Umberto Eco sosteneva in Opera
aperta che uno scritto potesse essere interpretato liberamente e in tutti i
modi possibili dai lettori, tesi questa parzialmente rettificata nel suo
successivo saggio I limiti
dell'interpretazione.
Diciamo che un'eccessiva libertà di interpretazione se la presero i
critici letterari marxisti, quando videro nella folla e nelle traversie di
Renzo e Lucia i simboli del proletariato oppresso. Niente di più infondato:
Renzo e Lucia appartenevano a quella classe di contadini-operai piccoli
proprietari terrieri che nei secoli successivi non sarebbe di sicuro stata su
posizioni rivoluzionarie, mentre la folla, soprattutto quella della rivolta del
pane a Milano, non aveva nulla di quella coscienza di classe acquisita che
secondo i canoni marxisti caratterizza il proletariato. Anzi, in parecchi passi
il Manzoni, pur stando dalla parte dei poveri, denuncia lucidamente la
strumentalizzazione della rabbia popolare e il rischio che la gente cada in
quelle che oggi chiamiamo derive populiste.
Fermo restando, dunque, che I
promessi sposi sono e rimangono un romanzo della fede e che ha come
protagonista principale la Divina Provvidenza, proviamo, a puro gioco
letterario, a vederlo anche come romanzo in cui la sfiga si accanisce contro
alcuni protagonisti.
Prendiamo il povero don Rodrigo. Organizza il rapimento di Lucia, manda
in paese i suoi bravi guidati dal Griso e che succede? Che Lucia, Renzo e
Agnese se ne vanno da don Abbondio per cercare di fregarlo col matrimonio a
sorpresa e così il Griso e compagni si recano alla casa di Agnese per rapire
Lucia e non trovano quella che Manzoni chiama "la povera giovane".
E Renzo? Va a Milano il giorno della rivolta del pane, dà una mano a
Ferrer a difendere l'ordine costituito contro i facinorosi, poi fa un discorso sconclusionato
che lo fa passare per un facinoroso e sfugge per un pelo all'arresto con
l'accusa di essere uno dei capi della rivolta.
Quando poi tornerà a Milano, con l'epidemia di peste in corso, verrà
scambiato per un untore e rischierà il linciaggio da parte della folla.
Va cioè due volte a Milano e in entrambe le occasioni rischia grosso.
Probabilmente non si recherà più a Milano.
Il rapimento di Lucia, quello che riesce ad opera dell'Innominato, è
addirittura caratterizzato da una triplice sfiga, attinente alla conversione di
quest'ultimo:
a) sfiga di don Rodrigo e pure
beffarda: Lucia è finalmente stata rapita ma l'Innominato si ravvede e, nisba,
la ragassuola gli sfugge anche stavolta, perché viene subito liberata;
b) sfiga di Renzo: Lucia
viene liberata dall'Innominato e sembrerebbe tutto a posto ma la ragassuola
nella notte ha fatto voto di castità e non potrà più sposare Renzo; per
fortuna, fra' Cristoforo con la sua profonda cultura teologica riuscirà a convincerla
che quel voto non ha valore (infatti, non ha raggiunto il quorum per rendere
valida l'abrogazione della promessa di matrimonio);
c) sfiga di Lucia: fa voto di
castità e il giorno dopo l'Innominato si converte (non poteva, quest'ultimo,
convertirsi la sera, quando la vide, anziché il giorno dopo, quando si recò dal
cardinal Federigo?).
Romanzo della sfiga, dunque, I
promessi sposi? Non esageriamo: sono e rimangono il romanzo della fede e
della Divina Provvidenza. Anche perché, come ci insegna l'Eco più maturo, la
libertà dell'interpretazione ha pur sempre i suoi limiti.
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