martedì 10 maggio 2016

I PROMESSI SPOSI romanzo della sfiga?

      Umberto Eco sosteneva in Opera aperta che uno scritto potesse essere interpretato liberamente e in tutti i modi possibili dai lettori, tesi questa parzialmente rettificata nel suo successivo saggio I limiti dell'interpretazione.
      Diciamo che un'eccessiva libertà di interpretazione se la presero i critici letterari marxisti, quando videro nella folla e nelle traversie di Renzo e Lucia i simboli del proletariato oppresso. Niente di più infondato: Renzo e Lucia appartenevano a quella classe di contadini-operai piccoli proprietari terrieri che nei secoli successivi non sarebbe di sicuro stata su posizioni rivoluzionarie, mentre la folla, soprattutto quella della rivolta del pane a Milano, non aveva nulla di quella coscienza di classe acquisita che secondo i canoni marxisti caratterizza il proletariato. Anzi, in parecchi passi il Manzoni, pur stando dalla parte dei poveri, denuncia lucidamente la strumentalizzazione della rabbia popolare e il rischio che la gente cada in quelle che oggi chiamiamo derive populiste.
       Fermo restando, dunque, che I promessi sposi sono e rimangono un romanzo della fede e che ha come protagonista principale la Divina Provvidenza, proviamo, a puro gioco letterario, a vederlo anche come romanzo in cui la sfiga si accanisce contro alcuni protagonisti.
      Prendiamo il povero don Rodrigo. Organizza il rapimento di Lucia, manda in paese i suoi bravi guidati dal Griso e che succede? Che Lucia, Renzo e Agnese se ne vanno da don Abbondio per cercare di fregarlo col matrimonio a sorpresa e così il Griso e compagni si recano alla casa di Agnese per rapire Lucia e non trovano quella che Manzoni chiama "la povera giovane".
      E Renzo? Va a Milano il giorno della rivolta del pane, dà una mano a Ferrer a difendere l'ordine costituito contro i facinorosi, poi fa un discorso sconclusionato che lo fa passare per un facinoroso e sfugge per un pelo all'arresto con l'accusa di essere uno dei capi della rivolta.
      Quando poi tornerà a Milano, con l'epidemia di peste in corso, verrà scambiato per un untore e rischierà il linciaggio da parte della folla.
      Va cioè due volte a Milano e in entrambe le occasioni rischia grosso. Probabilmente non si recherà più a Milano.
      Il rapimento di Lucia, quello che riesce ad opera dell'Innominato, è addirittura caratterizzato da una triplice sfiga, attinente alla conversione di quest'ultimo:
            a) sfiga di don Rodrigo e pure beffarda: Lucia è finalmente stata rapita ma l'Innominato si ravvede e, nisba, la ragassuola gli sfugge anche stavolta, perché viene subito liberata;
            b) sfiga di Renzo: Lucia viene liberata dall'Innominato e sembrerebbe tutto a posto ma la ragassuola nella notte ha fatto voto di castità e non potrà più sposare Renzo; per fortuna, fra' Cristoforo con la sua profonda cultura teologica riuscirà a convincerla che quel voto non ha valore (infatti, non ha raggiunto il quorum per rendere valida l'abrogazione della promessa di matrimonio);
            c) sfiga di Lucia: fa voto di castità e il giorno dopo l'Innominato si converte (non poteva, quest'ultimo, convertirsi la sera, quando la vide, anziché il giorno dopo, quando si recò dal cardinal Federigo?).
      Romanzo della sfiga, dunque, I promessi sposi? Non esageriamo: sono e rimangono il romanzo della fede e della Divina Provvidenza. Anche perché, come ci insegna l'Eco più maturo, la libertà dell'interpretazione ha pur sempre i suoi limiti.

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