnata portandomi dietro una bottiglietta d'acqua e ne versai il contenuto sul letto di Maury, AD ALTEZZA INGUINALE: in modo che, progettai beffardamente, il giorno dopo i ragazzi che curavano la pulizia delle camere, vedendo le lenzuola bagnate IN QUELLA ZONA, pensassero che Maury avesse fatto la pipì a letto. Alla veneranda età di quasi 36 anni.

Lo scherzo riuscì a metà, nel senso che il disagio glielo procurò ma la figuraccia del piscione non la fece, perché, quando scoprì la macchia imbarazzante, Maury tolse le lenzuola andandole a stendere fuori dalla camera e quella notte dormì sul nudo materasso.

Non avevo calcolato che per bagnare solo una piccola parte del materasso sarebbe bastata una modesta quantità di acqua e io invece ci versai sopra l’intero contenuto della bottiglietta da mezzo litro, inzuppandolo del tutto.

Durante le cene all'aperto nell'agriturismo che ci ospitava, presi di mira Uccio.

La cucina di Vito era in buona parte a base di limone, le cui scorze abbondavano sulla tavola al termine del desinare. Io, allora, ero solito prenderne una, andare di soppiatto alle spalle di Uccio, che era ancora seduto, tirargli all'indietro la maglia e far cadere la scorza di limone fra le spalle di Ucico e la sua maglia.

Poiché dopo un paio di giorni, il giochino rischiava di diventare monotono, a patire dal terzo introdussi una piccola aggiunta: dopo che la scorza gli era scivolata lungo la schiena, ponevo una mano sulla maglia di Uccio e gli facevo un energico massaggio onde spiaccicargli ben bene la scorza sulla schiena.

Naturalmente, non mi feci mancare nemmeno qualche puntatina sul classico. E dire classico a proposito di scherzi in una località Doretta significa dire gavettone.

Secchi di plastica a bordo della piscina ce n'erano a disposizione, così come gli amici che prendevano il sole a bordo di essa e che, di conseguenza, erano ottimi bersagli.

La condizione per la buona riuscita di un gavettone è calcolare bene la quantità di acqua da mettere nel secchio: troppo poca, impedisce al bersaglio di essere adeguatamente innaffiato; troppa, invece, fa correre il rischio di non raggiungere la vittima designata.

Attinta ogni volta la quantità giusta di acqua da un rubinetto poco distante dalla piscina, mi davo da fare per colpire.

Se l'amico o l'amica era sveglia e vigile, prendendo le vie larghe mi posizionavo alle sue spalle e, oplà!, lanciavo l'acqua che gli pioveva addosso senza che egli o ella potessero accorgersene.

Se invece vedevo il bersaglio addormentato o assorto nei suoi pensieri talmente tanto da non vedere davanti a sé oppure intento a leggere, allora preferivo l'attacco frontale: tanto, non me ne importava un fico secco di essere identificato come l'autore del gavettone. Bastava posizionarsi un due-tre metri di fronte al bersaglio ed effettuare il lancio della tumida massa.

Il gavettone frontale è decisamente il migliore, come dinamica e come capacità di coprire completamente d'acqua la vittima. Inoltre, ha maggiore visibilità e può attirare di più l'attenzione dei presenti, incrementandone l'effetto goliardico.

Encomiabile e commovente fu la reazione di Marco, il quale, quando sollevando lo sguardo dal libro che stava leggendo si accorse che stavo per tirare il gavettone, gridò: "I libri!", e fece scudo col suo corpo ai volumi che si era portato sulla sedia sdraio. Eroe con la "e" maiuscola: non temette neppure un secondo di esporsi alla secchiata e il suo primo pensiero fu di proteggere i suoi libri.

