martedì 12 aprile 2016

Rutti

La bellezza della multiculturalità è che una cosa, un'abitudine, uno modo di comportarsi vengono giudicati diversamente a seconda del posto dove uno si trova.
Nei Paesi anglosassoni, ad esempio, ruttare in pubblico è cosa ben vista, anzi, ben sentita, perché è sintomo di buona digestione e quindi di buona salute. Quando poi il rutto (aerofagia, per i medici) viene sparato in un ristorante, il padrone e lo chef del locale sono molto contenti, perché significa che il cliente e lo stomaco del cliente hanno gradito il pasto servito.
In Italia, invece, quando uno rutta in pubblico o provoca ilarità oppure si becca un eloquente: "Brutto porco!".

La mia prima esperienza "sociale" del ruttare avvenne in Terza Media Inferiore. Durante quell'anno scolastico si era diffusa, penso non solo nella nostra scuola, la pratica goliardica di ruttare in classe, preferibilmente in assenza dei professori perché, all'epoca, certe manifestazioni di zuzzurellonismo venivano punite con severità e, in presenza di una nota sul diario o sul registro, i genitori rifilavano sberle ai figli colpevoli di tali mancanze e non andavano di certo a protestare coi docenti, come purtroppo avviene ai giorni nostri.
Io non presi mai parte a simile pratica goliardica ma alcuni miei compagni di classe erano diventati talmente bravi da ruttare con la stessa potenza acustica di un frequentatore dell'Oktoberfest senza nemmeno tracannare una goccia d'acqua.

Passò un po' di tempo e ci si accorse che le bevande gasate, in primis la Coca Cola, erano eccellenti coadiuvanti ruttici.

Proprio alla Coca Cola ricorse Giampiero, un mio ex compagno di classe alle Medie Inferiori, in una fresca estate del 1978. Insieme ad altri amici eravamo andati a un concerto di musica provenzale che ebbe luogo all'aperto al Parco Rignon. Nell'intervallo, volendo fare una guasconata, Giampiero andò al chiosco delle bibite e acquistò una lattina di Coca Cola, tornò a sedersi accanto a noi, si scolò la lattina e, brooooook!, cacciò fuori un rutto galattico. Poi, un po' provocatoriamente, ci chiese: "E' venuto bene?". Dalla fila di sedie davanti a noi una ragazza si voltò e gli disse: "No".
Fra parentesi, quell'intervallo di concerto non fu scevro da evidente e decisamente volgare profferta erotica. Nella fila di sedie dietro di noi, una ragazza aveva sollevato le gambe, ripiegandole sul piano della sedia e allargandole: detto in parole povere, si era accovacciata sulla sedia mettendo in bella vista le mutande. E stava fissando i maschietti della fila a lei davanti (cioè noi), aspettando che qualcuno incrociasse il suo sguardo. Difficile dire se stesse solo provocando per prenderci in giro oppure se, trivialmente parlando, stesse sul serio cercando pezzoloni. Fatto sta che uno della nostra compagnia, sapendo benissimo che Giampiero era quello fra di noi a cui più ribollivano gli ormoni, gli chiese a bassa voce: "Perché non raccogli la provocazione di quella lì con le gambe aperte?". Giampiero reagì con una risata. Ma, durante la seconda parte del concerto, sia lui che ... lo ammetto ... io qualche sbirciatina ogni tanto ci voltavamo a darla. Tanto più che la tipa non abbandonava quella sua postura statuaria.

Passò circa un anno e dal ruolo di compiaciuto e divertito spettatore volli passare a quello di goliardico ruttatore.
Giugno 1979. Cena della Maturità, pochi giorni prima dell'inizio degli esami, con quasi tutta la classe e alcuni "prof.", in una trattoria di via Santa Giulia.
Contrariamente alle mie abitudini, volli bere del vino e, così, fra un piatto di tortelloni alla salvia e una braciola con patatine fritte o, per meglio dire, fra un boccone e l'altro, ogni tanto mi esibii in rumorose esibizioni di aerofagia, con tanto di espressione di beffarda soddisfazione stampata sul volto dopo ogni "performance". E ad ogni esplosione ruttica la mia vicina di posto, Anna Paola, si voltava e mi diceva con allegro tono goliardico: "Porco!".
Strano: anche in anni successivi, ogni volta che una ragazza mi diede del porco non solo non provai imbarazzo ma gongolai di orgogliosa soddisfazione.

Bevvi Coca Cola all'incirca fino all'età di trent'anni, e pure con abbondanza, nonostante mio cugino Fernando mi avesse messo in guardia dagli effetti poco salutari per lo stomaco. Va be', preferii dare ascolto al mitico Vasco Rossi: "Bevi la Coca Cola, che ti fa bene. / Bevi la Coca Cola, che ti fa digerire. Con tutte quelle, quelle bollicine".
E fu proprio il sorbire avidamente sì nettarica bevanda che mi fece fare una figuraccia sul lavoro.
Estate del 1986. Cinque secondi dopo essermi scolato una lattina di Coca Cola, suonò il telefono in ufficio. Premetti il pulsante del viva-voce e poi ... con l'interlocutore dall'altro capo della linea ... anziché dire il canonico "Pronto?" .... mi scappò un rutto talmente assordante che probabilmente costrinse il malcapitato autore della chiamata a sottoporsi a visita otorino-laringoiatrica.
Subito dopo riuscii a rispondere. Era il centralino dell'azienda che voleva inoltrare una telefonata per uno dei miei colleghi, in quel momento non presente in ufficio. Danni limitati, dunque. Anche se sarebbe stato meglio avere la prontezza d'animo di interrompere la chiamata senza dire niente, lasciando al chiamante il dubbio di avere sbagliato numero.

Da tempo, ormai, non tracanno più bevande gasate, per salvaguardare la mia salute, e gli unici liquidi che ingurgito sono acqua e latte.
Ma se mi viene da digerire, a meno che non sia fuori casa, rutto senza freni, senza pormi alcun problema di imbarazzo.
Ruttare fa bene, sia al fisico che allo spirito: che sublime senso di liberazione!

1 commento:

  1. Se sia educato o meno il ruttare, lascio al singolo l'ardua sentenza. Senza voler fare della prosopopea inutile e ampiamente soddisfatto della "parabola" di Gian Contardo penso:"Se tutti gli imbecilli guerrafondai, trovassero il sistema di combattersi a rutti pari (si intenda a armi pari), forse sarebbe il caso di affermare che il famoso adagio "tanto rumore per nulla" sarebbe insensato? 10 e lode al bravissimo Gian...VittS

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