Guardando le foto d’un tempo, vecchie foto tenute in un cassetto sempre pronto ad essere aperto, ritrovo me stesso, i miei passi, le mie radici.
Mi ritrovo in compagnia di persone amate, che non ci sono più o che mi rimangono accanto coi graffi prodotti dallo scalpello di quel maldestro scultore che è il Tempo.
Foto in bianco e nero, scattate con macchine che ora potrebbero stare in un museo; foto dai bordi tratteggiati come se fossero un francobollo gigante, stampate su carta spessa che è un piacere toccare, tenere in mano; foto semplici ma indelebili, come del resto lo sono tutte le cose semplici.
Foto a colori, presto ingiallite: metafora triste che all'allegra e fresca tonalità cromatica della primavera e ai forti e passionali colori dell'estate segue sempre lo scolorire dell'autunno, lo sfumare delle emozioni della vita in una dolce tristezza.
Mi guardo bambino, mi guardo ragazzo, ma non sorge in me la nostalgia, la malinconia per ciò che non sono più. Anzi, per ciò che sono ancora ma arricchito da tante, ulteriori esperienze, belle o brutte che siano state.
Quel ragazzo, quel giovane uomo senza rughe e senza pancetta sono io, rimango io: quelle foto fissano una stratificazione esistenziale che ha continuato a diventare più spessa.
Non c'è malinconia ma solo gratitudine nel vedere com'ero: senza il mio essere allora, non sarei quello di oggi.
Nei miei occhi non ci sono lacrime di nostalgia per ciò che non sono più; nel mio sguardo brilla invece un lieto e sereno sorriso.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.