Dove, modestia a parte, raggiunsi la perfezione fu nel gavettone lanciato a Sandra. Ma non per miei meriti particolari; così, mi riuscì bene e basta. Sandra era addormentata su una sedia sdraio a bordo piscina. Silenziosamente mi posizionai col secchio d'acqua in mano a circa tre-quattro metri da lei ed effettuai il lancio. Vista la distanza, ebbi la soddisfazione di vedere la compatta massa acquea uscire dal secchio, librarsi un attimo in aria e planare su tutto il corpo di Sandra, che naturalmente si svegliò all'improvviso. La mia soddisfazione fu ancor più grande perché gli altri amici, avendomi visto col secchio in mano, si erano fermati ad osservare la scena e dopo ridevano di gusto, mostrando di avere notevolmente apprezzato la mia performance. Sandra si alzò di scatto dalla sdraio e voleva buttarmi in piscina, dimostrando così di essere la sola a non avere apprezzato il gavettone, ma poi desistette dal suo desiderio di rendermi pan per focaccia ossia riempiendo il secchio d'acqua e poi facendomi colare il contenuto a partire dalla testa; io rimasi immobile a subire la giusta replica.

Veniamo ora allo scherzo delle foto che feci a Maury. L'ispirazione mi venne dalla scena del film Amici Miei Atto II in cui, al bar ristorante del Necchi, gli amiconi prendono un attimo "in prestito" le macchine fotografiche per immortalare con degli scatti le loro (degli amiconi) parti virili e i loro fondoschiena, immaginandosi la sorpresa dei turisti nipponici che, al loro ritorno in patria avrebbero fatto sviluppare le foto, vedendovi dei prodigi "architettonici" del tutto imprevisti. Eh, sì, avere cultura cinematografica a volte aiuta proprio.

E così, quando il venerdì pomeriggio della settimana di vacanza ad Ischia ci recammo alle Terme di Poseidon, approfittai del quarto d'ora in cui Maury era andato a fare la sauna e aveva lasciato la sua macchina fotografica in custodia a me, che me ne rimasi spaparanzato su una sedia a sdraio. Presi il provvidenziale strumento tecnologico e mi misi a scattare foto "compromettenti" all'insaputa di Maury. Lo ammetto: a ispirarmi lo scherzo fu la scena del film Amici miei - Atto II in cui esso viene fatto al bar ristorante del Necchi ai danni dei turisti giapponesi.

Di foto clandestine ne feci comunque soltanto due. Una in cui mi immortalai il "davanti"; naturalmente col costume da bagno indossato, perché se mi fossi fotografato ignudo, mi avrebbero certamente arrestato in quanto mi trovavo all'aperto. La seconda foto fu un autentico atto di perfidia da parte mia: Maury era venuto in vacanza senza la palla al piede, pardon, senza la sua compagna, Grazia, che aveva appena cambiato lavoro e non poteva ancora prendersi delle ferie; or bene, sapendo che Grazia era oltremodo gelosa, scattai una foto con l'immagine della leggiadra ragazza in bikini che in quel momento stava prendendo il sole a pochi metri da me. Eh, sì, lo ammetto: a volte sono proprio stronzo. Solo a volte?


Quella del 1996 fu l'ultima vacanza che io e gli altri amici passammo insieme. Uccio non venne e la cosa basta già a spiegare il calo del clima di allegria e di convivialità fra di noi. Ma c'era di più: la sensazione, per lo più inespressa, che cambiamenti in vista nella vita di alcuni di noi e forse anche piccoli screzi, piccole o grandi divergenze, avrebbero presto portato allo scioglimento della nostra compagnia. Cosa che puntualmente si verificò di lì a qualche mese. Di fatto, il matrimonio di Santiago e di Letizia, celebratosi nella primavera dell'anno successivo, fu l'ultima occasione in cui quasi tutti ci trovammo insieme.

Certo, nel settembre del 1996, non mancarono momenti di allegria e di spensieratezza ma la magica atmosfera dell'amicizia di gruppo era già incrinata.

E così, fra una battuta di Capi e l'altra (notevoli le "Se il cielo è foscolo, chiamate Ugo" e "L'isola che si vede dopo Ventotene è Ventinovene"), l'unico scherzo che feci fu quello a Cristiana.

Se la memoria non m'inganna, fu proprio Capi a suggerirmela come bersaglio.

Fu uno scherzo in tono minore, perché anch'io risentivo del clima più depresso che vacanziero che si respirava fra di noi. Mi limitai a sottrargli una maglietta mentre lei era in piscina e a nascondergliela dietro la siepe che circondava la piscina medesima.

