sabato 5 marzo 2016

I miei titoli

      Negli anni in cui frequentavo le Medie Superiori, i diplomati erano per fortuna già abbastanza numerosi e il fregiarsi del titolo di studio conferito dal diploma non era più frequente, anzi, notando qualche isolato vanaglorioso che si faceva mettere sulla targhetta del citofono un "rag." o un "geom." prima del cognome, già all'epoca mi veniva da commentare: "Che pirla!".
      Il diploma che conseguii io, poi, aveva un titolo talmente chilometrico ("Perito Aziendale e Corrispondente in Lingue Estere") che, anche se avessi voluto fregiarmene, sarebbe stata una mission impossible presentarmi sbandierandolo o scriverlo su una targhetta o su dei biglietti da visita. Lunghezza per lunghezza, era, ed è, molto meglio declamare i titoli dei film di Lina Wertmueller: se non altro, si fa la figura di dotti cinefili.

      Ho invece ceduto, sia pure per un brevissimo tempo, alla vanità di sbandierare il "dott." in seguito al conseguimento della laurea in Lettere Moderne. Avevo però la parziale giustificazione di essermi sudato, e meritato, quella laurea, presa da lavoratore studente e quindi dopo avervi dedicato per anni ogni ora libera, sere, sabati, domeniche, festività e ferie comprese.
      Smaltito quel periodo di narcisismo intellettuale, non ho più fatto grande attenzione al mio titolo di "dott.".
      Dopo circa un anno dall'esame di laurea, mentre una sera uscivo dal lavoro incontrai una signora che lavorava in un'azienda che divideva i locali con quella alle cui dipendenze mi trovavo io e la sentii dire: "Buona sera, dottore".
      Mi voltai per vedere chi aveva salutato e, solo allora, constatando che alle mie spalle non c'era nessuno, afferrai che aveva salutato me. Non avevo più prestato attenzione al fatto che anch'io ero laureato e quindi potevo fregiarmi del titolo di dottore.
      Risposi al saluto della signora e uscii dal luogo di lavoro rallegrandomi perché ormai mi ero lasciato alle spalle la vanagloria di tenere al mio titolo di studio.

     Adesso, dopo l'introduzione delle lauree brevi, legalmente potrei fregiarmi del titolo di dottore magistrale ("dott. mag."), che spetta anche a chi ha conseguito le vecchie, tradizionali lauree quadriennali. Ma troverei la cosa ridicola.

      Fatto sta che, ogni tanto, mi vedo costretto a ritirare fuori il "dott." (senza "mag.", però). Accade quando mi imbatto in qualcuno che mi tratta come una merda, come un essere a lui inferiore, e allora il mio titolo lo tirò fuori. Se poi il tipo è particolarmente stronzo, gli sbandiero sul naso la mia votazione di laurea di 110 e lode. E se è un autentico figlio di puttana, gli calo sul muso il mio quoziente d'intelligenza, che dovrebbe (il condizionale è d'obbligo, perché i test non sempre sono attendibili) essere superiore a 150, con tanto di stoccata finale: "Non so se Lei può dire altrettanto a proposito del Suo".
      In fondo, sono argomentazioni dialettiche molto più eleganti del rivolgere al pallone gonfiato l'esortazione di Jacopo Belbo ne Il pendolo di Foucault: "Ma gavte la nata!", ossia di levarsi il tappo che, infisso nello sfintere, impedisce all'aria di cui è pieno di uscire con un sibilo acuto.
      Accade raramente, sia ben chiaro. Ed esibisco i miei titoli solo agli stronzi. Mai che lo faccia con chi negli studi abbia conseguito risultati minori rispetto ai miei. Non è mai bello vantarsi con chi in una qualunque attività non ha conseguito i tuoi stessi risultati: non è bello umiliare le persone per far sfoggio di meschina vanagloria.

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