Lo scherzo diede origine a un mistero: quando rivelammo a Cristiana, che da una buona mezz'ora stava cercando la sua maglietta, il posto dove l'avevo nascosta, lei vi si recò e poi ci disse che l'indumento non c'era. Può darsi che nel frattempo qualcuno se ne fosse impossessato ma Capi sospettò che si trattasse di una piccola vendetta cinese di Cristiana, che aveva trovato la maglietta ma voleva farci credere il contrario. Fatto sta che il buon Capi la risarcì regalandole una delle sue T-shirt.

giovedì 21 agosto 2025

Colori


Arancione.

      Mescolanza di serenità e di voglia di vivere, di agire, di fare: vivacità che dà allegria, gioia, ottimismo: gaia allegoria della felicità che riempie l’anima con la stessa gustosa dolcezza che ci dà l’assaporare il succo di un mandarino.

      Effervescenza cromatica che allieta la vista senza stancarla con la forza dell’intensità.

      Metafora della primavera dell’uomo, dell’età in cui anche lo sforzo è dolce e anche le montagne più lontane sembrano a portata di mano.


Azzurro.

      Color del mare: metafora della vita, del nostro rimanere a galla e del nostro navigare verso una direzione, spinti da venti favorevoli e ostacolati da venti contrari.

      Color del fiume pulito: metafora del fluire della vita, verso una metà certa, verso una foce inevitabile; sta a noi arrivarci nel miglior modo possibile, manovrando bene il timone della morale che serve per governare la nostra barca.

      Color del cielo: metafora del Regno di Dio, Paradiso a cui noi aspiriamo e che possiamo sentire con l’anima mettendoci in umile ascolto.


Bianco.

      Purezza del cuore, trasparenza delle parole, sincerità d’animo: metafora della coscienza a posto, candida tela priva di macchie. Ma anche disperato senso di smarrimento di un paesaggio indistinguibile, privo di punti di riferimento che indichino una direzione e desolatamente piano, senza il rinfrancante conforto di pendii e di rilievi.

      Sconfinato avvenire, pagina vuota in cui è ancora possibile scrivere tutto del romanzo della nostra vita: metafora della gioventù.

      Ingenuità, assenza di astuzia, mancanza di difese: ogni avversità può comprometterne la cromatica pulizia.


Giallo.

      Distensione, rilassatezza, calma: metafora dello spirito sereno che non cerca colori forti, che non cerca emozioni ed esperienze che attizzano l’animo.

      Quieta gioia per le cose del mondo, distaccato possesso di un’emozione o di un bene che prendi senza l’arroganza del pretendere, che assapori senza la violenza del conquistare.

      Felicità non esaltata nel godere la vita, nel sentirsi parte di un mondo che non è di nostra proprietà ma che dobbiamo condividere insieme agli altri.


Grigio.

      Assenza di gioia e di tristezza, monotonia, noia: metafora del vivere senza mettere in gioco se stessi, del vivere chiusi nel proprio guscio, senza sorprese ma anche senza sentimenti.

      Inconciliabile fusione degli opposti, di caldo e freddo, di giorno e notte, di vita e morte, di bene e male: metafora del compromesso che non accontenta nessuno. Ma anche necessaria mediazione fra realtà e fantasia, fra il dovere e il volere, fra la tristezza e la gioia: metafora della sintesi di tutti gli aspetti della vita e dell’accettazione a viverli con serenità.

      Utile sottofondo, necessario termine di confronto con cui possiamo apprezzare altri colori della vita.


Marrone.

      Gioia trasformata in serenità. Entusiasmo trasformato in solidità d’animo. Vivacità trasformata in sobrietà. Arbusto trasformato in albero.

      Autunno della saggezza, saggezza dell’autunno. Metafora della vita che ha già superato il momento più fulgido ma che ha ancora tanto da dare e da ricevere.

      Accettazione del declino che verrà e gratitudine per quello che si è vissuto.

      Consapevolezza che la discesa verso la fine è in realtà una salita verso l’eternità e che i rimanenti anni devono essere vissuti con la stessa speranza di quelli già trascorsi.


Nero.

      Buio dell’anima; incapacità di andare nella giusta direzione, di vedere una direzione.

      Velo accecante che toglie la luce ai colori della vita, alla varietà della vita.

      Assenza della speranza, fine della speranza, impossibilità di vivere coltivando dentro di sé la pianta della speranza e nutrendosi dei suoi deliziosi frutti.


Rosa.

      Delicatezza, dolcezza, sensibilità: vera forza che non ha bisogno dell’urlo o della violenza per manifestarsi.

      Riposo dell’anima; specchio delle buone intenzioni; mancanza di aggressività; apertura all’ascolto e all’altruismo.

      Mare privo di marosi; fiume privo di rapide; monte privo di precipizi; pianura priva di acquitrini. Sottile morbidezza delle ali di farfalla.


Rosso.

      Fede in ciò che si crede; disponibilità al sacrificio; coraggio radicato; voglia di combattere, di non demordere.

      Nettezza di posizioni; chiarezza di spirito; rifiuto dei compromessi; coerenza, incorruttibilità. Ma anche foga cieca, incapacità di comprendere le ragioni degli altri, intolleranza, fanatismo.

      Fuoco che scalda e che purifica. Ma anche fiamme che ustionano e che distruggono.


Verde.

      Vita che cresce; gioventù nella sua pienezza; affermarsi della primavera lungo il corso dell’anno.

      Quiete del corpo rilassato sopra un prato. Riposo della vista. Gioia del tatto nel far scorrere le dita lungo una foglia o attorno a una gemma.

      Speranza che rinasce nonostante tutto. Invito ad agire, a fare, a migliorarsi. Allegria che si trasforma in ottimismo.


lunedì 11 agosto 2025

Sogni di Kurosawa


Prologo.

      Due ore passate di domenica mattina guardando un film in cassetta non sono ore perse se si ha la fortuna di assaporare otto piccoli capolavori della Settima Arte.

      Dialoghi stringati, dallo stile essenziale, per non naufragare nella vana oratoria.

      Fotografia dai colori studiati, splendidi e armoniosi, e musiche raffinate, scelte per completare i racconti del grande regista, comunicano all’anima ciò che le parole non riescono a dire appieno.

      Grazie ad Akira questa non è stata una giornata sprecata. Grazie ad Akira ho un altro comodo bagaglio di sensazioni da portarmi dietro lungo il cammino del tempo: qualcosa che rimane, qualcosa che non mi peserà sulle spalle ma che mi darà forza per andare avanti, qualcosa che non scomparirà in mezzo all’oceano delle banalità effimere di cui i media ci circondano.

 

I.

Sole attraverso la pioggia.

      Bambino come nuovo Ulisse, tentato dall’andare a vedere le volpi, desiderio proibito che si trova oltre le Colonne d’Ercole del limite della foresta.

      Forza della buona educazione: la mamma che spinge il bambino ad andare a chiedere perdono alle volpi; invece di proteggerlo, gli chiude in faccia le porte della casa. Non è cattiveria, è amore: da grande non dovrà sottrarsi alle conseguenze delle sue azioni; è giusto che impari già adesso a rispondere di ciò che fa.

 

II.

Il pescheto.

      La dolce bellezza del rosa, la fresca bellezza del colore dei fiori di pesco.

      Le figure umane armoniosamente si muovono in una coreografia che evoca il muoversi al vento dei rami fioriti delle piante di pesco.

      Le piante riconoscono nel bambino l’eccezione, l’unico che ha pianto per il loro abbattimento; solo a lui è dato di vederle nella loro forma d’origine.

 

III.

La tormenta.

      Quando la neve si dirada, i colori riprendono forma, la vita riprende i colori e torna a respirare libera.

      Quando la vista torna libera, ci si accorge che l’obiettivo, creduto perduto per sempre, si trova invece a pochi passi di distanza, a portata di mano.

      Un dubbio si fa avanti: è il ritorno a casa oppure è il Campo-Base Definitivo?

      E la donna che premurosa ti scaldava nella bufera era la Fata della Vita venuta a proteggerti oppure era la Signora della Via Senza Ritorno?

      Ma alla fine ci si scuote dal torpore, ci si alza, ci si scrolla di dosso la neve, ci si incammina verso la meta prefissata: metafora sublime della Vita che vince la Morte.

 

IV.

Il tunnel.

      Un cane esce dalla galleria: è il fantasma dei bellici orrori o il messaggero d’un cupo futuro?

      L’ufficiale stremato lo ignora, entra nel buco orizzontale, ne esce uguale a prima.

      Un soldato pallido lo raggiunge, pallido del pallore di chi ha già conosciuto la morte. L’intera compagnia lo segue: è una centuria di trapassati, come la loro avanguardia.

      L’ufficiale prende coscienza degli orrori e dell’assurdità della guerra ma è troppo tardi: i soldati morti ritornano indietro ma il cane fantasma continuerà a seguirlo, continuerà a rimanere presente nella memoria col suo bagaglio di eccidi e di odio.

 

V.

Corvi.

      Osservare attenti le opere di Van Gogh, accingersi a lasciare la sala dei dipinti, mettersi il cappello in segno di commiato e ritrovarsi di colpo in un altro luogo, in un altro tempo, come se si fosse saltati dentro l’ultimo quadro.

      Camminare nei paesaggi visti dal maestro pittore, parlare con persone conosciute dal maestro pittore, incontrarlo, parlare con lui; e poi rimpicciolirsi e navigare nei suoi quadri, navigare nei suoi colori.

      Ritornare infine alla realtà, nel museo, davanti ai quadri, e togliersi il cappello in segno di rispetto per quanto Van Gogh ci ha lasciato.

 

VI.

Fujiama in rosso.

      Follia degli uomini, ennesima, tragica follia, quella di dominare la Natura andando contro il suo essere.

      I colori radioattivi, i colori della morte si avvicinano ai sopravvissuti, ai quali rimane una sola scelta: buttarsi a mare e annegare o restare contaminati senza speranza.

      La fine verrà comunque per tutti, adulti o bambini, colpevoli o innocenti.

 

VII.

Il demone che piange.

      Terra bruciata, cenere dappertutto: a questo ci condurrà la follia tecnologica scatenata dall’avidità umana.

      Demoni un tempo uomini piangono la loro sofferenza, i mali da essi commessi nel loro passato.

      Forse qualche umano è ancora in tempo, forse può evitare di trasformarsi in demone, di condannarsi a piangere il suo rifiuto alla vita, all’amore, all’altruismo.

 

VIII.

Villaggio dei mulini.

      Ruotano lente le pale dei mulini, come lenta dovrebbe ruotare l’esistenza degli uomini.

      Isola felice, il villaggio dove non solo i mulini ma anche gli abitanti ruotano calmi, secondo natura, senza l’ausilio e la frenesia dei mezzi tecnologici.

      Alla morte di ognuno, trovare in se stessi la serenità e la forza per congratularsi col trapassato per la sua esistenza spesa nel rispetto della vita.

      Deporre un fiore sopra una pietra, nel ricordo di chi non c’è più, senza aver bisogno di un volto o di una conoscenza per rendergli omaggio: atto puro d’amore e di rispetto, quello che si rende agli anonimi, ringraziandoli per il solo fatto di essere passati sulla Terra.


venerdì 1 agosto 2025

Nuova canzone del bambino nel vento (Gaza)

Son morto, sotto il cemento;

son morto in cerca di pane;

le bombe israeliane

m’han fatto volar nel vento,

adesso volo nel vento.


A Gaza regna la fame,

l’orrore ancor non è spento,

dovunque c’è solo inferno

e adesso volo nel vento,

adesso volo nel vento.


A Gaza solo macerie,

un solo fatal tormento

ma intanto non passa ora

che si spari qui nel vento,

seminando morte e sgomento.


Domando come può l’uomo

sopprimere tanti innocenti,

eppure di noi fan strage

i missili qui nel vento,

siam polvere qui nel vento.


Ancora scoppian granate;

non sazio, non è contento

di sangue l’umano mostro

e ancora soffriam nel vento

e ancora muoiam nel vento.


Domando quando sarà

che l’uomo potrà trovare

il modo di non ammazzare

e il vento riposerà

e in pace riposerò,


Domando quando sarà

che l’uomo potrà trovare

la via del non odiare

e il vento si poserà,

e in pace riposerò,

l’amore ritornerà.


Versi adagiati sulla musica della Canzone del bambino nel vento (Auschwitz) di Francesco Guccini.